Le Mystère Des Voix Bulgares

Le Mystère Des Voix Bulgares

Enigmi ethno-folk dal Mar Nero

Fondate nel 1952 a Sofia come coro per la radio e la televisione di Stato, ancora oggi esportano in tutto il mondo un'affascinante combinazione di canti antichi e danze balcaniche miste ad arrangiamenti moderni. Armonie, dissonanze e schemi liberi: ecco svelato il mistero delle Voci bulgare

di Giuseppe D'Amato

Secondo un'antica leggenda, quando Dio distribuì le terre tra i popoli si dimenticò dei bulgari, così alcuni di loro andarono a farglielo notare. Siccome però era ormai troppo tardi e non vi era rimasto più nulla, il Signore concesse loro un piccolo angolo di Paradiso, dalla natura selvaggia e incontaminata, ove il sole sorge al mattino levandosi dal Mar Nero e la sera tramonta dietro le vette del Rila e del Pirin, le stelle così vicine che si toccano con mano. Qui nel corso dei secoli le donne vennero addestrate al canto, con metodo e disciplina talmente rigorosi da custodire intatto nel tempo quel prezioso scrigno di suoni millenario, che nasce dalla lira d' Orfeo e vive ancora oggi nel Mistero delle Voci Bulgare.

Primo novecento, socialismo e Filip Kutev

La lunga dominazione turca della Bulgaria e la conversione al Cristianesimo lasciano segni indelebili nella religione, la ceramica, le scienze, la cucina e i costumi. Per quanto concerne la musica, che più ci interessa da vicino, schemi asimmetrici, diplofonie e ritmi irregolari sono retaggio evidente di antiche commistioni, sassoni, tracie, slave e iraniane. La Liberazione dagli Ottomani nel 1878 consente la nascita di nuove forme colte prettamente vocali, in cui verso la fine del diciannovesimo secolo eccellono, in campo maschile, Dobri Hristov (1874-1941) e Panajot Pipkov (1871-1942), sin quando Georgi Atanasov (1881-1931) non introduce l'uso degli strumenti e scrive la prima sinfonia per Melodramma. Terminata la Guerra Mondiale, si sviluppa però un' attitudine a svincolarsi dai canoni, a favore di produzioni il più possibile aggiornate alle tendenze europee: a cavallo degli anni Venti/Trenta, ad esempio, il pianista-pedagogo Pancho Vladigerov (1899-1978) combina classica e folk a sonate per violino, imponendosi a detta di molti come il compositore bulgaro più importante di ogni epoca (oltre che membro fondatore della Bulgarian Contemporary Music Society), qualche decennio dopo, invece, il basso Nikola Guzelev (1936-2014) si fa strada nella lirica assieme a Raina Kabaivanska (1934) e Guena Dimitrova (1941-2005), due delle soprano di seconda generazione più valide dei nostri tempi.
Mercato, fiere e matrimoni sono le maggiori occasioni relazionali e di scambio, in particolar modo i festival che svolgono un ruolo decisivo in tal senso: significativi quelli di Burgas e quello “delle rose” a Kazanlak, che aprono ad artisti esteri, ma soprattutto il “Koprivshtitsa”, che ogni cinque anni raduna sulle colline dell'omonimo centro migliaia di appassionati, nel giusto clima di spontaneità e condivisione.

Quando nel 1951 Filip Kutev e sua moglie Maria Kuteva fondano il primo ensemble sovvenzionato dallo Stato (“State Ensemble For Folk Songs And Dance” o più comunemente “Filip Kutev Ensemble”), l'ascesa del socialismo ha appena dato il via, secondo modello sovietico, a una serie di restrizioni a salvaguardia dell'identità culturale e della coesione interna, come la soppressione in pubblico di ogni manifestazione di minoranza rom e la messa al bando di influenze turche, valacche e straniere in genere, ritenute pericolose. Sotto il controllo vigile del partito, la censura concede un paio di eccezioni privilegiate, perché considerate non “inquinate” e autentiche: le rappresentazioni da villaggio, eseguite da intrattenitori senza competenza professionale e quelle orientate al palcoscenico, impersonate da compagnie amatoriali che elaborano danze e rituali dal recente passato pre-anni Cinquanta. Sebbene a matrice dilettantistica, questi kolektivi sono sostenuti dal movimento nazionalista “Hudozhestvena Samodeinost” (letteralmente “Chiunque crea arte”) e guidati da coreografi istruiti alle scuole specializzate di Pleven, Kotel e Shiroka Laka, al fine di preservare il folklore locale ed esibirlo durante le occasioni comunitarie permesse dal governo.
Il pioniere Kutev, dicevamo, prende ispirazione dal Pyatnitsky Russian Folk Chorus (che a partire dal 1910 alterna ciclicamente diciotto contadini/suonatori strappati alle campagne moscovite) e inaugura la stagione del risveglio bulgaro, creando un'orchestra che è solo il fiore all'occhiello di un sistema balcanico più ampio (ben quattordici quelle attive nei maggiori centri urbani). L'ambizioso compositore setaccia in lungo e largo il paese alla ricerca delle ugole migliori, con l'idea di rinnovare in chiave occidentale le abituali canzoni monofoniche aggiungendo cambi di tempo e armonie dinamiche a quattro o cinque parti, che mettano in risalto le proprietà vocali: ecco allora che il patrimonio delle sei principali divisioni regionali (Rodopi, area di Shope, Tracia, Pirin-Macedonia, Bulgaria Settentrionale e Dobrudhza) si trasforma in sofisticato spazio teatrale. Gli amici artigiani Katsarov e Drakev gli costruiscono su misura viola e violoncello per sopperire alla mancanza di cordofoni nella sezione d'archi, immancabili poi le pittoresche gaida (cornamusa), tupan (grancassa), tambura (sorta di mandolino a collo lungo), gadulka (violino verticale) e kaval (flauto in legno), che sono i cinque capisaldi della strumentazione locale spesso corredati da duduk (altra specie di flauto) e tarambuke (tamburo).

