Fela Kuti

Fela Kuti

L'afro-beat al potere

Fela Ransome-Kuti ha posto le fondamenta per la rivoluzione afrobeat, stagione d’oro della musica africana, contrassegnata da un grande fermento culturale e da un indomito senso di ribellione. Ripercorriamo la lunga storia del musicista nigeriano, dagli esordi all'ultimo guizzo, prima della sua scomparsa, avvenuta nel 1997

di Amerigo Sallusti

Le due passioni coltivate sin da piccolo da Fela Ransome-Kuti sono state un indomito senso di ribellione e la musica. In particolare, in quegli anni, l’highlife, la musica della zona costiera del Ghana emersa negli anni Venti come fusione di ritmi indigeni, marce militari occidentali, inni religiosi e ballate marinare. L’èlite urbana ghanese dei centri costieri finanziava le bande di ottoni, mentre nei villaggi rurali l’highlife era suonato da gruppi incentrati sulla chitarra.
Il suo tipo di gruppo highlife divenne noto come concert parties. Nel dopoguerra i concert parties svolgevano in pratica la funzione dei griots, cantori o poeti erranti che tramandavano la tradizione orale nell’Africa occidentale.

Nel 1958 Fela arriva a Londra dove si iscrive al Trinità College of Music e studia la tromba. È qui che forma il suo primo gruppo, Koola Lobitos, con l’amico Jimo Kombi Braimah, anche lui trasferitosi a Londra, e alcuni espatriati caraibici. La formazione suona perlopiù un jazz abbastanza convenzionale.
Nel 1964, al ritorno in Nigeria, Fela fonda una seconda versione dei Koola Lobitos. Nello stesso anno conosce Tony Allen, batterista dei Western Toppers, e l’anno seguente gli chiede di suonare nei Koola Lobitos. Grazie alla prodigiosa capacità di Allen alle percussioni (e soprattutto grazie al suo talento nel mescolare, rinforzare, echeggiare e far scontrare tra loro gli schemi ritmici di conga e shekere), i Koola Lobitos cominciano a suonare un ibrido highlife jazz, una musica più profonda, complessa e stridente dell’highlife, cadenzata e ispirata al calypso del periodo.

Nei Koola Lobitos figurano membri fissi degli Africa 70, come Allen, il trombettista Tunde Williams e i sassofonisti Lekan Animashaun e Christopher Uwaifor. Fra tutti i singoli raccolti su Koola Lobitos/The 69 LA Sessions, le radici del sound caratteristico di Fela si possono sentire più chiaramente in “Ololufe Mi”. La linea del basso è molto più pesante rispetto all’andamento vivace del sound della diaspora che in quel periodo caratterizzava l’highlife, e il groove è duro, profondo e ipnotico. L’assolo di tromba di Fela, però, deve ancora liberarsi dalle catene del jazz.

Nel 1969, all’apice della guerra del Biafra (sebbene fosse uno Yoruba, Fela si schierò con gli Ibos che volevano instaurare una repubblica del Biafra nella Nigeria orientale) il musicista africano porta la sua band in America, dove gli viene presentata Sarah Smith, studentessa di antropologia appartenente al Black Panther Party. Lì si appassiona alla lettura dell’autobiografia di Malcolm X e del pensiero rivoluzionario del leader delle Pantere Nere, Eldridge Cleaver. Fela comincia anche a interessarsi maggiormente alle sue radici africane, sviluppando un pan-africanismo possibile solo fuori dall’Africa.
È a Los Angeles che Fela scrive quella che considera la sua “prima canzone africana”, “My Lady Frustration”, a proposito della quale racconterà a Carlos Moore che il ritmo principale era derivato dal ricordo di qualcosa del musicista ghanese stabilitosi a Londra, Ambrose Campbell. Altri, invece, sostengono che si trattasse di un ritmo preso dal samara, un genere molto ricco di percussioni creato e ascoltato quasi esclusivamente dai musulmani yoruba. Se pure il pezzo può definire la nascita dell’Afrobeat, il marchio del funk americano era ben presente.
Nonostante la durata di soli tre minuti, “Obe” potrebbe essere un punto di partenza migliore per la re-africanizzazione del funk operata da Fela. Qui, per la prima volta, il gruppo riesce a compiere l’impresa quasi impossibile di creare una musica densa, stratificata e caotica quanto un sovraffollato taxi collettivo africano e allo stesso tempo spaziosa e morbida. “Wayo” è profonda in modo analogo, ma con una propensione più marcata per il jazz, e introduce quello che sarebbe diventato il marchio di fabbrica vocale di Fela, il suo canto declamatorio da sergente istruttore. “Ako” e “Witchcraft”, tuttavia, sembrano ancora frutto di un disco hard-bop della Blue Note con Tony Allen e una piovra che suonano le conga al posto di Art Blakey.

