Black Tape For A Blue Girl - Sam Rosenthal

Black Tape For A Blue Girl - Sam Rosenthal

Il gotico da camera

Un esploratore degli anfratti più oscuri dell'esistenza. Un poeta-filosofo al cospetto di realtà e visioni indescrivibili. Con i suoi Black Tape, Sam Rosenthal ha reinventato la musica gotica. E con la sua label Projekt ha lanciato una scena e una estetica tra le più affascinanti degli ultimi anni. La monografia del suo progetto e l'intervista che ci ha concesso in esclusiva

di C. Fabretti, M. Roma, F. Nunziata

Black Tape For A Blue Girl è lo strumento con cui Sam Rosenthal ha praticamente reinventato la musica gotica. Un progetto aperto in cui il tastierista e songwriter (e orgoglioso "non musicista", secondo l'espressione coniata da Brian Eno) si è circondato di talenti in gran parte provenienti dalla pregiata scuderia della Projekt Records, l'etichetta discografica da lui stesso fondata nel lontano 1983 e diventata il centro della odierna scena "gothic" americana.
"Tracce di una purezza più profonda", il titolo del loro capolavoro, rende appieno il senso della loro musica celestiale, in cui tutte le possibili implicazioni terrene del nostro vagabondare assumono connotati "originari", e, per l'appunto, di una purezza più essenziale. Nelle composizioni di Sam Rosenthal, infatti, la musica diviene voce autentica del fondo oscuro e caotico dell'esistenza, svelando l'intensità del fuoco che si agita sotto la superficie apparentemente placida del reale.
La forma-canzone, allora, viene dissolta dal turbinio apocalittico di un formato musicale che deriva dalla perfetta compenetrazione tra la sensibilità dark e l'austerità della musica classica da camera. Un minimalismo elettro-acustico capace di produrre accordi come candidi nugoli di figure incantate che fluttuano nell'etere, scivolando poco a poco nell'illusione mentale del sogno, similmente all'arte visiva di Marcel Duchamp che molto ha ispirato il lavoro di Rosenthal, insieme ai libri di Franz Kafka, Jean-Paul Sartre e Leopold Von Sacher-Masoch. Su questo canovaccio si inseriscono le voci solenni di cantanti come Oscar Herrera, Lucian Casselman, Elysabeth Grant, tutti meravigliosamente a loro agio in queste accecanti partiture d'ignoto.
"I Black Tape For A Blue Girl sono il luogo dove trasformo i miei pensieri e le mie visioni in arte - spiega Rosenthal - Ogni persona che lavora con me aggiunge il proprio talento, ma sapendo che io ho deciso dove deve essere aggiunto. E' come una commedia. Io sono il regista, e ho l'ultima parola".

Ipnotizzati dalle sirene

Cresciuto in Florida, a Fort Lauderdale, Rosenthal fonda la Projekt nel 1983, originariamente come canale di diffusione delle sue composizioni elettroniche. Trasferitosi in California per completare gli studi, tre anni dopo fonda i Black Tape For A Blue Girl. Con uno standard sonoro di base: uno strato etereo di tastiere elettroniche, un intrico di delicati arrangiamenti acustici e un'interpretazione vocale affidata a cantanti di scuola classica, primo tra tutti Oscar Herrera. Come se le sonorità più ombrose di Dead Can Dance, Miranda Sex Garden e This Mortal Coil fossero tramutate in sinfonie di Prokofiev.

La formula viene messa a punto per la prima volta su The Rope (1986), un album diviso in due parti: una cantata e una strumentale. Non c’è più quasi nulla del tradizionale impianto gothic, ne resta però l’ombra in filigrana, celata dietro i grigi paesaggi autunnali o nell’espressione malinconica del volto femminile ritratto in copertina. Pur acerbo e registrato in modo amatoriale, il disco mette già in luce le loro estasi sognanti e sinistre, cullate dai synth avvolgenti di Rosenthal. Le voci di Oscar Herrera e Kim Prior, sposandosi ai violini di Candy Sherlock e Lara Radford, danno vita a salmodie solenni ("Memory, Uncaring Friend", "End"), che occhieggiano talvolta a Est ("The Holy Terrors") o indulgono in atmosfere thriller ("Hide In Yourself"). Si coglie un sound più ruvido e una più marcata percussività rispetto alle dilatazioni ambientali dei lavori successivi, grazie anche alla presenza del multistrumentista Allan Kraut (batteria, chitarra e basso).
La seconda parte del disco, invece, esalta il lato strumentale dell’operazione: "Seven Days Till Sunrise" è finemente ricamata dagli arpeggi della chitarra di Greg Wilson e impreziosita da clarinetto e violoncello, il lied classicheggiante per archi di "The Floor Was Hard But Home" è un saggio della loro rarefatta eleganza, la title track ammanta di esotismi indiani una delle loro trame più "rock", "The Few Remaining Threads" richiama persino accenti western e "The Lingering Flicker" affonda in languidi onirismi di matrice dream-pop. A chiudere, "We Return", dove tutto sfuma in una labile iridescenza folk, con le voci che si mescolano ai soffici tappeti di sintetizzatori e violini.

Nello stesso periodo, il musicista americano si dedica anche a Before The Buildings Fell, progetto solista che si rifà al minimalismo ambientale di Steve Roach.