Il “Kutev Ensemble” esordisce all'Opera di Sofia nel 1952 utilizzando strutture formali inconsuete, curiosità e bellezza però viaggiano di pari passo determinandone lo straordinario successo: il metodo fa subito proseliti tanto che viene ricalcato immediatamente da una miriade di complessi simili più o meno numerosi (costituiti in genere da dodici a venticinque musicisti) molto graditi a un pubblico non necessariamente Est-europeo.
La strada allo sviluppo di spettacoli d'insieme ora è spianata: padre della musica corale e autore di concerti sinfonici, pastorali per Messa e spartiti da film, Kutev lascia molte delle sue intuizioni rilegate in un Lp del 1955 attribuito all’“Ensemble Of The Bulgarian Republic” dal titolo “Music Of Bulgaria”, che contiene alcuni capolavori assurti a traditional (“Polegnala E Tedora”/“Theodora Is Dozing”, “Vetcheryai Rado”/“Come To Supper Tonight, Rada” o “Prez Gora Varvyaha”/“They're Going Across The Forest”), anche se va precisato che le intestazioni relative al periodo risultano spesso confusionarie e dispersive. Ad ogni modo, per volere dello stesso Kutev alcuni mesi dopo nasce il “Bulgarian State Television Female Choir”, coro femminile a cappella concepito inizialmente per la radio e la televisione di Stato (rispettivamente Bălgarskoto Nacionalno Radio e Bălgarska Nacionalna Televizija).

Il Mistero delle Voci Bulgare

Il marchio “Le Mystére Des Voix Bulgares” assume i crismi dell'ufficialità solo nel 1987, quando lo svizzero Marcel Cellier, come vedremo più avanti, rivendicherà i propri meriti sul buon esito del progetto (di qui il nome in francese), ma per facilità di lettura noi cominceremo a chiamare il gruppo “Il Mistero Delle Voci Bulgare” sin da subito. Dunque siamo nel 1952, e sulla scia dell'ottimo precedente il neonato Coro reperisce dai borghi e dai campi cantanti che non hanno studiato, ma estensione vocale e qualità sopraffine se le portano dentro, come i segni di una terra squassata dagli eventi. È proprio lì, nei piccoli centri rurali, che le lancette sembrano battere sempre la stessa ora e quel patrimonio di cui parlavamo, intriso di storia, ha messo le radici per l'eternità. Le prescelte vengono sottoposte a training intensivo sulle pratiche delle origini, caratterizzate da elementi sconosciuti alle nostre latitudini geografiche e uditive se non a qualche filologista incallito o ricercatore d'avanguardia, come lo statunitense Alan Lomax (che in quel periodo insieme al reggino Diego Carpitelli raccoglie una vasta gamma di documenti sonori in Abruzzo e nel Sud Italia) o appunto il succitato Marcel Cellier, etnomusicologo di Zurigo (oltre che organista) che in principio sdogana presso il grande pubblico il flautista romeno Gheorghe Zamfir (quello del main theme di “C'era una volta in America”, per intenderci), quindi lega indissolubilmente le proprie vicende umane e artistiche alle Voci Bulgare. Negli anni Sessanta, infatti, Cellier conduce su Radio Suisse Romande la trasmissione a cadenza settimanale “From The Black Sea To The Baltic”, tramite la quale diffonde nell'etere reperti mistici e arcani provenienti da un po' da tutta l'area del Danubio, figli dell'ascetismo tartaro ma anche della rapsodia gitana o albanese della scuola di Valona. Le canzoni si ergono su morfologia e sintassi atipiche, con riconoscibili punti cardine:

1) diafonìe, ossia un insieme di suoni differenti che, seppur combinati tra loro, l'orecchio umano percepisce come distinti;

2) dissonanze, ovvero molteplici suoni che producono un effetto straniante più o meno accentuato dalla distanza tonale utilizzata (frequenti nella fattispecie gli intervalli di seconda, di quarta e di quinta);

3) scale modali e tempi dispari con diversi segmenti tetra o pentacordali, in gran voga durante il Medio Evo e nei canti gregoriani;

4) bordone e pedale, secondo cui una nota o un accordo vengono resi in modo continuo durante l'esecuzione, differiscono tra loro per durata (sono entrambi di impiego assai antico, ma in era moderna se ne possono ritrovare alcuni interessanti esemplari in “The Velvet Underground And Nico”, “Dolphin Dance” di Herbie Hancock o “Superstition” di Stevie Wonder).

5) ritmi alterati (sette, nove e undici ottavi) dove non tutte le battute hanno la stessa lunghezza

6) contrappunto (una nota contro l'altra, punctum contra punctum), usato per connettere tra di loro melodie più o meno autonome.

Queste e altre variabili apparentemente fuori controllo trovano un miracoloso amalgama nella magia dell'improvvisazione, quando le ventiquattro donne bardate nei loro sfavillanti costumi verdi, rossi e arancioni – ciascuna di età compresa tra i venti e i settant'anni - si posizionano sul palco a cuspide o semicerchio di fronte alla direttrice, che da ormai più di trent'anni è l'abilissima Dora Hristova, in carica dal 1988 e docente presso l'Accademia D'Arte di Plovdiv. All'inizio di ogni canzone la Hristova suona un piccolo accordo di piano, quindi il Coro è pronto a entrare: il delicato processo di fusione, in fluido unico, dei tratti individuali di ogni singola cantante avviene in maniera naturale e non contorta o macchinosa, con risultati anzi accessibili a un’audience che pure ha poca dimestichezza col bulgaro. La platea rimane allora ipnotizzata dinanzi a simili trance vocali e un repertorio di base incredibilmente variegato, fatto di pezzi di breve durata (si va in genere dai tre ai quattro minuti) più vicini al folk che non alla classica, riadattati da musicisti talentuosi: lo stesso Filip Kutev in primis ma anche Kiril Stevanov, Petar Lyondev e soprattutto  Nikolaj Kaufman, bravo quest'ultimo a carpire, più di chiunque altro, la potenza evocativa e la formidabile caratura espressiva dell'assetto corale ed elevarlo a suprema forma d'arte, come sollecitato dagli ideologi di partito.

