AMM

AMM

I funamboli dell'improvvisazione

Fondamentale ensemble di jazz improvvisato e sperimentale, gli AMM ispirarono i "bordoni ipnotici" di numi della psichedelia come Pink Floyd e Velvet Underground. Originalmente composti dal chitarrista Keith Rowe, dal sassofonista Lou Gare, dal batterista Eddie Prévost, e dal bassista Lawrence Sheaff, videro più tardi l'ingresso del compositore Cornelius Cardew

di Amerigo Sallusti

Nel 1966 un collettivo di jazzisti londinesi anticonformisti e curiosi si costituì nell’ensemble d’improvvisazione AMM. Il chitarrista Keith Rowe, il sassofonista tenore Lou Gare e il bassista Lawrence Sheaff avevano partecipato agli esordi della big band del compositore Mike Westbrook. Il batterista Eddie Prèvost aveva lavorato con Gare in un quintetto che si rifaceva all’hard-bop di Max Roach e Sonny Rollins. Presto si unirono a loro il compositore Cornelius Cardew e Christopher Hobbs, che aggiunsero un tocco di John Cage e di Karlheinz Stockhausen a un insieme già ricco.
Ad oggi gli AMM rimangono uno dei nomi fondamentali dell’improvvisazione jazz britannica. È un gruppo importante, perché fu il primo a utilizzare in manera così significativa una formazione tanto variegata, con radici che mescolavano background jazzistico e composizione d’avanguardia post-seriale e post-Darmstadt. Invece di porsi come improvvisatori che si scambiano suoni all’interno di un dialogo aperto, gli AMM cercavano strutture che si generassero in modo enigmatico durante la performance e che includessero le personalità individuali in un ethos di gruppo.
Gli screzi politici interni furono un punto di svolta nell’evoluzione degli AMM. Per due volte a causa di ideologie contrastanti il gruppo si ridusse a un duo. Le idee maoiste di Cardew e Rowe provocarono una rottura, e per un periodo le serate vennero alternate tra il duo Cardew-Rowe e il duo Prèvost-Gare. Successivamente, nel 1972, Rowe e Cardew lasciarono il gruppo. Rowe ritornò a metà degli anni Settanta e in quel momento si consolidò un trio, insieme al pianista John Tilbury, che durò fino al 2004.

Nonostante la natura belligerante delle opinioni politiche che animavano i membri degli AMM, il gruppo si dimostrò sempre aperto ai musicisti che sentiva più affini. Nel 1968 il compositore Christian Wolff, della cosiddetta scuola di New York, suonò insieme a loro il contrabbasso durante un suo soggiorno in Inghilterra e Cardew ritornò qualche volta all’ovile prima della sua tragica morte nel 1981. Il sassofonista Evan Parker, il violoncellista Rohan de Saram dell’Arditti Quartet e il clarinettista d’avanguardia Ian Mitchell sono tutti entrati in contatto con gli AMM.
La “AMM music”, come venne poi battezzata, si costruisce su un flusso sonoro centripeto che i musicisti, ascoltatori attenti, possono afferrare o spostare verso nuovi territori. Ogni musicista rappresenta uno strato separato di attività che si sovrappongono, e quando questi strati frastagliati danzano in contrappunto tra loro, la musica genera una struttura cumulativa.
I nostri debuttarono con l’etichetta rock Elektra, e questo spiega perché di tanto in tanto abbiano condiviso il palco con artisti come Soft Machine e Pink Floyd.

AMMMusic del 1966 fu notoriamente attribuito per errore al Cornelius Cardew Quintet da parte delle recensioni del Jazz Journal, la bibbia jazz per eccellenza.
Questo primo album è già un tipico prodotto dell’arte degli AMM, con la copertina pop art dipinta da Keith Rowe e le erudite note di Prèvost, che segna l’inizio delle frenetica e turbolenta attività del gruppo alla ricerca della propria musica.
Il farfugliato inizio della traccia d’apertura “Later During A Flaming Riviera Sunset” consiste in un brontolio viscerale spalmato su embrionali marchi di fabbrica degli AMM. Sullo sfondo una voce senza corpo rapita da una radio a transistor fluisce e rifluisce attorno alla musica come una marea. Ai lenti incisi di pianoforte rispondono alti e rapidi volteggi di violoncello, mentre l’oscillante pennellata dei piatti di Prèvost assicura un impeto gentile; ma ogni suono è tutto incastonato nell’altro che l’orecchio è subito portato percepire non i singoli colori bensì la totalità del dipinto.

