Gold Panda è lo pseudonimo del producer Derwin Schlecker, nato a Londra nel 1980 e cresciuto nell’Essex. Dopo aver pubblicato una serie di singoli – tra cui l’esplosivo "Quitter's Raga" su Make Mine – esordisce nel 2010 con “Lucky Shiner” pubblicato da Ghostly International.
L’album è un compendio di elettronica moderna, perfettamente calato in un'era di sfrenato post-modernismo. Scardinando ogni schema, il disco viaggia spedito disorientando l'ascoltatore con un approccio alla composizione decisamente schizofrenico e movimentato. Si ha la sensazione che Gold Panda abbia espresso solo in minima parte il suo potenziale tale è la deliziosa confusione che regna all'interno di questa sua prima prova lunga.
Nel 2013 pubblica “Half Of Where You Live”, ancora su Ghostly International, che disattende leggermente le ottime premesse messe in mostra dal lavoro di debutto. Dove il predecessore esplodeva in un florilegio di colori e tentazioni, il nuovo album dell'inglese sorprende per pacatezza e monotonia compositiva, siamo infatti di fronte a un disco di elettronica bloccato su standard ben realizzati. Non c'è un singolo esplosivo come “You”, non c'è quella mistura di sensazioni che aveva elevato pezzi come “Same Dream China” o “Before We Talked” sopra la media delle produzioni in vigore in quel periodo. Tuttavia, l'album è ben prodotto, i suoni sono spesso piacevolissimi e il nostro tiene ancora le redini ben salde, dando l'impressione di poter esprimere ancora molto.
Nel 2016 è la volta di “Good Luck And Do Your Best”. In questo terzo tassello – primo per City Slang - la perfetta fusione fra Idm, house e downtempo viene ripresa dove il precedente disco l'aveva interrotta. I Synth melodici e profondamente atmosferici in sottofondo, break di tempo inframezzati da campioni vocali e alcuni punteggi di tastiera dell’iniziale “Metal Bird” sono il perfetto inizio per un disco che sa di buona musica dai primi minuti. Fortemente influenzate dalla vita in Giappone, le composizioni di Gold Panda assumono una sorta di vitalità zen che porta a non spingere mai fino in fondo sull'acceleratore, lasciando implodere dolcemente le tracce. Il disco continua su questa falsariga dispensando altre gemme (la serafica "Halyards"), spingendo in alcuni casi più sul ritmo (le più decise "Time Eater" e "Song For A Dead Friend") senza mai cedere il passo alla noia o a qualche passaggio a vuoto.
A sei anni di distanza, sempre su City Slang, arriva “The Work” che segna un’ulteriore evoluzione lessicale intimamente connessa ad un radicale cambiamento di vita. In questo lungo lasso di tempo, infatti, Derwin si è sposato ed è diventato padre, ha smesso di bere ed ha intrapreso un percorso di terapia trovando una dimensione più solare ed equilibrata. A tutto ciò non corrisponde una virata drastica sul versante sonoro, ma un senso dominante di leggerezza si irradia dagli incastri di loop, campionamenti vocali e pulsazioni tendenzialmente downtempo, un’aura di quieto benessere che guida l’abile mano di Schlecker verso soluzioni lussureggianti (“The Dream”, “New Days”) intrise di suggestioni di quel Sol Levante sua seconda patria (“Arima”, “Chrome”). La reale differenza risiede qui nella volontà di definire territori maggiormente compositi affidandosi ad una accresciuta consapevolezza dei propri mezzi, attitudine evidente nello sviluppo dinamico di “The Want” e nell’improvvisa esplosione house in odore Daft Punk di “I’ve Felt Better (Than I Do Now)” che spezza il tono altrimenti dimesso del disco. È proprio in questo andamento fin troppo costante – anche se di notevole qualità - che risiede il limite dell’album, ma si tratta comunque di un peccato veniale che poco toglie ad un itinerario che sancisce il raggiungimento di una piena maturità artistica.