A un certo punto del 1970, Fela, ormai ritornato a Lagos, ribattezza il suo gruppo Africa 70 e comincia a tenere concerti ogni domenica pomeriggio al suo club, l’Afro-Spot, dove fra il pubblico circolano nutrite quantità di erba nigeriana.

Nel 1971 arriva la prima hit di Fela, “Jeun Ko’ Ku”, che venderà 200.000 copie e apparirà poco dopo come apertura dell’album Afrodisiac. Un album di trance-funk, costruita tutto su groove tantrici generati da Tony Allen. E poi, anche, musica cosmica. Ma soprattutto, di nuovo, il pezzo d’apertura, che tradotto significa “Mangia e muori”. Testo sarcastico su un ghiottone che scrocca da chiunque gli capiti a tiro: era ed è decisamente attuale. La metafora è chiaramente diretta al regime del generale Yakubo Gowon, che aveva usato la guerra del Biafra come un pretesto per aumentare il potere del regime militare.
Nello stesso album, “Alujon-Jon-Ki-Jon” si basa su un racconto popolare yoruba che spiega perché la tartaruga si nasconde nel guscio ed è un attacco più criptico, e musicalmente più pacato, al clientelismo e al favoritismo in politica. La seguente “Je’n Wi Temi” ha, intanto, le migliori percussioni di tutti i dischi di Fela. “Elko Ile”, infine, è un Fela più stridente che mai, con un ritmo spezzettato e fiati che saltano sonoramente fuori dagli amplificatori.

Parallelamente, nello stesso periodo, esce il terzo album degli Africa 70, Open & Close. La canzone omonima era apparentemente il tentativo di Fela di lanciare una dance craze (Allen sembra veramente un pazzo alla batteria) ma il risultato è più contenuto. “Swegbe and Pako”, in apertura, e “Gbagada Gbagada Gbogodo Gbogodo” combinano le fanfare di ottoni da banda militare dello highlife, vecchia scuola con groove così rilassati e morbidi che sembra di sentire un James Brown catatonico.

Insieme alla collaborazione con il suo alleato di lunga data Ginger Baker per il suo album del 1972 “Stratovarius”, sono Roforofo Fight e Shakara i due dischi responsabili della salita alla ribalta di Fela sulla scena internazionale. Entrambi uscirono nel 1974 negli Usa con la leggendaria etichetta Editions Makossa e divennero presenze costanti nelle radio e nei club.

I vortici oscuri di batteria e l’estrema ripetitività rendevano i dischi di Fela perfetti per le maratone trance delle discoteche, e le ritmiche feroci si ricollegavano alla pesante attenzione alle percussioni di molta della prima musica disco.
Gli Africa 70 avrebbero fatto riferimento al rapporto con la disco nel pezzo “Afro-Disco Beat” nell’album solista del 1977 di Tony Allen “Progress”.

Shakara è forse l’album migliore, e certamente il più coerente, di tutto il prodigioso catalogo di Fela (composto da circa 77 album). In “Lady” c’è un assalto all’arma bianca di sassofono e congas. In “Oloje” vi è una strana combinazione dell’intensità lenta e minacciosa da “tamburi di guerra lungo il Niger” e della propulsione della disco-funky più nera.