Black Tape For A Blue GirlUn anno dopo, con Mesmerized By The Sirens, Rosenthal accentua la componente atmosferica e mistica della sua musica. Tornano i suggestivi paesaggi ambientali e le voci femminili da giardino dell’Eden (l'ouverture di "Jamais Pars" e il finale di "Seireenien Lumoama" - quest’ultima con un arpeggio di chitarra che insegnerà parecchio ai Portishead di "The Rip"), e la matrice dark-wave si fa ancor più evanescente, a vantaggio di un ethereal-ambient prossimo a certe produzioni di Dead Can Dance e di scuola 4AD in generale (i vocalizzi mesmerici di Sue-Kenny Smith, ad esempio, non nascondono il debito alla musa eterea Elizabeth Fraser).
Rosenthal cesella livide ballate da camera ("Dark Skinned And Inviting", "With A Million Tears"), che coniugano il linguaggio algido dell’avanguardia (Budd, Roach) con aperture melodiche di palpitante intensità. Uno spleen desolato e romantico che traspare anche dai testi, storie di cuori spezzati e dolori inestinguibili: su tutti il ritratto amoroso a tinte gotiche di "A Teardrop Left Behind", declamato da Herrera con impareggiabile pathos sullo sfondo intessuto dalla chitarra acustica di Walter Holland e dai sontuosi arrangiamenti sintetici di Rosenthal. Altra prova da brividi di Herrera è "Beneath The Planks", con il clarinetto di Richard Watson e il clavicembalo sintetico di Rosenthal a infondere un senso di classicità. "Scream, My Shallow", con recitato in spagnolo, lambisce vette da horror lovecraftiano.
La varietà dei cantanti (otto in tutto) e degli strumenti non inficia la solidità di un disco che ripudia schemi e strutture convenzionali della canzone rock (le uniche concessioni sono forse i due nuovi brani cui collabora ancora Kraut) per abbracciare quel sound arioso e sinfonico che caratterizzerà le produzioni successive.

L'evoluzione verso questo peculiare "gothic-ambient" si completa nel successivo Ashes In The Brittle Air (1989), dove alle consuete tessiture atmosferiche si aggiungono altre straordinarie prodezze vocali, con Herrera e Kenny-Smith ancora una volta sugli scudi. Ma a impreziosire il disco è anche la folta pattuglia di musicisti coinvolti, per una congerie di strumenti che svaria dalle chitarre agli archi, dalle percussioni al clarinetto.
La prima parte dell’opera racchiude alcune ballate ad effetto, che affondano le radici nelle litanie più mesmeriche dei Cocteau Twins e nelle brughiere medievali dei Dead Can Dance. L'eterea title track naviga in un brumoso stagno sintetico, punteggiata dal battito tribale delle percussioni, con il bisbiglio fatato di Kenny-Smith che si fa sempre più angelico; "Across A Thousand Blades" è un numero gotico d’alta scuola, con l’angosciosa interpretazione di Herrera cadenzata da pulsazioni ossessive, basso fretless e chitarre à-la Siouxsie And The Banshees; "The Touch And The Darkness" sprofonda in voragini di trance cosmica; mentre "The Scar Of A Poet" risuona direttamente dall’oltretomba, con i suoi echi, rumori sinistri e carillon funerei.
La seconda parte dell’album, invece, si fa più sperimentale, tra rarefatte sinfonie elettroniche ("Am I So Deceived"), sospiri fatati alla Enya ("I Ran To You") e vocalizzi free dei cantanti ("From The Tightrope").
I testi, fortemente influenzati da Nietzsche e dall’esistenzialismo, raccontano storie di titanica disperazione sentimentale.
Un album ben confezionato, che lascia tuttavia un senso di incompiutezza. Resta l’impressione che la band, con gli strumenti ormai acquisiti, possa fare di più.

La Projekt nel frattempo comincia a diventare un faro nella scena gothic statunitense anche grazie al contemporaneo debutto dei monumentali Lycia di Michael Van Portfleet, che daranno vita a un'altra spettacolare epopea. E Rosenthal è più che mai il deus ex machina di questo rinascimento dark sotto il sole della California.

Il tormento e l’estasi

Con A Chaos Of Desire (1991), i Black Tape presentano nuovamente un pugno di cantanti formidabili, tra cui il fidato Oscar Herrera e Julianna Towns (Skinner Box). L’altra guest star d’eccezione è Pat Ogl dei Thanatos, voce e chitarra nella placida "How Can You Forget Love?". Attingendo agli acquarelli ambientali di Brian Eno e alle salmodie glaciali di Nico, Rosenthal e compagni riescono a imbastire atmosfere al tempo stesso celestiali e lugubri, luminose e funeree.
All'onirica ouverture di "These Fleeting Moments" si susseguono lieder di austera solennità: la title track, tutta giocata su rimbombi minacciosi di organo, il madrigale per pianoforte di "Tear Love From My Mind", affidato al sublime soprano della Towns, la più ritmata "Pandora's Box", forte di una melodia alla Roxy Music, o la mestissima suite di "We Watch Our Sad-Eyed Angel Fall". Ma l’apice dell’intensità lirica è nei nove minuti di "The Hypocrite Is Me", altra contrita declamazione di Herrera, affogata in un fiume di electronics e impreziosita nel finale dal solo di violino di Vicki Richards.
La religiosità laica di Rosenthal riluce invece nella suite cosmica di "Beneath The Icy Floe", dove i violini disegnano volute su nebulose di tastiere à-la Schulze, e nel rapimento estatico di "Of These Reminders".
A Chaos Of Desire è la summa ideale della prima fase della carriera dei Black Tape, il disco che fissa in modo inconfondibile il loro sound.

Intanto Rosenthal si concede anche un diversivo, in combutta con un altro prezioso scultore di suoni come il belga Vidna Obmana: Terrace Of Memories (Projekt, 1992) contiene cinque drones leggeri e fluttuanti come petali di fiore spazzati dal vento, con la voce di Susan Jennings nei panni della malinconia reincarnata in fanciulla.