Tornando a Cellier, invece, è lui a trainare il gruppo all'attenzione mediatica nel 1975, stampando per la piccola etichetta indipendente “Disques Cellier”, di sua recente istituzione, il vinile Le Mystere dès Voix Bulgares, compilation-summa di musiche bulgare che mette in vetrina sia alcune vecchie opere del Kutev Ensemble sia interpretazioni originali del Coro, davvero sbalorditive, a ricordarci una volta di più, qualora ce ne fosse bisogno, come la voce umana sia lo strumento più ricco e versatile a disposizione. L'album è il risultato di quindici anni di estenuante ricerca, ai tempi della Guerra Fredda difatti Cellier aveva vagabondato a lungo nell'Europa dell'Est con la moglie Catherine, e molte delle registrazioni vennero effettuate da lui stesso sul campo con un ingombrante Telefunken, altre provengono invece dagli immensi archivi di Radio Sofia e gli valgono il Grand Prix Du Disque. Tra le più belle sicuramente “Pilentze Pee”/“Pilentze Sings”, che illustra in apertura la pienezza dell'affiatamento d'équipe, “Erghen Diado”/“Old Bachelor” (percussività gutturali e strofe in 7/8) e le aritmie espanse di “Sableyalo Mi Agontze”/“The Bleating Lamb” e “Kalimankou Denkou”/“The Evening Gathering”, che sovvertono di continuo gli stato d'animo.
Da apprezzare anche il kaval di “Pritouritze Planinata”/“Song From The Thracian Plain”, su brevi intermezzi di fiati e assolo melismatico, l'euforica “Svatba”/“The Wedding”, l'ipnotica gadulka simil-violino in “Brei Yvane”/“Dancing Song” e la versione aggiornata di “Polegnala e Tedora” (è la storia di una giovane donna che, assopita sotto un albero, sogna la sua amata e viene risvegliata dal vento che soffia un ramo in terra).
I testi invece, tra sacro e profano, si addentrano nel quotidiano e affrontano temi come semina, raccolto e economia della casa, Pasqua, Natale e altre occasioni festive, gioie e dolori dell'esistenza. Chiudono la scaletta la litania “Messetschinko Lio Greilivko”/“Love Song From Mountains”, “Strati Na Angelaki Doumasche”/“Hajduk Song” e il de profundis “Polegnala e Pschenitza”, con toni cupi che lacerano quanto il più contrito dei blues. Un microcosmo altamente composito in perfetto equilibrio tra antiquariato e novità universale, qualcuno lo ha definito, non a torto, “familiare ed estraneo allo stesso tempo, come l'abbraccio di una madre che non è la propria”.
In sintesi, un primo raffinato esempio di world music entrato nelle grazie di tutte quelle star che negli anni Settanta cominciavano a sentirsi soffocati nei varchi angusti del pop: Frank Zappa, George Harrison e Jerry Garcia dei Grateful Dead ne fecero uno dei loro ascolti preferiti, addirittura poi nel 1977 la sonda Voyager, in missione interstellare, deposita nello Spazio un “Golden Record” in rame ed oro (da lasciare a eventuali alieni in ricordo del passaggio umano) con su incise foto degli abitanti della Terra, la nostra posizione nel sistema solare etc. e, tra i vari brani, “Izlel Ye Delyo Hadyutin”/“Delyo Has Become A Hajduk” intonata da Valya Balkanska, una delle Voci.

Peter Murphy, Ivo Watts-Russell, la 4AD

Sul nostro pianeta, invece, la fama della combriccola decolla definitivamente a livello globale una decina di anni dopo, ci mette lo zampino l'ex-leader dei Bauhaus, Peter Murphy, che, traferitosi ormai in Turchia in pianta stabile, al rientro nei Blackwing Studios di Londra per le registrazioni del suo primo album solista “Should The World Fail To Fall Apart” (1985) si porta appresso un’audiocassetta di terza o quarta generazione e al termine delle session la fa ascoltare a Ivo Watts-Russell. “Fantastico, ne rimasi subito estasiato”, ricorda Ivo, boss della 4AD. “Stavo aiutando Pete per il disco quando al termine del primo giorno di prove mi passò il nastro, aggiungendo 'Questa la ascolteremo ogni notte'. Ero molto stanco, in piedi da ore dietro al banco di missaggio ma risposi 'Va bene', e appena arrivai a casa la inserii nel lettore. Beh, vi dico che per l'emozione le ginocchia mi si sono letteralmente piegate, mica puoi suonarmi un pezzo di musica in quel modo e pensare che me ne dimentichi... la canzone era “Prȉtourȉtze Planinata”, così il giorno dopo gli domandai 'Che diavolo è questo, Pete?'. Mi disse che gli era stata regalata da un suo amico ballerino australiano, riuscimmo a contattarlo e scoprimmo che proveniva da qualcosa chiamato Il Mistero delle Voci Bulgare, o giù di lì. Allora feci la cosa per me più ovvia, andai al negozio di dischi in Charing Cross Road che aveva un reparto ethno/world bello grosso e trovai una copia della Disques Cellier. Fu un momento culminante nella mia vita e nella mia carriera, pensai che se quelle poche note avevano fatto commuovere me, ci sarebbero riuscite con un sacco di altre persone. Rintracciai telefonicamente Cellier in Svizzera e gli chiesi di vendermi la licenza: era un uomo positivo, di spirito e con tanti propositi, ci incontrammo nel mio ufficio e trovammo subito un accordo. Credetemi, lavoravo già con i migliori: Elizabeth Fraser, Lisa Gerrard, Gordon Sharp... ma inserire qualcosa di non inglese con identica tecnica a gola aperta non mi era mai capitato, fu davvero eccitante”. Nulla di così strano o traumatico, d'altronde Peter Gabriel ha già teorizzato il suo Real World, Brian Eno ha portato i sintetizzatori in Russia e David Byrne si è dato ai piaceri del Brasile.