Nel successivo Roforofo Fight Fela si impegna come non mai tra scat, borbottii e mugugni degni di un Louis Armostrong. Gli Africa 70 fanno da pubblico al combattimento di cui sta parlando Fela: un intenso groove di sibilanti shekere, conga chiacchierine e tesissime chitarre. Poi arrivano il fatidico assolo di tastiera di Fela e forse la migliore esecuzione di sassofono di tutta la sua discografia. Con il beat ripetitivo, insistente, che si trascina all’infinito, i riff di chitarra soffocati e repressi e i fiati strombazzanti, Go Slow, ispirata al tremendo traffico di Lagos, è vero socialismo reale. “Question Jam Answer” è funk à-la James Brown intrappolato in una nuvola di marijuana, ma non ne risente affatto, mentre “Trouble Sleep Yanga Wake Am” è essenzialmente la concezione di una ballata secondo Fela, lenta e cacofonica. Segue poi “Shenshema”, un pezzo quasi dub con tastiere selvagge. “Ariya” è infine un mostro di boogaloo urticante.

Gentleman segna in più di un modo il punto di svolta della carriera di Fela, che nel 1973 si era ormai trasferito, insieme al suo entourage di circa 100 persone, in una casa a due piani nella Agege Motor Road di Lagos. Svetta “Igbe”, un pezzo che si frammenta e contorce più e più volte, disegnando le traiettorie più strane, come se Kool and the Gang cozzassero contro Sly and the Family Stone.
Gentleman, sulla cui copertina fa bella mostra di sé una scimmia vestita con un completo tre pezzi, segna l’inizio dell’utilizzo di cover provocatorie da parte di Fela, che con la sua teatralità da griot di sinistra mira a infastidire ancora di più le autorità nigeriane.

Negli anni successivi molte delle copertine, realizzate dall’artista Ghariokwu Lemi, rappresentano i testi di Fela in uno stile sardonico e satirico, a metà tra i fumetti di Pedro Bell per i Parliament-Funkadelic e i dipinti narrativi popolari di artisti africani come Chèri Samba e Tshibumba Kanda-Matulu.
In questo periodo Fela consolida la sua Comune, dove abitavano collettivamente centinaia di donne e uomini. Proprio grazie a ciò, alla sua bizzarra cosmologia e alla dedizione alle lunghe improvvisazioni trance, l'artista nigeriano è stato spesso paragonato a un Sun Ra africano, e Confusion, album del 1975 composto da una sola traccia, è il luogo in cui l’analogia prende piede anche musicalmente. I cinque minuti di apertura, astratti e cosmici, e la linea di basso stile Buster confermano tale opzione. Il bridge fra l’apertura cosmica e la sezione principale di pieno afrobeat è il vero apice dell’afro-futurismo con un Allen davvero immaginifico.
Confusion è un capolavoro anche dal punto di vista del testo. Fela usa il traffico di Lagos (e i tre dialetti che parla nella canzone) come metafora del caos in cui versa la Nigeria.

In quegli anni sono molte le comunità alternative che vedono l’eccesso e la dissolutezza come un modo per mettere in discussione le norme sociali, ma Fela e la sua comune fanno ben più che èpater le bourgeois. Fela contribuisce a organizzare un think tank pan-africanista insieme a importanti intellettuali della sinistra nigeriana, fonda un’organizzazione giovanile chiamata Young African Pioneers e compra una pressa tipografica per poter pubblicare pamphlet contro la dittatura.