Il nuovo capitolo dei Black Tape, This Lush Garden Within (1993), si addentra ulteriormente in territori neoclassici, giocando abilmente con prospettive e dissolvenze. Ma è anche il disco che riproduce più da vicino, se non i suoni, le metodologie di una band spesso accostata all'ensemble di Rosenthal: i This Mortal Coil. Come il supergruppo inglese attingeva all’intero roster 4AD, così i Black Tape schierano qui quasi al completo la squadra Projekt, con Padraic Ogl dei Thanatos, Mike Vanportfleet dei Lycia e Ryan Lum di Love Spirals Downwards. E, come Fraser e soci, anche i Black Tape scelgono di interpretare una cover, in questo caso "Gravity's Angel" di Laurie Anderson (affidata all’ugola di Susan Jennings, sorta di "musa" dell’album, ritratta anche in copertina).
Il tema centrale è il rapporto tra la caducità terrena e una divinità distante e onnipotente. Il dolore diviene condizione necessaria per raggiungere l'amore più profondo e vero e, viceversa, l'amore sembra portare inevitabilmente alla sofferenza. Il contrasto è reso ancora una volta attraverso l’alternarsi delle voci femminili e maschili. Il canto da sirena della nuova, strepitosa vocalist Lucian Casselman evoca la sensualità e la bellezza della vita carnale, quello di Herrera, grave e appassionato, simula i patimenti del genere umano, mentre le ambientazioni esotico-gotiche di Rosenthal sembrano quasi tracciare un sentiero verso l’infinito.
L’incipit ambientale di "Left Unsaid" introduce subito in queste lande spettrali, attraverso i cori solenni e i rintocchi austeri del piano, la title track rievoca rituali occulti da Christian Death, i mesti madrigali di "The Broken Glass", "The Flow Of Our Spirit" e "Our Future Imagined" aggiornano le sonate barocche all’evo sintetico, mentre "We Exist Entwined" indulge in tonalità plumbee e melismi mediorientali.
Il retaggio dream-pop, invece, riemerge tra i bisbigli infantili di "Gravity's Angel", punteggiati solo da lievi rintocchi di campane ed echi lontani, e dal farfugliare sconnesso di "The Turbulence And The Torment", avvolto in dense spirali elettroniche.
Sono episodi di indubbia eleganza, ma che talvolta suonano un po' monocordi. I veri tour de force del disco sono semmai la nenia in estasi di "Overwhelmed Beneath Me" e la riflessione metafisica di "The Christ In The Desert", lasciata fluttuare in buchi neri cosmici, tra rimbombi e rumori indistinti.
Nel complesso, un disco luci e ombre, in cui l’affollamento di stelle solo a volte funziona, minando altrove l’identità complessiva dell’opera.

Una purezza più profonda

Tre anni dopo esce The First Pain To Linger (1996), box-set con un volumetto di 85 pagine contenente brevi frammenti di prosa lirica e un Ep con sei tracce (quattro già note, più due inediti di ambient-music). Ma sarà un’altra uscita a marchiare a fuoco l’annata e a coronare l’intera saga dei Black Tape For A Blue Girl.

Black Tape For A Blue Girl (Sam Rosenthal, Mera Roberts)Il 1996, infatti, è l’anno di Remnants Of A Deeper Purity, il capolavoro di Sam Rosenthal, nonché uno dei vertici assoluti della musica gotica.
Il punto più "profondo" di questo rituale dell'assoluto e del misterioso è nei 26 minuti di "For You Will Burn Your Wings Upon The Sun", una drammatica discesa, in cinque parti, nei labirinti dell'anima umana. In uno spazio desolato e arcano si diffondono i droni minacciosi delle tastiere, mentre il violino di Vicky Richards inizia la sua abbacinante danza sull'orlo del precipizio. Le voci dei due sciamani dell'assoluto imbastiscono un magma ipnotico di emozioni, prima di essere risucchiate dal vuoto cosmico. Anche il violoncello di Mera Roberts contribuisce ad aumentare il senso di debordante pathos che si respira un po' dovunque. La terza parte di questo delirio estatico spinge il grumo sonoro verso gli estremi più insondati dell'universo, in un vortice ancestrale fatto di imperscrutabili simboli divini, nella cui contemplazione si raccoglie "Wings Tattered, Fallen", un esercizio di ambient dai sottili connotati mistici. Non siamo così lontani dalle sinfonie di Bach.
L'incanto magniloquente di "Redifine Pure Faith" si chiude con una tenera sonata per pianoforte, preludio alla dolcezza venata di tragedia di "Fin De Siécle", ispirata da un racconto di Anais Nin. "With My Sorrows" è un'altra grande performance vocale di Herrera, mentre "Fitful" ripropone bagliori cosmici con tanto di voce (Casselman) "trattata".
L'unico brano che si avvicina alla forma-canzone tradizionale è la title track, anche se in un modo del tutto particolare. Le dolenti note di piano di "Again, To Drift (For Veronika)" rinsaldano, invece, i non tenui legami con certe ambientazioni della new age più trasognata. A questo punto, non resta altro che il minimalismo di "I Have No More Answers", in cui la Casselman raggiunge una delle punte più alte del suo declamare sofferto. La lunga coda fatta di droni e di echi soffusi è lo spazio aperto sulla radura del mondo, osservato senza pregiudizi e senza paura, ma con una mestizia infinita, e senza redenzione alcuna.
La filosofia "negativa" di Rosenthal ha trovato il suo corrispettivo artistico più intenso in questi 77 minuti di indelebili emozioni. La caduta nel tempo - di cui parlava Cioran - ha sì condannato l'uomo all'esperienza della propria fragilità, ma, di rimando, gli ha conferito anche la possibilità di poter sondare il suo mistero. Questo tentativo, destinato al fallimento proprio perché condotto da un'ottica umana e, quindi, "finita", ha il suo momento cardine nell'attimo della creazione, il cui unico scopo è quello di lasciare che la Verità sia accessibile all'uomo. Di tutto ciò, Remnants Of A Deeper Purity è esempio lampante, maestoso, indimenticabile.