Dunque, nel 1986 Le Mystère des Voix Bulgares viene ristampato e distribuito in tutta Europa su etichetta 4aD, completano l'opera di divulgazione la Nonesuch negli Usa e la Philips nel resto del mondo: nessun gruppo vocale non-anglofono aveva sinora venduto 100.000 copie in Gran Bretagna e 500.000 negli Stati Uniti, ma grazie al fitto airplay del singolo promo “Polegnala e Tedora” su Radio 4 e altri canali di massa il discorso cambia radicalmente. Per NPR America è il 78° album femminile migliore di sempre, i promoter ora fanno a gara per assicurarsi le loro performance dal vivo e, qualora non fossero disponibili, andrebbe bene qualunque cosa contenga nel nome le parole “Mystery” o “Bulgaria”, tanto è il richiamo esercitato dall'ex-Coro per la Radio e la Televisione che, a scanso di equivoci, si fa chiamare di qui in avanti “Le Mystère des Voix Bulgares”, unico gruppo ufficialmente autorizzato dopo aver vinto alcune dispute legali contro altri fac-simile di Plovdiv, Tolbouchine e Pirin, che cercano gloria facile sul mercato tramite appropriazione indebita del marchio.
È l'inizio di un'ascesa vertiginosa al servizio di Dora Hristova (promossa proprio quest'anno alla guida del Coro), oltretutto è l'unico gruppo a varcare i confini nazionali con una certa insistenza, collezionando un totale di 1.250 esibizioni live nelle hall più prestigiose di Europa, Australia, Stati Uniti e Giappone (spesso dal vivo si aggrega a loro un quartetto maschile, sul palco o dietro le quinte).

Alla versione cd vengono accorpate “Mir Stanke Le” e “Schopska Pesen”: è il preludio al secondo volume Le Mystère Des Voix Bulgares vol. II, che esce nel 1988 e si aggiudica un Grammy nella categoria Best Traditional Folk Recording, in virtù di diciassette ulteriori canti della tradizione orale intonati ancora a cappella ed esaltati da alcune voci soliste messe in rilievo (Nadejda Chwoineva, Radka Aleksova e Kalinka Valcheva) che, in termini di linguaggio armonico, abbattono ogni tabù. Anche in questo caso, impossibile a parole una descrizione esaustiva dei brani se non accompagnata da ascolto analitico e accurato, per comprenderli al meglio in ogni singola sfumatura. “Stani Mi, Maytcho”/“Get Up, My Daughter” e “Messetchinko Lio Greilivko”/“You, Little Moon” saltano di tono in vibrato perfetti, “More Zajeni Se Ghiouro”/“Ghiouro Marries” e “Tche Da Ti Kupim Bela Seitsa”/“I'm Going To Buy You Some Silk” (entrambe musicate da Krasimir Kyurkchyiski) insistono sul tema del matrimonio con riverenza stridula a metà tra il gregoriano e la serenata di un usignolo (“Hey, Ghiouro is getting married/ a nightingale sings/a little bird sings”, la traduzione dei versi, la seconda impreziosisce la colonna sonora del film “Ricordi goccia a goccia” del giapponese Isaho Takahata, co-fondatore dello Studio Ghibli assieme a Hayao Miyazaki). Sempre sulle nozze, ma più nervosa, “Bezrodna Nevesta”/“Young Childless Wife”, mentre “Atmadja Duma Strachilu”, in ombroso diminuendo, è una revolutionary song a dir poco sui generis. “Spis Li, Milke Le”/“If You're Sleeping, Milke” e “Izpoved”/“Confession” indagano la sfera intima delle emozioni con singhiozzo nasale e saliscendi improvvisi; meno acrobatiche e più lineari le odi shopske “Dve Tourlaski Pesen”/“Teasing” e “Trenke, Todorke”.
Come per il precedente bestseller, pure i brani di questo album vennero estrapolati dalle liste di Cellier: si tratta di vecchie registrazioni di fine anni Settanta, poi rimasterizzate anch'esse dalla 4aD, eccezion fatta per “Ovdoviala Lissitchkatka”/“The Fox Has Lost His Cubs”, che risale al 1957 ed è accreditata all'Orchestra Yvan Kirev.
La scaletta, infine, si avvale di alcune integrazioni da artisti conterranei: la gemma “Dragana I Slavei”/“Dragana's Song” (una delle più famose dell'intero inventario balcanico) è di memoria kuteviana, “Di-Li-Do”, “Ei Mori Roujke” sono offerte dall'Ensemble di Pirin e l'ouverture “Kaval Sviri”/“The Flute Plays” dai colleghi di Plovdiv (diviene tema principale del “Xena: Warrior Princess”, fight-fantasy molto popolare negli Usa, sia pur con lyrics leggermente modificate da Joseph LoDuca).
I fan più attenti notano come il processo di occidentalizzazione intrapreso con Watts-Russell levighi parecchie spigolature, con melodie che sembrano perdere progressivamente quella freschezza e genuinità ancestrale: l'approccio si fa via via meno difficoltoso e, se così si può dire, orientato al pop, ma nel complesso, intendiamoci, Le Mystère Des Voix Bulgares vol. II è ancora un lavoro maestoso, se ne accorge Kate Bush che nel 1989 le vuole fortemente al suo fianco, “impressionata da un livello creativo così intenso”. Accettano l'invito le soliste di lunga militanza Stoyanka Boneva, Yanka Rupkina ed Eva Georgieva, che fuori dall'attività col Coro ne portano avanti, sin dal 1975, una parallela a nome Trio Bulgarka. Le tre possono vantare già alcuni discreti Lp di canzoni popolari, “The Forest Is Crying/Lament For Indie Vojvode” del 1988, “Bulgarka Folk Trio” del 1989 e “Bulgarka Vocal Trio” del 1990, e sull'album “Sensual World” della cantante inglese si prestano ai brani “Deeper Understanding”, “Never Be Mine” e “Rocket's Tail”, mentre Lisa Gerrard in un'intervista al New York Times rincara la dose: “Se c'è qualcuno che è stato profondamente cambiato dai loro modi, quella sono io”. E in effetti “Cantara” e “The Host Of Seraphim”, ma anche “Ocean” e “Avatar” dei primissimi Dead Can Dance percorrono i binari della magica sfida, e più avanti le Voci avranno modo di collaborare anche assieme all'artista australiana.