Il 30aprile 1974 la polizia fa irruzione all’interno della comune e arresta Fela Kuti per possesso di marijuana. Quando esce dal carcere due settimane più tardi, il musicista fece erigere una recinzione di filo spinato intorno al complesso e dichiara l’indipendenza della Kalakuta Republic dalla Nigeria. Nasce così Expensive Shit, album datato 1975. Il pezzo che dà il nome all’album comincia con un urgente riff di chitarra ritmica eseguito da Leke Benson e un chorus di fiati molto bobmarleiano: musica ribelle all’ennesima potenza. La canzone commenta ironicamente l’episodio dell’incarcerazione e sfodera uno dei ritornelli più geniali della storia: “Perché mai? Perché la merda puzza”. Oltre al significato legato a questa vicenda personale, gli escrementi hanno una connotazione aggiuntiva per i paesi africani già soggetti al colonialismo britannico: l’uomo bianco puniva gli africani costringendoli a trasportare escrementi attraverso il centro della città. Musicalmente, è un lavoro caratterizzato da un alto tasso di consapevole ballabilità.

La mattina del 23 novembre 1974 la polizia ritorna nuovamente a Kalakuta e Fela finisce diritto in ospedale. All’uscita, imperterrito, ritorna in studio di registrazione nel maggio 1975, per registrare Kalakuta Show, che sarebbe stata la prima uscita con la sua etichetta Kalakuta.
Sia Kalakuta Show che lo straordinario dipinto di Ghariokwu Lemi in copertina fanno riferimento diretto al raid della polizia, ma senza l’ironia di Expensive Shit o Alagbon Close. In questo caso abbiamo il richiamo diretto alle vibrazioni di “Dread Beat an’Blood” di Linton Kwesi Johnson, ma il disco è ancora più devastante per la sua pragmaticità, per il modo in cui il groove in battere, ipnotico e risoluto, ti attira per poi sganciarti addosso una bomba. L’altro brano presente sull’album, “Don’t Make Garan Garan”, mostra un Fela alquanto prevedibile, ma le tastiere sono una piacevole tregua dopo la carneficina.

Il raid era servito solo a fomentare il musicista nigeriano. Nei suoi attacchi politici è sempre più privo di scrupoli e ora inizia anche a fare i nomi. Zombie del 1976 è la registrazione più grande di Fela, un groove così intenso, così vibrante, così militante, da poter risvegliare un intero esercito di non-morti. Il che è proprio quello che succederà. Giustapposta alla batteria di Allen più funky che mai, agli energici motivi di fiati e ai vigorosi riff di chitarra, l’implacabile derisione del regime militare e dei suoi soldati semplici entra profondamente nella coscienza nigeriana. In seguito alla pubblicazione, i cittadini di Lagos iniziano a deridere i militari: quando vedono un soldato per strada, imitano le movenze di un personaggio di George Romero, assumendo uno sguardo vacuo e marciando con le braccia distese davanti a sé. Il messaggio era ribadito nel downtempo “Mr Follow Follow”, ma già con “Zombie” il danno era fatto. E di nuovo il governo interviene brutalmente.

Come al solito, Fela tramuta la brutalità del regime in musica sconvolgente. E come Kalakuta Show, anche Sorrow, Tears And Blood, primo disco prodotto dopo l’attacco a Kalakuta, trasuda sangue (l’immagine in copertina mostra Fela sul palco con la gamba rotta ancora ingessata). La canzone che dà il titolo al disco è l’opposto di “Zombie”, ma è altrettanto efficace: gli Africa 70 evocano le immagini in bianco e nero dei dimostranti dei diritti civili nell’America del Sud, che proseguivano accanitamente e determinatamente mentre venivano bombardati di pietre e spazzatura e assaliti da cani da guardia.

Shuffering And Shmiling del 1977 è più simile a un esorcismo. L’intro della canzone omonima è un pezzo di New York garage con cinque o sei anni di anticipo, mentre il testo è la vendetta di Fela nei confronti della mentalità del “porgi l’altra guancia”. Scintillante è “Perambulator”, con un organo psichedelico che rasenta i Doors e chitarre à-la 13 Floor Elevators. E poi, come nei due pezzi appena descritti, tutto l’album è pervaso da una batteria rutilante, condotta da un vero e proprio moto impetuoso.