La musica dei Black Tape esplora i recessi più oscuri dell'animo, alla ricerca di una speranza, di una via d'uscita da un destino umano segnato da sofferenza e morte. "Non è che io veda la vita in modo negativo - sostiene Rosenthal -. Non predico una gloriosa caduta o distruzione del genere umano, cosa che molti 'dark' hanno a cuore. Sono pieno di speranze per il futuro, mi sento vicino a un pensiero 'esistenzialista' alla Sartre. Non esiste fato o destino, noi siamo i soli artefici di noi stessi. Perché nessun dio scenderà mai a trovarci l'amante perfetto o a renderci felici. Dobbiamo farlo da soli".
Una religiosità laica, profondamente umana, quella di Remnants Of A Deeper Purity. "E' un disco sulla rinascita, sul rimuovere anni di macchie dall'anima, e osservarla risorgere in una nuova vita", spiega Rosenthal. Musicalmente, è un saggio di come la sensibilità dark possa sposarsi all'austerità della musica classica: "Credo di essermi allontanato sempre più dalla struttura-canzone tradizionale. In questi brani ci sono spesso solo due accordi, con pochi intermezzi armonici o cambi di tono. Ho creato una specie di letto, nel quale si adagiano poi le voci e gli archi".

Ingaggiata la cantante-violista Elysabeth Grant, l'ensemble di Rosenthal prosegue il suo cammino con il mini-cd With My Sorrows (20 minuti di riassunto e poco più della sua musica) e, soprattutto, con l'album As One Aflame Laid Bare By Desire (1998). Il filo rosso che unisce le 13 tracce è il concetto di desiderio come catalizzatore dei mutamenti nelle relazioni e nella condotta umana. Un tema che Rosenthal esplora a partire dall’opera di Marchel Duchamp "La sposa messa a nudo", scandagliando i recessi più oscuri dell’erotismo e della passionalità. Il risultato sono oltre 70 minuti di armonie avvolgenti in idilliaci paesaggi sonori. La musica oscilla ancora tra claustrofobiche ballate elettro-acustiche e sconsolati madrigali, tra cattedrali gotiche e temi pianistici tangenti certa teutonica solennità (Popol Vuh circa "Hosianna Mantra"). Tornano le voci femminili serafiche, i ghirigori romantici dei violini e un flauto tanto essenziale quanto struggente.
La title track si snoda sulle note di un piano sommesso e di un oboe, distendendosi in un madrigale per archi, che culmina nel duetto tra voci femminili. Danze di violini (Vicki Richards) e strimpellii di chitarra mandano in gloria la melodia di Julianna Towns in "Given", che sfuma in una coda di flauto - "Entr’acte (The Garden Awaits Us)" - preparando il terreno al melodramma di "Tell Me You've Taken Another" (con estratti da Von Sacher-Masoch, circa 1870), dove troneggia ancora una volta il baritono di Herrera.
L’interludio medievale al clarinetto di "Entr'acte/ The Carnival Barker" e l’evanescenza di sample vocali e violini dissonanti di "Dream" fanno invece da apripista alle onde di "The Apotheosis", una pièce ambientale che riporta alla mente l’Eno dell’era-"Apollo". La sonata per piano di "Russia" ripesca il tema di Prokofiev già usato da Sting in "Russians, ma in modo ben più straniante. "Dulcinea" è una preghiera soave à-la Enya, sospinta da un ciclico riff di tastiera e decorata da frasi di flauto. Lo strumentale per ottoni e archi di "The Green Box" prelude al tour de force di "Denouement/ Denouncement": esili rintocchi di piano e un drone lontano accompagnano il malinconico recital di Towns, mentre clavicembalo, harmonium e violino si alternano, sfumando infine nelle allucinazioni di "The Passage", oltre 15 minuti di elettronica ambientale, appena increspata da un violino in lontananza.
Nel complesso, un album di pregevole fattura, anche se privo della possanza e della profondità del predecessore.

Kafka e la sposa infelice

Black Tape For A Blue Girl (Lisa Feuer, Elysabeth Grant)I Black Tape tornano nel 2002 con The Scavenger Bride, album interamente dedicato a Franz Kafka e alla Praga del 1913, con un elegante booklet da intendersi come prosecuzione di musica e testi, per un'unica e composita "opera d’arte". Il sound svaria tra melodie classicheggianti e atmosfere da inizio Novecento, gelide brezze elettroniche e sonate rinascimentali, tenero lirismo e torbido dramma: dominano le tinte teatrali (Brecht soprattutto) e le atmosfere sognanti, perse nelle nebbie della Vecchia Europa.
Per l'occasione, i Black Tape For A Blue Girl formano una vera e propria orchestra, che annovera - oltre alle tastiere "ambientali" di Rosenthal - una sezione d'archi con violino, viola e violoncello, il magico flauto di Lisa Feuer (ritratta anche nella copertina del disco), dulcimer, mandolino, batteria e percussioni a cura di Michael Laird degli Unto Ashes, la voce e la chitarra di Bret Helm degli Audra, nonché i vocalizzi di Elysabeth Grant, Athan Maroulis di Spahn Ranch, Martin Bowes degli Attrition e molti altri ancora. Ne scaturisce un sofisticato concept-album dedicato a una sposa infelice, ai suoi tormenti, ai suoi passati amori. Curiosa la scelta del titolo: "Scavenger" è infatti un termine che deriva dall'anglo-normanno "scawager", ovvero "spazzino". 
E' una raccolta di lieder (semi)classici stupendamente arrangiati e colmi di suspence. L'incipit elettronico della title track prelude alla struggente "Kinski", omaggio all'attore preferito di Werner Herzog, improvvisato dalla voce di Elysabeth Grant su un fondale lussureggiante di tastiere, flauto e dulcimer; "All My Lovers" è una sorta di saltarello medievale aggiornato al tempo del synth; l’angosciosa ninnananna di "Shadow Of A Doubt" stravolge un brano dei Sonic Youth in un crescendo sensuale di piano, percussioni e viola; la salmodia dolente di "The Scavenger Daughter" (Bowes più Grant) si libra sui rintocchi del piano e su un drone sinfonico.
Maroulis sfoggia un registro decadente alla Bowie per lo splendido valzer di "A Livery Of Bachelors"; il baritono di Helm affonda "The Lie Which Refuses To Die" in paludi horror alla Bauhaus; mentre il maestro Steve Roach offre un cameo "rumorista" in "Like A Dog/Letter To Brod", liturgia gotica in tre parti per viola, violino, piano, electronics, voci trattate e gong, in cui il recitato di Bowes si infrange contro un muro di tastiere. Il commiato pianistico di "Bastille Day 1961", con la voce della Grant che può finalmente elevarsi di tono, è la degna, commovente conclusione di un'opera sontuosa, arricchita anche da alcuni brevi ma suggestivi interludi strumentali. Una conferma straordinaria per una band che non finisce mai di sorprendere, pur mantenendosi sempre fedele a sé stessa.