Intanto però nel 1989 ecco Le Mystère Des Voix Bulgares vol. III, che amplia gli orizzonti ai contributi di Trakia Choir, Tolbuhin Choir e Rodopi Smolian Choir: le canzoni si nutrono al solito di grande tecnicismo ed echi tribali, nel cui impeto le interpreti accettano di scomparire come individualità in favore del collettivo. Ogni brano riflette un aspetto diverso del quotidiano cui ciascuno di noi si può facilmente rapportare, con sonorità non morbose adeguate ai titoli di riferimento, gioiose in “Ghel Moma”/“A Beautiful Young Lady Twinkling” e “Sekoi Fali”/“Everyone Admires Mila's Beauty”, più severe e austere in “Zlato Mori”/“Who Scretched Your Cheek” e “Izlel E Delyo Hai Dutin”/“Delio Has Gone Off To Fight”. “Dva Shopski Dueta” e “Tri Shopski Pesni” sono riadattamenti a duo e terzetto dal folklore macedone, mentre “Yo Igra Oro”/“We Have Danced The Round” (musiche di Kaufman) e “Devojko Mari Hubava”/“Pretty Young Girl” (di Krasimir Kyurkchyiski) si adagiano placide e beate su dissonanze meno acerrime che nei volumi 1 e 2, dato che la scrittura relativamente più recente (dal '73 al '89) le rende appetibili al fruitore medio.
Insomma, superato lo spaesamento iniziale, i quattordici brani che compongono il terzo album scorrono via limpidi, senza intoppi, malgrado sacralità ieratica e tragicità latente di “Sedi Moma”/“A Young Girl Was Sitting In The Garden”, “Aychinko Pilia Chereno”/“Little Rainbow Collored Bird” e “Sedenkarska”/“A Young Woman Singing At Their Evening Work” esigano escursioni ritmiche e spostamenti micro-tonali per una messa in scena efficace.
Le impennate melodiche “Shope, Shope” e lo scherzetto “Moma Voda Nossi”/“Young Girl Drawing Water” chiudono il cerchio sul loro lavoro più completo, almeno quanto a varietà stilistica, menzione a parte per il gravoso requiem/solo voce “Altan Mara”, che con 7.25 minuti di durata è sinora il brano più lungo.

Gli anni Novanta: Angelite, Pipppero e altre Voci

A causa di alcune divergenze dovute all'enorme richiesta, nel 1992 si rende necessaria una scissione pacifica all'interno del gruppo: Le Mystère des Voix Bulgares prosegue il cammino come coro televisivo, mentre l'ala cosiddetta “Bulgarian Voices Angelite” lavora alla radio, dunque d'ora in avanti attenzione alla nomenclatura, ma la proposta musicale è pressoché identica. Viene subito pubblicato dall'etichetta tedesca Jaro Medien A Cathedral Concert, che riprende un live del 12 giugno1988 tenuto nella splendida cornice della Cattedrale di Brema, quindi sempre nel 1992  il “Trio Bulgarka” approda in Italia per il “Pipppero”, memorabile singolo di Elio e Le Storie Tese destinato a lasciare il segno nelle nostre chart e a cambiare per sempre le sorti degli Elii. La band milanese, difatti, ha alle spalle uno spumeggiante esordio, “Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu” (1989), in bilico tra satira, campionamenti e citazioni a iosa, ma mai compreso appieno dal pubblico nostrano; con “Italyan, Rum, Casusu, Çitki” (1992), di cui “Pipppero” è il secondo singolo estratto, da eroi di culto assurgono allo status di fenomeno nazionale.
La strampalata collaborazione nasce a Monaco di Baviera, dove dieci giorni prima delle registrazioni il tastierista Rocco Tanica incontra la direttrice Dora Hristova e un ambasciatore per stendere accordi. “Il muro divisorio era già crollato da tempo ma erano comunque soggette a un controllo molto severo, per cui il mio compito fu quello di garantire una certa sobrietà”. Di contro Georgieva, Rupkina e Boneva sono reduci dal prestigioso cameo su “Sensual World” di Kate Bush cui abbiamo accennato poc'anzi. “Pipppero”, tutt'altro che sobrio, esce il 6 maggio 1992 raggiungendo un incredibile notorietà, infarcito com'è di gustosi doppi sensi a sfondo sessuale (Dilmana ci spiega come per far crescere bene i peperoni, “pipero”, occorra piantare il seme e spingerli bene nel terreno) e numerosi sample eurodance, quello portante è “I've Got Power” degli Snap! ma si riconoscono anche “I Feel Fine” dei Beatles per la chitarra, “Piranha” di Afric Simone per il basso, “Barbara Ann” dei Beach Boys e la divertente “Ramaya”. La filastrocca del testo prende spunto dal canto “Dyulmano, Dyulbero”, che in italiano sfocia per assonanza nel tormentone “più umano, più vero (...e un ballo sincero)”, mentre la spassosissima spy-story del videoclip racconta di come “dopo l'esibizione televisiva del 1 maggio 1991 Elio e Le Storie Tese, braccati dal governo, fuggono in Bulgaria, dove vengono trattenuti come ostaggi musicali perché ritenuti trafficanti internazionali di “Ramaya”, la canzone proibita. Nell'aprile 1992, grazie all'intervento di alcune emittenti radiofoniche amiche, i componenti del complessino riescono a rientrare in Italia dietro la promessa di consegnare la propria copia di “Ramaya” alle autorità locali. In un drammatico scambio alla frontiera italo-bulgara essi ricevono in cambio una copia del loro ballo nazionale, il Pipppero... “. Sul finire Elio, con una gag tutta da ridere, si dice disposto a offrire al governo bulgaro, pur di avere in cambio il Pipppero, tutta una serie di brani a suo dire migliori di “Ramaya”, tra cui “Gimme Some” di Jimmy Home, “Disco Inferno” dei Trammps, “Daddy Cool” e “Rasputin” di Boney M. ma anche “Il Meglio” dei Tavares e “Sandokan” e “Orzowei” degli Oliver Onions... Strepitoso.
Il “Pipppero” trascorre sei settimane alla numero uno in Italia e l'appeal balcanico cresce a dismisura, ne sa qualcosa David Bowie che giusto un mese dopo, il 6 giugno, sposa a Firenze la modella Imam, e al posto della marcia nuziale fa suonare “Kalimankou Denkou”/“The Evening Gathering”.