Le discrepanze tra Cardew e il collettivo vengono a galla nel momento in cui immette nel flusso musicale le soluzioni pianistiche stizzose che sembrano rifarsi a "Klavierstùcke" di Stockhausen o a "Structures" di Boulez, ma ben poco al contesto degli AMM. Il sax tenore gutturale di Lou Gare replica con un’esplosione che non sarebbe fuori posto in un disco di Coleman Hawkins: un momento che riassume non solo i conflitti interni degli AMM, ma quelli della scena musicale sperimentale inglese dal 1966 considerata nel suo complesso.
I segnali radio di Keith Rowe diventano simbolo del mondo esterno e aggiungono un senso di casualità all’equazione. Gli sdolcinati archi di Mantovani alla radio compaiono all’improvviso nella struttura del divenire. Fu un’ignara vittima degli esperimenti con la radio anche Edward Heath, deriso leader del partito conservatore di allora.

Il 1968 è l’anno di The Crypt: The Complete Session, la cui seconda traccia, "Coffin Nor Shelf", abbraccia una varietà ampia di materiali. Il sassofono di Gare saggia con ostinazione i confini del jazz, e la musica ribatte con improvvisi vuoti e ampie esplosioni elettroniche che ne squarciano la superficie. La fine della traccia precedente, "Like A Cloud Hanging In The Sky?", aveva già messo alla prova il senso delle proporzioni impiegando molto più tempo del previsto per arrivare alla conclusione. Qui il concetto di finale è completamente ribaltato dall’apparizione di una sirena d’ambulanza, ma arriva dalla radio di Rowe o è reale e giunge dall’esterno? Si sente una voce borbottante, un urlo, e poi una persona applaude per pochi secondi. Ma il rumore d’atmosfera persiste, e gli ascoltatori non sanno quando, e se, la performance è finita. Si avvertono passi sulla destra, probabilmente i musicisti che lasciano il palco. Fine.

La prima rottura ideologica degli AMM vide Prèvost accusare Cardew e Rowe di speculazione culturale perché si sforzavano di imporre il loro maoismo. Il risultato di questa rottura fu la formazione di un duo Prèvost-Gare che secondo l’opinione generale tornò alle radici suonando un free-jazz generico. I lunghi passaggi di To Hear And Back Again corroborarono questo punto di vista, anche se sono compensati da altre sezioni che sembrano più autenticamente AMM.
L’album si apre con Gare che sfodera un corrosivo funky che sembra preso da “Ornette On Tenor”, sostenuto dal tempo relativamente lineare di Prèvost. Ma nella seconda traccia, "To Hear", da un abbellimento alla Lester Young la musica si evolve in una confusione di spazio e ritmo strutturale. "To Hear" si smorza a metà, quando le sperimentali, pacate e prolungate note basse di Gare avvolgono lunghi momenti di silenzio. Quando è ora di riprendere con "Back Again", le sue eteree linee melodiche si librano sullo sfondo delle spettrali declinazioni dei piatti di Prèvost, prima di sondare la serie armonica.

AMM III del 1979 fu di fatto la terza incarnazione del gruppo. Keith Rowe rientrò nel 1976 segnando la fine del percorso di Lou Gare. Prèvost e Rowe formavano un’accoppiata piuttosto agitata e litigiosa prima che Tilbury entrasse in scena. Nel frattempo “It Had Been An Ordinary Enough Day In Pueblo, Colorado” fu pubblicato dalla ECM. Il titolo bizzarro ed evocativo arriva all’orecchio a metà della prima traccia, "Radio Activity", un dono dell’etere proveniente dalla radio di Rowe. La chitarra di Rowe è insolitamente netta e precisa, e in tutta la discografia degli AMM è il suono che più si avvicina a quello di una comune chitarra elettrica, anche se questo non gli impedisce di deformarla in oblique contorsioni.