Per il successivo Halo Star (2004), Rosenthal si fa affiancare da Bret Helm (Audra) alla voce e alla chitarra e Michael Laird (Unto Ashes) alle percussioni. Entrambi, peraltro, già figuravano su The Scavenger Bride, e Rosenthal in pratica non fa altro che ampliare quelle che erano le loro parti su quel disco. Riducendo così lo spessore degli arrangiamenti, che da densi, pastosi e sinfonici che erano si fanno ora più semplici e acustici.
Aprono il disco l'intro orientaleggiante e percussiva di "Glow" e il singolo "Tarnished", gradevole, energico, ma in sostanza piuttosto debole. Da qui, però, si fanno strada canzoni tenui, sfocate e malinconiche come la bellissima "The Gravediggers" e "Indefinable, Yet" che torna alle atmosfere sensuali ed eteree del precedente disco (al canto c'è proprio la protagonista di quel recital a più voci che era The Scavenger Bride, l'ottima Elysabeth Grant).
La misteriosa "Knock Three Times" è scandita da rintocchi di un piano che in sottofondo sembra piangere, e cesellata magnificamente dalla voce di Helm. Il secondo singolo "Scarecrow" è una splendida ballata che costituisce il climax drammatico del disco. Due romantiche e tristissime arie come "Damn Swan!" e la magica "Already Forgotten" - entrambe interpretate da Grant - dilatano ulteriormente le atmosfere. "The Fourth Footstep" è una lunga fiaba visionaria, ultima boccata d'ossigeno prima che "Dagger" e la title track chiudano il disco su note sempre più cupe e soffocanti.
Dove The Scavenger Bride era ricco e maestoso, Halo Star è invece ridotto all'essenziale, dimesso, quasi indolente. Un disco che richiede un ascolto paziente, che permetta di cogliere il cuore pulsante di vita, di bellezza e di emozione che si agita sotto la sua superficie solo apparentemente spoglia e raggelata.

Un’odissea ambient

Libero dalle pastoie liriche e gotiche del suo progetto principale, Rosenthal crea una nuova incarnazione in assoluta solitudine, As Lonely As Dave Bowman, come ben esprime il nome mutuato dal protagonista di "2001: Odissea Nello Spazio", lanciandosi senza remore in uno dei lavori ambient più profondi e affascinanti degli ultimi tempi. Non ci sono field recordings a operare nel sottofondo, non ci sono soporiferi minimalismi nell'arte ambientale di Rosenthal: la sua musica opera come di consueto a livelli di visionaria superiorità. Pod sembra essere l'opera che attendeva di fare da una vita, sin dai suoi esordi su cassetta, prima dei Black Tape, come Before The Buildings Fell (1986) e attraverso lo splendido Terrace Of Memories (1992). Ma solo ora, a 42 anni, Sam rilascia finalmente il suo primo lavoro solista vero e proprio.
Attraverso i cinque movimenti che lo compongono, Pod si snoda come un monumentale viaggio di sintesi tra l'ambient "cosmica" dei pionieri tedeschi e quella interiore e psicologica di Roach, Budd, Eno... Monumentale, perché l'elettronica di Rosenthal conserva sempre la sua pittorica grandiosità, anche quando si muove nel gelo, nel vuoto, nell'asettica immensità dell'universo, sia esso quello esterno, infinito che quello interiore, più intimo e profondo.

In attesa del nuovo album, previsto per l'inizio del prossimo anno, i Black Tape escono con una raccolta antologica edita in Russia (A Retrospective) e con un nuovo Ep, disponibile in formato digitale, composto di cover dei Sonic Youth!

Al tempo stesso l'infaticabile Rosenthal ha fondato un'altra band, i Revue Noir, insieme alla cantante Nicki Jaine, all'insegna del suo nuovo pallino, il dark-cabaret. Il loro esordio sulla lunga distanza, Anthology Archive, è stato distribuito in edizione limitata (250 copie) negli Stati Uniti.