Prima di morire per un arresto cardiaco il 2 agosto 1997, Fela Kuti compie un ultimo guizzo. Ribattezza il suo gruppo Egypt 80 e realizza l’album Underground System, impregnandolo di un’energia folle: roventi riff di chitarra, fiati sovreccitati e cori vocali superveloci marchiano la canzone omonima; dissonanti linee di piano stile Thelonious Monk, charleston sibilanti e improvvise impennate dominano la fantastica “Pansa Pansa”.
La carica politica era ancora presente; Fela compiangeva la condizione dell’Africa con un ultimo ringhio disperato rivolto alle ex-potenze coloniali e ai ladri corrotti che ora erano al governo. Stop.

Fela Kuti

Discografia

KOOLA LOBITOS
Koola Lobitos/The 69 LA Sessions (Barclay Records, 2001)
FELA KUTI
Lagos Baby 1963-1969 (Vampisoul, 1963/69)
The '69 Los Angeles Sessions (Wrasse Records, 1969)
Why Black Man Dey Suffer (Wrasse Records, Knitting Factory Records, 1971)
Live! (with Ginger Baker) (Barclay Records, Mca Records, Wrasse Records, 1971)
Stratavarious (with Ginger Baker) (Polydor Records, 1972)
Na Poi (Barclay Records, 1972)
Open & Close (Barclay Records, 1972)
Shakara (Barclay Records,1972)
Roforofo Fight: Music of Fela (Barclay Records, 1972)
Question Jam Answer: Music of Fela Vol. 2 (Barclay Records, 1972)
Afrodisiac (Barclay Records, 1973)
Gentleman (Barclay Records, 1973)
Alagbon Close (Barclay Records, 1974)
Noise For Vendor Mouth (Barclay Records, 1975)
Confusion (Barclay Records, 1975)
Everything Scatter (Barclay Records, 1975)
He Miss Road (Barclay Records, 1975 )
Expensive Shit (Barclay Records, 1975)
No Bread (Emi Nigeria, 1976)
Kalakuta Show (Barclay Records, 1976)
Upside Down (Barclay Records, 1976)
Ikoyi Blindness (Barclay Records, 1976)
Before I Jump Like Monkey Give Me Banana (Barclay Records, 1976)
Excuse O (Barclay Records, 1976)
Fear Not For Man (Barclay Records, 1977)
Zombie (Barclay Records, 1977)
Yellow Fever (Barclay Records, 1976)
Opposite People (Barclay Records, 1977)
Stalemate (Barclay Records, 1977)
Observation No Crime (Emi Nigeria, 1977)
Johnny Just Drop (J.J.D Live!! at Kalakuta Republic) (Barclay Records, 1977)
I Go Shout Plenty (Emi Nigeria, 1977)
No Agreement (Barclay Records, 1977)
Sorrow, Tears, and Blood (Barclay Records, 1977)
Shuffering and Shmiling (Barclay Records, 1978)
Unknown Soldier (Barclay Records, 1979)
V.I.P. (Vagabonds in Power) Live in Berlin (Barclay Records, 1979)
Coffin for Head of State (Barclay Records, 1980)
I.T.T. (International Thief Thief) (Barclay Records, 1980)
Music of Many Colours (with Roy Ayers) (Barclay Records, 1980)
Authority Stealing (Barclay Records, 1980)
Black President (Emi Nigeria, 1981)
Original Suffer-Head (Barclay Records, 1981)
Perambulator (Barclay Records, 1983)
Live in Amsterdam (Barclay Records, 1983)
Army Arrangement (Barclay Records,1985)
Teacher Don't Teach Me Nonsense (Barclay Records, 1986)
Beasts of No Nation (Barclay Records, 1989)
O.D.O.O. (Overtake Don Overtake Overtake) (Barclay Records, 1989)
U.S. (Underground System) (Barclay Records, 1992)
Buy America (Movie Play Gold, 1996)
The Best Best of Fela Kuti (Barclay Records, 1999)
The Underground Spiritual Game (Quannum Projects, 2004)
Live in Detroit, 1986 (Knitting Factory Records, Strut Records, 2012)
Pietra miliare
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