Nel 1993 le Bulgarka sono di nuovo con Kate Bush sull'album “Red Shoes” (“The Song Of Solomon”,“You're The One” e “Why Should I Love You?”, su quest'ultima è presente anche Prince), quindi scompaiono un po' dai radar come trio per dar sfogo ad alcuni progetti individuali: le ritroveremo qua e là nelle vesti più disparate, tipo From Bulgaria With Love - sorta di best of a scarsa tiratura commerciale che prova a cavalcare l'onda con improbabili versioni remix di “Pipppero” e altri brani tradizionali in salsa funky/new-age (arrangiamenti elettronici di Vladimir Ivanoff & Trance Formation) - o il doppio live Lale Li Si (Melody, Rhythm And Armony), repertorio classico molto più accattivante e accreditato alle “Bulgarian Voices Angelite”, dirette dalla brava Vanja Moneva (viene registrato a marzo nella Cattedrale di Nidaros a Trondheim, in Norvegia, guadagna una nomination al Grammy).

Sempre nel 1993 esce Bulgarian Custom Songs stavolta de Le Mystère des Voix Bulgares: è una compilation di Christmas Carols (“Levent Nikola Edin Na Mama”/“Strapping Nikola, Mother's Only Son”) e invocazioni per il giorno di San Lazzaro (Lazarovden), che nel calendario bulgaro precede la Domenica delle Palme e celebra, oltre alla Resurrezione di Lazzaro di Betania, le donne in età da marito. L'argomento ricorre in moltissimi brani (“Zhalba Za Lazara”/“Lament For Lazarus”, “Lazarski Bouenets”/“On Entering The House”, “Lazar Ide, Lazar Sheta”/“Lazar Is Coming, Lazar Is Roaming About”, “Malki Momi Lazaritsi”/“Young Girls Lazaritsi”), nel tentativo programmatico di mettere a confronto le due festività più sentite nelle rispettive culture. A Natale la Chiesa Cattolica commemora la natività di Cristo, eppure il significato profondo dell'usanza è nelle antiche credenze pagane sulla nascita del nuovo Sole. In Bulgaria il giro di canti natalizi comincia di solito a mezzanotte della Vigilia e termina alle luci dell'alba, quando giovani uomini (capeggiati da un supervisore anziano, definito “Stanenik”) si recano a intonarli nelle case dei parenti, dei vicini e altri amici di Paese lasciando in dono un bastone, detto “Gega”, a garanzia di salute, fertilità e ricchezza. Il trittico per solo voce “The First Song On The Road”, “On The Road” e “The Second Song On The Road” apre il banchetto con contegno minimalista, osano di più “Protekla E Mutna Voda”/“Turbid Waters Were Flowing” e “Tsarko Momche Kon Sedlae”, con ritmi sincopati e scaglione modale. “Vurba Ima, Vurba Nyama”/“For A Young Bride” e “Pohvali Sa”/“For An Unmarried Young Woman” guardano all'universo femminile con mood crepuscolare, da notare infine l'angelico “Tebe Poem”/“We Sing A Song For You” a linee vocali raddoppiate, suddiviso in un piccola intro denominata “For The Hold Host” e il pezzo vero e proprio, “For A Shepard”.

Tra dicembre 1993 e luglio 1994 viene alla luce a Sofia Ritual, che invece si può definire un album inusuale per Le Mystère des Voix Bulgares, anzitutto per la presenza di due ospiti maschili, Daniel Spassov e Vladimir Kouzov, in “Houbava Milka”/“Beautiful Milka”, “Koledarska Pesen”/“A Christmas Lad Song” e “Ai Nazdrave”/“Cheers!”, e poi perché all'interno della scaletta si può rilevare una gran quantità di pezzi strumentali, che per una band che negli anni ha fondato la propria nomea su strabilianti polifonie vocali è un dato che fa riflettere.
Non siamo al cospetto di una crisi di identità, dato che i brani, in particolare “Moma Houbava”/“Beautiful Girl” (musiche di Peter Lyondev) e “Tebe Peem-Za Ovchariya/“Song For The Shepherd” (Ivan Vulev) sono davvero coerenti al sound tipico e molto ben architettati, solo di fronte a un'altra tappa inevitabile di quel graduale processo evolutivo che sta assottigliando le abituali dissonanze (“Za Mlado Momiche”/“Song For A Young Girl” e “Vurba”/“Willow Tree”) verso un livello sempre meno aspro e più confidenziale. Tra gli spunti più interessanti l'incursione in tre atti nella musica ebraico-sefardita “A Jewish Triptych” (suddivisa da Kaufman in “La Rosa En Floresa”, “A Señora Novia” e “Lamenta”) e “Zalba Za Lazar” (“Lament For Sant Lazarus”), che scavalcano con facilità l'ultimo baluardo linguistico e danno il La a una serie di brevissime mini-suite sullo stesso tema dell'Lp precedente, e cioè il Natale (“Nazdrave Ti, Chorbadjiio”/“Cheers To You, Master Of The House”) e il giorno di San Lazzaro (“Lazarski Bouenets”/“The Lazarus Girls Dance In The Boueneck” e “Mur Stho Sme Se Razigrali”/“Hey, Let's Dance [The Boueneck]”.
Nota di merito per “Bulgarski Einicheski Melodii” (traduzione emblematica Bulgarian Ethnic Melodies), altro lungo (circa sette minuti) e gradito tuffo all'indietro nelle melodie tradizionali più autentiche.