Il cambio di rotta

Ultimo capitolo di un ideale trittico sul sesso e il desiderio, 10 Neurotics segna il ritorno dell'inestimabile progetto di cui Sam Rosenthal è mente e anima sin dal 1986. Ma se nei precedenti capitoli della trilogia il concept "carnale" era mediato ora da un'austera aura religiosa (This Lush Garden Within), ora da un approccio romantico (il capolavoro As One Aflame Laid Bare By Desire), 10 Neurotics si getta nudo e crudo in un marasma di storie, incontri e visioni erotiche.
E' l'album che marca un profondo cambiamento nel progetto Black Tape. Anzitutto la line-up rivoluzionata che Rosenthal ha riunito per l'occasione, con i nuovi cantanti Laurie Reade (ex-Attrition) e Athan Maroulis (già ospite in due brani di The Scavenger Bride) e soprattutto l'apporto decisivo di Brian Viglione, già batterista prodigio dei Dresden Dolls. Dimenticate la profondità dei droni gotico-ambientali, ora la musica dei Black Tape è votata a quello che Rosenthal stesso ha definito dark-cabaret, mistura di burlesque, gotico, folk, rock e quant'altro.
La nuova forma, però, non si addice molto a Rosenthal. Pezzi come la sgraziata opener "Sailor Boy" o "The Pleasure In The Pain" convincono così poco o nulla. Il gioco riesce meglio quando brandelli della fu magia riescono a emergere dal proscenio: la magnifica "Inch Worm" ne è la miglior prova; melodia toccante e avvincente, eterei incastri canori. L'auto-cover di "Tell Me You've Taken Another" è il godibile manifesto del nuovo corso, mentre gli ospiti Lucas Lanthier (Cinema Strange e Deadfly Ensemble) e Nicki Jaine (cantante dei Revue Noir) si trovano a loro agio nei chiaroscuri di "Curious Yet Ashamed" e nei drappeggi weimariani dell'elegante "Rotten Zurich Cafè". Ma è significativo come a suscitare vera emozione siano alla fine due numeri legati allo stile abituale della band, vale a dire le ipnotiche "The Perfect Pervert" e "Marmalade Cat".
10 Neurotics si fa ammirare più che altro per il coraggio mostrato da Rosenthal nel dare una sterzata a quello che era uno standard di qualità tanto apprezzato quanto insuperabile. Onore alla voglia di mettersi in gioco, ma la consueta felicità narrativa si smarrisce nell'incertezza stilistica di un nuovo percorso le cui basi sembrano ancora poco solide.

Lontano dal suo progetto principale, Rosenthal torna due anni più tardi a coltivare la sua passione per l'ambient music in The Passage. Nei tre quarti d'ora scarsi della title track Rosenthal riprende in mano l'omonima composizione che concludeva il meraviglioso As One Aflame Laid Bare By Desire sviscerandone l'essenza più intima e dilatandone ogni tratto, iniettando rivoli sonori in ogni fessura di silenzio. Quel che ne viene fuori è una mastodontica sinfonia di rarefatti soundscape ambientali, in grado di essere scambiata con i migliori episodi del Thom Brennan più in forma (quello stesso che nel 2001 partorì il capolavoro "Vibrant Water"). Per tutta la durata della suite il flusso sonoro viaggia imperturbabile e con lentezza in un cosmo astratto, assimilando qua e là variazioni di tonalità e l'ingresso o l'uscita di una sua parte. Il tutto prosegue così in una quiete che viene mossa solo dall'esplosivo e poderoso finale di "Rae", dove a fare il suo ingresso è il violino elettrico di Vicki Richards, scomposto in una miriade di sequenze sonore e in grado di rappresentare una sorta di atterraggio e la contemporanea fine del viaggio.

Dopo la bontà dell'esperimento dronico di POD, Rosenthal conferma le sue capacità di scultore ambientale già in parte emerse in Terrace Of Memories, rivelandoci così definitivamente un lato della sua personalità artistica mai in grado di attirare l'attenzione al pari di quello dark-gothic.

Con le sue maestose partiture, più vicine a compositori come Part e Gorecki che al rock, Rosenthal ha definitivamente ampliato i confini della musica "gothic", trasformandola da espressione oscura e necrofila del rock ad arte pittorica e classicheggiante, dalle forti tinte mistiche. Un esploratore degli anfratti più oscuri dell'esistenza, un poeta-filosofo al cospetto di realtà e visioni indescrivibili, traducibili però attraverso i suoni concepiti da una sensibilità musicale fuori dal comune, che neppure una lunga e applaudita carriera ha ancora minimamente intaccato.

Nel 2013, Tenderotics segna l'importante ritorno del marchio, cercando di rimettere ordine laddove “10 Neurotics” aveva sconvolto ogni equilibrio. Quattordici remix affidati ad alcuni fra i nomi di punta di casa Projekt, che se da un lato confermano l'assetto bipolare che risponde oggi al progetto Black Tape (traducibile come Rosenthal + Viglione), dall'altra cercano di ricucire delicatamente gli strappi con i fan “storici”, senza per questo abbandonare le frontiere più recenti.

Le performance imperfette si contano sulle dita di una mano e hanno come difetto unico un'evidente mancanza di coraggio: prima fra tutte è la versione di “Inch Worm” a cura degli Attrition, sostanzialmente una riproposizione integrale dell'originale senza la benché minima integrazione. Problema analogo affligge la “Rotten Zurich Café” a firma Valerie Gentile e, in parte minore, l'iniziale “The Perfect Pervert”, in cui Erik Wøllo si distingue a fatica in un pezzo già di per sé ottimo.
Per il resto, i risultati sono lusinghieri quando non stupefacenti: Sam Rosenthal in persona firma un trittico di interessantissime divagazioni strumentali sui temi dei brani già citati, guardando a un esoterismo oscuro in “Perfectpurity”, alla frontiera tribale in “Caughtstranger” (da “Caught By A Stranger”) e alla melancolia in “Zurichstrings”, mentre ancor più riuscito è il mix dronico di “Istrike”, in cui rispolvera il moniker As Lonely As Dave Bowman.

Il primo a sorprendere è invece Steve Roach, intento a destrutturare e riassemblare sample vocali provenienti da varie tracce in “Feel Your Pulse Quicken” e ad ambientare in un deserto chitarristico “Love Song”. Chi osa più di tutti è Steve Jones nei suoi "Milly Mix", specialmente in quello già edito di “Marmalade Cat”, rivoluzionata rispetto all'assetto ermetico dell'originale. A chiudere il cerchio sono un Android Lust in forma splendida sul capolavoro “Tell Me You've Taken Another” - che surclassa di gran lunga l'auto-cover di “10 Neurotics” - e i Black Tape stessi che rivedono in chiave minimale, assieme di nuovo a Wøllo, la title track di "Halo Star".