L’arrivo del pianista John Tilbury nel 1980 rese stabile la formazione degli AMM fino al 2004. Tilbury aveva già sostituito Cardew in qualche occasione e conosceva bene il linguaggio degli AMM, anche se la sua personalità musicale subliminalmente assertiva cambiò profondamente il gruppo. Tylbury ritrasformò gli AMM in un luogo per improvvisatori e musicisti interessati alla composizione. La partitura grafica “Treatise” di Cardew fu la ragione che portò il compositore ad avvicinarsi agli AMM nel 1965. In “Combine and Laminates” tre anni dopo la sua morte, gli AMM usano pagine da Treatise per ispirare e guidare un’improvvisazione.

Generative Themes del 1982 è un’eccellente registrazione in studio e le idee che scaturiscono dal trio travolgono l’ascoltatore.
L’apertura con "Generative Theme" provoca un grigio e soffocante senso d’astrazione. La tavolozza sonora è ridotta all’oscillazione quasi inerte di pochi, rigidi tocchi di pennello. Il secondo tema allenta la tensione con riconoscibili tonalità pianistiche che emergono regolarmente dall’insieme, per quanto sembrino una fusione surreale grazie alle delicate note preparate di Tilbury. Il punto focale diventa poi una nota alta di pianoforte, incessantemente ripetuta, che si scontra con i segnali radi come fosse un’interferenza a onde corte. Prèvost, dal canto suo, controbilancia i suoni alienati con vigorose e rodate tecniche percussive come i giochi ritmici di charleston o terzine regolari sul rullante.
La traccia successiva è molto più tranquilla, a parte per un solitario, basso e martellante cluster di pianoforte che aggiunge improvvisi sbandamenti al continuum del complesso.

In The Inexhaustible Document del 1987 il violoncellista Rohan da Saram aggiunge la sua voce ai già rinvigoriti AMM e spiana la strada a nuove evoluzioni. Gran parte dell’album è al limite della percettibilità, con l’apertura viscerale di “shhh” e “ohhh” strumentali, appena sussurrati, e rafforzati da un battito irregolare ma insistente. La chitarra di Rowe lavora con precisione zen, e de Saram risponde con un arabesco di note pizzicate. Tilbury scivola in un corale curiosamente distorto e alla fine de Saram suona una melodia al violoncello che, se fosse suonata due ottave sotto, si potrebbe definire convenzionalmente dolce e cantilenante. A questo punto vengono le vertigini, e l’agognata mimesi strumentale degli AMM è finalmente raggiunta.

La storia di questa eclettica e caleidoscopica band termina di fatto qui. Seguiranno negli anni alcune reunion e soprattutto progetti solisti ove le singole iperboli continueranno a stupire, certo mai, come il collettaneo lavoro a firma AMM.

AMM

Discografia

Ammmusic (1966)
At The Roundhouse (Ep, 1972)
To Hear And Back Again (1978)
It Had Been An Ordinary Enough Day In Pueblo, Colorado (1980)
The Crypt - 12th June 1968 (1981)
Generative Themes (1983)
The Inexhaustible Document (1987)
Irma (con Tom Phillips, 1988)
Combine And Laminates (1990)
The Nameless Uncarved Block (1991)
Newfoundland (1993)
From A Strange Place (1996)
Laminal (1996)
Live In Allentown USA (1996)
Before Driving To The Chapel We Took Coffee With Rick And Jennifer Reed (1997)
Split Series #4 (split Ep, con Merzbow, 1998)
Tunes Without Measure Or End (2001)
Fine (2001)
AMM - Formanex - AMM - Formanex (2003)
Norwich (2005)
Apogee (con i Musica Elettronica Viva, 2005)
Trinity (con John Butcher, 2008)
Uncovered Correspondence - A Postcard From Jasło (2010)
Sounding Music (2010)
Two London Concerts (2012)
Pietra miliare
Consigliato da OR

AMM su OndaRock