La Nonesuch nel 1995 rilascia sul mercato americano un box-set che accorpa i fortunati Le Mystère De Voix Bulgares Vol. I e II, segue una pausa di circa tre anni che vede il Coro lontano da impegni discografici e immerso in un'incessante serie di concerti ad ogni angolo dei cinque continenti, impossibile elencarli tutti. Dalla Germania alla Danimarca, dal Belgio alla Russia, dal Canada, all'India al Messico: l'accoglienza è ovunque trionfale, a testimonianza della credibilità di un marchio che trascende ogni linea di demarcazione tra Est e Ovest, antichità e modernariato, intellettuale e popolano.
Frattanto la costola “Bulgarian Voices Angelite” si prodiga in una campagna a favore di Amnesty International Italia, cui fanno seguito un paio di vivaci collaborazioni con i Kodo Drummers dell'isola di Sado e gli Huun-Huur-Tu della repubblica di Tuva (guidate dal pianista russo Mikhail Alperin), quindi nel 1996 si esibiscono al Teatro Nazionale di Oslo in occasione del gala per la consegna del premio Nobel per la Pace (insieme a loro il sassofonista norvegese Jan Garbarek, la beninese Angelique Kidjo ed altri).
Nel 1997 sempre le “Angelite” sono di scena alla Piazza Rossa di Mosca, assieme a Luciano Pavarotti, per l'850° anniversario della nascita della città, un anno dopo invece forniscono i cori all'album “A Christmas In Rome” dei dublinesi Chieftains.

Il 1998 però è anche l'anno di Le Mystère des Voix Bulgares vol. IV, ultimo capitolo di una saga tutt'altro che stantia, ma che anzi pare trarre nuova linfa dalle esperienze accumulate negli anni al fianco di artisti pop/rock (Elio e Le Storie Tese e Kate Bush), jazz (Moscow Art Trio) e fusion (i tedeschi Sarband, che fondono organo alemanno a musiche klezmer e musulmane). Ancora intervalli armonici, cambi di registro e timbri metallici, non l'album migliore, ma il caleidoscopio ampio risulta estremamente allettante, con un proprio etimo distintivo capace ulteriormente di progredire ad Ovest. L'ouverture “Radke, Mame, Radke”, ad esempio, ha una impostazione quasi hip-hop, peccato che il bel flautino anarchico di “Ovchar I Vjatir” si perda un po' nella monotonia sullo sfondo di vocalizzi ethereal-nonsense.
In scaletta troviamo la “Dyulmano, Dyulbero” resa celebre da Elio (dura appena 1.58), un paio di collaudate odi schopske per duo e sestetto (“Shopski Duet” e “Shopski Sextet”) di derivazione macedone e una rilettura fedele di “Ghel Moma”, che già avevamo trattato nel volume III. “Sama Li Si Den Zhanala”/“Were You In The Fields Alone?” e “Zapali Se Planinata”/“The Burning Mountain” raccontano ciclo della natura e impegno bucolico, il parto quadri-gemellare “Horo”, “Vito Horo”, “Vocalisa I Horo” e “S'Gaida Na Horo”, invece, trasfigura quattro danze di festa in cacofonia ardita. Belle “Traka Traka Stanke”, con arrangiamento accentuato di indirizzo trip, l'incantevole “Kuchika Tycha” e “Duda e Bolna”, di decoro ortodosso vicino al modus delle origini. Risulta un po' fuori contesto solo l'arabeggiante “Tsoninata Majka” (per voce maschile), che vira al Medio-Oriente in maniera goffa e non pare essere il loro campo da gioco.

Nel complesso, Le Mystère des Voix Bulgares vol. IV è l'ennesimo lavoro suggestivo, che almeno per il momento, però, sembra porre la parola fine sulla storia delle Voci Bulgare. La produzione in studio difatti si interrompe bruscamente, visti però il valore del gruppo e gli enormi apprezzamenti ricevuti, si susseguono innumerevoli inviti a eventi, collaborazioni e iniziative di altro tipo: il coro accompagna in tour Goran Bregovic, con il quale aveva già collaborato in alcuni brani storici - come “Ederlezi” (per la colonna sonora di “Il tempo dei gitani” di Emir Kusturica) - e nel 2000 partecipa allo show di Raiuno “Il Vaticano saluta il mondo”, che brinda al nuovo millennio, quindi offre i propri servigi sui brani “Yantra”, della violinista thai-britannica Vanessa Mae, e “Cry Of A Lady” del Kronos Quartet, in crescendo neo-classico.
Notevoli “Temen Oblak”/“Dark Clouds”, scritta da Christopher Tin in compartecipazione con l'Orchestra Sinfonica di Londra, e la sontuosa “Shto Li”, che si può ascoltare nella colonna sonora del film del 2005 “Alone In The Dark”, tratto dall'omonima serie di videogiochi survival-horror e composta dal francese Olivier Deriviere.