Impossibile chiedere di più a un disco nato come variazione su un tema ostico e complesso, che riesce pure nell'impresa (non facile in tema di remix) di suonare compatto e omogeneo, riducendo al minimo la discontinuità dell'effetto-raccolta. Tenderotics è dunque un lavoro che rappresenta al tempo stesso l'odierno status dei Black Tape For A Blue Girl e lo spettro di interessi su cui Rosenthal ha deciso di soffermarsi, quello stesso su cui ha costruito la politica artistica della Projekt in questi ultimi anni. Un regalo che piacerà a chi ha seguito e continua a seguire la label americana, e che ha l'indubbio merito di far salutare un ritorno importante.

Nel 2016, l’atteso ritorno di Rosenthal sotto il moniker dei Black Tape For A Blue Girl, anticipato dall’Ep “Limitless”, vede una maggiore enfasi verso le sonorità più oscure e dolenti che già avevano caratterizzato il progetto nei suoi lavori migliori degli anni 90. Il tuffo nel passato è completato anche dalla formazione: se Brian Viglione (ex-Dresden Dolls) è stato confermato alla batteria, l’atteso ritorno dello storico cantante Oscar Herrera, con il suo stile classico e solenne, contribuisce notevolmente alla caratterizzazione dei brani, arricchendoli di eleganza dolceamara. Accanto a lui c’è anche la figlia Danielle Herrera, emozionante e passionale: una presenza che contribuisce a rendere i brani piccole gemme immerse nel buio.
Intitolato These Fleeting Moments, non per caso come il brano iniziale di A Chaos Of Desire del 1991, l’album è caratterizzato da un’intensa atmosfericità che viene espansa fino a coprire ben 70 minuti di pathos e malinconia; come se ci si specchiasse e si affogasse nei ricordi, lasciandosi prendere dalla nostalgia. Ed è proprio “atmosfera” la parola chiave che si dipana lungo tutto l’ascolto, attraverso tonalità romantiche e malinconiche, ma da un retrogusto anche mistico ed etereo, quasi surreale.
L’ispirazione è tangibile fin dall’iniziale suite di 17 minuti “The Vastness Of Life”, suddivisa in 5 movimenti densi di esistenzialismo e forti emozioni nostalgiche. Si tratta probabilmente del vertice emotivo e disperato dell’album: funerea e cupissima, tanto nelle liriche afflitte, quanto nei soundscape costruiti dagli strumenti (in particolare la viola di Nick Shadow).
Ci sono momenti dove la desolazione lascia il posto a una malinconia più dolce (su tutti “Affinity”, con il suo carosello di tastiera da lacrime), oppure sublima in un gotico funereo praticamente allo stato dell’arte (come nella strumentale “Please Don’t Go”, che è ciò che progetti come i Lacrimosa cercano invano di musicare da sempre).
Altri brani invece si adeguano ai canoni del goth-rock, come “Limitless” (spedito ed elegante, a cavallo fra anni 80 e 2000) o “One Promised Love” (che strizza l’occhio ai migliori Cure), mentre il duo costituito dalla tenue arabesca “Meditation On The Skeleton” e dalla pastorale “Desert-Rat Kangaroo” esplora sonorità à-la Dead Can Dance. Degni di nota anche il piacevole assolo del dark-folk di “Zug Köln” (suonato dall’ospite Chase Dobson) e i dolcissimi tratti fra shoegazing e post-rock di “She’s Gone” e soprattutto “She Ran So Far Away That She Can No Longer Be Found”, col suo crescendo emotivo. Nonostante queste gradite variazioni sul registro, comunque, l’album suona coeso dall’inizio alla fine, mantenendo sempre una sua identità.

Dopo neanche 6 mesi, Sam Rosenthal ritorna con un Ep di quattro brani, prima pubblicazione nell'anno 2017. I brani proposti erano già stati annunciati da tempo, come potete leggere per esempio nell'intervista che lo stesso Rosenthal ci ha concesso lo scorso autunno. Nei piani sono previsti altri Ep, o comunque sufficiente materiale che l'artista statunitense spera di poter raccogliere per pubblicare un nuovo album entro la fine dell'album.
Proseguendo nel sentiero della precedente uscita, Blood On The Snow si focalizza su atmosfere oscure costruite grazie ad arrangiamenti eleganti e maturi. Si tratta di pezzi tendenzialmente di maniera, ma proprio per questo raggiungono lo stato dell'arte in quanto a stile e pulizia compositiva.
"Rubicon" è intensa e drammatica, con le chitarre acustiche alle quali nel finale si sovrappongono archi e percussioni per generare un'atmosfera imponente che sostiene l'espressiva voce di Oscar Herrera. "On Some Faraway Beach" riprende le melodie di tastiera del brano "With My Sorrow" dal classico Remnants Of A Deeper Purity, ma la solennità del brano originale cede ora il posso a una malinconia più soffice e dolceamara, che ne trasfigura l'atmosfera. "Blood On The Snow I" è una strumentale dolente e mesmerizzante, a lungo andare forse un po' monotona, ma la ripetitività dei suoni è necessaria per rendere le atmosfere ancora più inquietanti e non stanca. Infine, il picco di evocatività è probabilmente raggiunto con la conclusiva "The Apostate", dove archi ed effetti elettronici si combinano per esaltare ancora di più il talento e l'esperienza vocali di Oscar Herrera.

Con tre decenni di carriera alle spalle, Sam Rosenthal si è ritagliato la propria significativa nicchia nell'ambiente dark, in cui opera con la consueta personalità e maturità artistica. 

Nel 2018, dopo ben tre lavori in due anni, abbandonate le tre bellissime cover di donne in posizione fetale contenute nel violoncello-utero - con una foto estraniante della pornostar Mercy West in copertina che esalta il senso di isolamento e alienazione - viene pubblicato il loro dodicesimo album To Touch The Milky Way che mantiene ancora quella capacità evocativa ambient gotica che da sempre caratterizza la poetica di Rosenthal. E’ ancora un viaggio tra Dead Can Dance e paesaggi estremamente rallentati simili in vari momenti al recente e apprezzatissimo album dei Low “Double Negative”, come ad esempio nei due finali iperdilatati di “I Close My Eyes And Watch The Galaxy Turning” e “Does Anything Remain?” (in realtà una lunga suite divisa in quattro parti), magnifici esempi di canzone gotica dove l’oscurità aumenta sempre più sino ai lunghi finali statici, culmine della visione di Rosenthal. E’ un paradosso che la potenza aumenti nella lentezza e nella staticità, ma è questa una delle caratteristiche della musica dei Black Tape For A Blue Girl. 

Quando Rosenthal decide di aumentare i ritmi lo fa in modo perfetto nel brano finale “To Touch The Milky Way”, con un pattern di piano palesemente a là Terry Riley, vagamente simile a Baba O’Riley degli Who, che viene stravolto dalle note di una chitarra elettrica psichedelica che velocemente scompare per far spazio a un lungo finale di synth e harmonium che chiude in modo circolare l’album come era iniziato. In mezzo troviamo i brani più brevi, la canzone per piano e voce ”In My Memories”, le raffinate ballate pop “The Stars” e “All Of The Things I Wanted”, gli archi tra modern classical e la Nicogotica di “On Some Faraway Beach”. 

Tutto perfetto, tutto più o meno noto ma sempre carico di emozioni, l’esploratore degli anfratti più oscuri della nostra esistenza non tradisce.

Nel 2021 esce The Cleft Serpent. Il lavoro si pone come seguito complementare del buon precedente To Touch the Milky Way, della cui title track è anche presente qui un riarrangiamento. Entrambi i dischi colpiscono con forte emotività e tonalità tragiche, sviluppando profondi soundscape in cui il suono è rallentato e dilatato per dare enfasi alla sua carica espressiva. La differenza maggiore si può riassumere dicendo che invece di composizioni monumentali dai vertici solenni spaccati da un certo senso di angoscia e di sublime, l'evocatività di "The Cleft Serpent" si fa più terrena e desolata, quasi abbandonata a sé stessa. L'album del 2018 pennellava suggestioni celestiali per spingere a riflettere su sé stessi, questa nuova opera si scarnifica e parte dall'introspezione per esplorare il mondo circostante e l'umanità. Il tocco di Sam Rosenthal in fase di scrittura è personale come sempre. I brani consistono di partiture orchestrali minimaliste di violoncello e tastiera, in alcuni casi toccando punte di manierismo, in cui sono gli arrangiamenti stessi a rappresentare la canzone stessa. Su di essi si staglia la voce del nuovo collaboratore Jon DeRosa, mesta e bassa come quella di Brendan Perry, il cui timbro è in effetti simile. La sua è l'unica voce presente e conferisce unitarietà e compattezza al disco. A volte in certi punti si avverte la mancanza di altre voci (in particolare è assente quella femminile) che con la loro varietà hanno sempre reso più eclettica e variopinta la musica del compositore statunitense; d'altro canto, avrebbero in questa occasione forse spezzato il flusso del disco. I prezzi presentano alti e bassi, alcuni struggenti e commoventi (la title track, "The Trickster", "Ares & Hermes"), altri forse troppo prevedibili e ripetitivi (in particolare la rivisitazione di "To Touch the Milky Way", pregevole ma che dà l'idea di essere un riempitivo, e l'ambiziosa ma troppo dilungata "So Tired of Our History"). Si tratta insomma dell'ennesima gradita riconferma di Sam Rosenthal nel solco del suo personale, estroso e dettagliato marchio di fabbrica, ma nella sua discografia è un'opera minore. 



Contributi di Roberto Mandolini, Matteo Meda ("The Passage"), Matteo Meda ("Tenderotics"), Alessandro Mattedi ("These Fleeting Moments", "Blood On The Snow" e "The Cleft Serpent"), Valerio D'onofrio ("To Touch The Milky Way")

Black Tape For A Blue Girl - Sam Rosenthal

Discografia

BLACK TAPE FOR A BLUE GIRL

The Rope (Projekt, 1986)

6,5

Before The Buildings Fell (Projekt, 1986)

Mesmerized By The Sirens (Projekt, 1987)

7

Ashes In The Brittle Air (Projekt, 1989)

6,5

A Chaos Of Desire (Projekt, 1991)

8

This Lush Garden Within (Projekt, 1993)

6,5

The First Pain To Linger (Projekt, 1996)

6

Remnants Of A Deeper Purity (Projekt, 1996)

9

As One Aflame Laid Bare By Desire (Projekt, 1998)

7,5

The Scavenger Bride (Projekt, 2002)

8,5

Halo Star (Projekt, 2004)

7

A Retrospective (antologia, Shadowplay, 2008)

10 Neurotics (Projekt, 2009)

6,5

Tenderotics(Projekt, 2013)

7

These Fleeting Moments (Projekt, 2016) 7
Blood On The Snow (Projekt, 2017)7
To Touch The Milky Way(Projekt, 2018)7
The Cleft Serpent(Projekt, 2021)6
SAM ROSENTHAL

Before The Buildings Fell (Projekt, 1986-2000)

The Passage (Projekt, 2011)

7,5

SAM ROSENTHAL & VIDNA OBMANA

Terrace Of Memories (Projekt, 1992)

AS LONELY AS DAVE BOWMAN

Pod (Projekt, 2007)

7,5

REVUE NOIR

Anthology Archive (Projekt, 2008)

Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Tear Love From My Mind
(videoclip da A Chaos Of Desire, 1991)

All My Lovers
(live al Wave Gotik Treffen di Lipsia, Germania, 2003)

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