Nel frattempo le “Angelite”, agli ordini del nuovo direttore Georgy Petkov, danno alle stampe dapprima “Balkan Passions” (aprile 2002), con l'intento di continuare a diffondere le civiltà balcaniche (ospiti la greca Maria Farantouri, la turca Sezen Aksu e le Fanfare Ciocălria dalla Moldavia), quindi il natalizio “Angel's Christmas”, promosso da una tournée in Germania e in Italia.

BooCheeMish, 2018: il ritorno delle voci

Nel 2018 l'inatteso arriva un inatteso colpo di scena: dopo un silenzio durato quasi vent'anni Le Mystère des Voix Bulgares pubblicano BooCheeMish via Prophecy Records, che vede finalmente la stellare partecipazione di Lisa Gerrard, libera qui di sguainare le sue impressionanti corde vocali oltre che co-autrice, assieme a Petar Dundakov, dei brani “Pora Sotunda”, “Mani Yanni”, “Unison” e “Shanday Ya”. “Quando le conobbi, mi ero appena trasferita a Londra con Brendan Perry e avevo firmato con la loro stessa etichetta, la 4aD. Mi cambiarono la vita, in un momento in cui la musica era tutta orientata al post-punk dei Joy Division e roba simile. Non mi sono mai veramente sintonizzata con quel lato oscuro e depresso del lavoro col quale Brendan, invece, si trovava perfettamente a suo agio. Ero pronta a rinunciare, ma le bulgare furono la mia salvezza perché amavo la loro gioia e la luce pura, che ti colpiscono dritte allo stomaco”.
BooCheeMish indossa una veste, per forza di cose, più scintillante del solito, con archi, drum-machine e percussioni rigogliose, oltre ai caratteristici intervalli che ben si associano all'impostazione spettrale e angosciata della chanteuse australiana, figlia legittima dell'inquieta stagione dark anche se distante, per sua stessa ammissione, da atmosfere caliginose e lugubri. Ma religiosità, folklore, e medievalismo la Gerrard ce li ha nei cromosomi, dunque il suo bagaglio si sposa a meraviglia con le geometrie ataviche del Coro. L'affilata “Mome Malenko” (sul lavoro nei campi, tam-tam di David Kuckhermann) converte la stratificazione vocale in una specie di mantra, il quartetto d'archi in “Stanka” devia invece verso la cameristica. “Ganka”, dettata da un effimero tamburo, narcotizza lenta l'ascoltatore come soporifera nenia di mille anni fa, mentre l'ipnotico singolo “Pora Sotunda” schiude sorprendentemente a sonorità che lambiscono il pop, oscillando cadenzata tra le curve della laringe. Il suono fluisce senza vincoli, condotto con assoluta precisione da Dora Hristova: son passati quasi trent'anni dalla prima apparizione, ed Elena Bozkhova, la più anziana del gruppo, è l'unica superstite in vita degli originali bestselling. “Eravamo felici ma non altezzose”, racconta nostalgica. “Non ci siamo mai sentite delle star, solo delle persone normali cui veniva ordinato di cantare, negli Auditorium di Los Angeles come in una piazza a Torino, o a piedi nudi nell'India. Le nostre voci caddero come una pioggia cosmica, usavamo quella tecnica a gola aperta che non è dolorosa, ma se non sai usarla può danneggiarti”.
Oggi molte cose sono cambiate, con la fine del comunismo non hanno più un salario garantito, ma lo stile è rimasto invariato: quarti di tono, effetti-drone e ritmi inaspettati: “Sluntse” è una ballata in cui le voci si dissolvono presto e la fanno da protagonisti violino e chitarra, con finale che si incammina sulle strade del jazz, più castigata “Zobleyalo Agne” (“L'Agnellino”, kaval di Kostadin Genchev), con dedica a uno degli animali più importanti della tradizione. L'elegante “Mani Yanni” (senza dubbio una delle migliori) intreccia a spirale, con pathos raro, toni che salgono dalla caverna ai timpani, ottime pure “Unison”, scandita da un continuo e coinvolgente handclapping, e la gioviale “Tropanitsa”, che mischia tropicalismi a un'insospettabile arietta da serie tv anni 70.
Funziona meno il beat-box contraffatto di SkilleR nella pretenziosa “Rano Ranila”, meglio il ballo tradizionale all'olio di rose “Yove” e la vivace “Shandai Ya” (riedita qualche tempo dopo in formato Ep), che mette il sigillo su un ritorno energico e ben riuscito, promosso da una trionfale tournée congiunta in tutta Europa assieme a Lisa Gerrard, con scalo il 9 dicembre 2018 all'Auditorium Parco della Musica di Roma, unica data italiana: per chi era presente, una serata che sarà impossibile dimenticare, quando per raccontare un'emozione gli strumenti diventano un lusso quasi inutile e bastano solamente ventiquattro voci, più una...

Le Mystère Des Voix Bulgares

Discografia

Le Mystère Des Voix Bulgares (Disques Cellier,1975 - 4AD, 1986)

8,5

Le Mystère Des Voix Bulgares vol. II (4AD, 1988)

8

Le Mystère Des Voix Bulgares vol. III (Disques Cellier, 1989)

7

A Cathedral Concert (live, Jaro Medien, 1992)

7,5

Bulgarian Custom Songs (Gega New, 1993)

6,5

Ritual (Elektra Nonesuch, 1994)
6
Le Mystère Des Voix Bulgares vol. IV (Philips,1998)

7,5

BooCheeMish (4AD, 2008)

7,5

Pietra miliare
Consigliato da OR

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Polegnala e Tedora

Kaval Sviri

Goran Bregovic - Ederlezi
(da Il tempo dei Gitani, 1988)

Elio e Le Storie Tese - Pipppero
(da Italyan, Rum, Casusu, Çitki, 1992)

 

Moma Houbava

Pora Sotunda
(da Boochemish, 2018)

Mani Yanni
(da Boochemish, 2018)