Abiku

Fantasmi della casa accanto

intervista di Lorenzo Righetto

Immaginatevi di ri-incontrare un vecchio amico di cui avete perso le tracce: gli raccontate di cosa fate, che suonate in una band… Lui vi chiede, per capire: “Suonami qualcosa”. Che pezzo gli fate?
Con ogni probabilità sceglieremmo di suonare “Sommergibile” e “I Fantasmi della Casa Accanto” che dal vivo proponiamo suonate senza pause come fossero un’unica suite. Queste due canzoni ci sembrano abbastanza rappresentative del nostro modo di fare musica. Sono brani di matrice cantautoriale, rifiniti però con momenti più dilatati e altri più prettamente pop.



Technicolor” è uscito in modo abbastanza “imprevisto” alla fine del 2011. Un po’ un fulmine a ciel sereno: ci dite come vi siete conosciuti? Siete di Grosseto, una comunità abbastanza piccola, ma da subito avete mostrato un’idea precisa di musica. Partivate dallo stesso punto o gli Abiku rappresentano l’intersezione tra le vostre diverse sensibilità?
Abbiamo cominciato a suonare assieme nel 2009 (con una formazione molto diversa da quella di adesso) per via di interessi musicali comuni. Facevamo cover alternative rock anni 90 e i primi brani che abbiamo composto risentivano molto dell’influenza di quel genere. Con l’arrivo di Edoardo nel 2010 e Virna, che ha iniziato a suonare il basso con noi nel 2011, abbiamo cambiato nettamente il nostro modo di suonare e abbiamo registrato il primo disco, "Technicolor". Sebbene tutti noi abbiamo punti di contatto a livello di gusti musicali si può dire che ognuno proviene da un background diverso. Per fare un esempio Virna suonava in un gruppo punk, Edo invece ha fatto due anni di Siena Jazz. Potrebbe sembrare un accostamento forte, ma noi siamo dei fermi sostenitori dell’integrazione culturale.

E’ uscito da poco “La Vita Segreta”, il vostro secondo disco. Al di là del parere che uno possa avere, si capisce che c’è dietro un gran lavoro – sulla scrittura, sugli arrangiamenti. Potete parlarci un po’ della genesi dell'album?
Alcune delle canzoni che abbiamo incluso nella scaletta del disco risalgono al periodo appena dopo "Technicolor" e ce n’è una in particolare, "Non Andare Via (Parte II)", che addirittura suonavamo già prima del primo disco, ma che poi abbiamo deciso di scartare durante le registrazioni. Detto questo, tante delle canzoni sono state scritte invece in un periodo di tempo limitato con l’intenzione di dare al disco un filo conduttore ben preciso. Nella fattispecie, Giacomo voleva portare avanti un discorso sui meccanismi che regolano le interazioni tra la nostra vita psicologica e il mondo esterno. Musicalmente parlando, Edoardo ha fatto un lavoro notevole in sede di produzione ed è riuscito ad amalgamare canzoni piuttosto diverse tra loro in un continuum che a nostro modo di vedere funziona.

Rispetto a “Technicolor”, si percepisce un’identità sempre più forte di ognuno degli strumenti. Potete parlarci, ognuno, di un passaggio di arrangiamento a cui tenete in particolare?
Virna: penso sia facilmente intuibile che sono quella con minori capacità tecniche, per questo motivo ogni volta che mi approccio a un nostro pezzo lo faccio in maniera piuttosto istintiva e intuitiva, per poi andare a razionalizzare il tutto successivamente. "Parsec", però, mi ha causato non pochi problemi, non sapevo come suonare un pezzo così delicato e dilatato, specie nel ritornello. Un giorno, mentre ero sotto la doccia, ho iniziato a canticchiare una melodia pensando alla canzone e così è nata la linea di basso, forse quella che più mi soddisfa di tutto il disco.
Stefano: la parte a cui sono più legato è sicuramente la batteria di “Otto Ore”. Quando iniziammo a provare il pezzo avrei voluto accompagnarlo con il famoso Train Beat (una ritmica tipica del country), ma all’epoca non ero assolutamente in grado di suonarlo. Per questo motivo ho ripiegato su una ritmica post-punk in cui ho mantenuto l’ostinato di cassa e charleston.
Giacomo: ricordo con piacere di quando abbiamo arrangiato la parte di glockenspiel di “Qui Non Succede Mai Niente”. Quella canzone non è stata praticamente mai suonata in sala prove, abbiamo fatto tutto il lavoro direttamente in studio provando varie soluzioni. Una sera mi misi le cuffie e, con la traccia base in play, improvvisai quella melodia di quattro note con il metallofono. Edo poi, come sempre, ha razionalizzato e risuonato la parte dando dignità al mio demenziale intuito.
Edoardo: Sono tanti i momenti del disco a cui sono legato, e tanti sono nati in maniera del tutto casuale, come la parte di piano all’inizio di "Guerra Civile", che avevo registrato con il pianoforte, ancora da accordare, come fosse una bozza da utilizzare per cercare di tirarne fuori un po’ di idee. Invece, riascoltandola per caso dopo qualche giorno, l’ho trovata perfetta così com’era e l’ho lasciata in quel modo. Salvo poi averla dovuta risuonare una volta accordato il pianoforte.

Da subito siete partiti con l’italiano, una scelta non usuale per chi come voi fa musica “internazionale” e “contemporanea”. Va detto che si avverte una grande naturalezza, da questo punto di vista, una metrica mai faticosa e nessuna affettazione in ciò che volete esprimere. Sui testi c’è lo stesso lavoro che c’è sulla musica o è un passaggio più naturale?
Il lavoro che faccio per scrivere il testo di una canzone ha modalità molto diverse rispetto a quello che facciamo tutti insieme per realizzare un arrangiamento. Quest’ultimo richiede molto più tempo e di solito realizziamo varie versioni primordiali prima di arrivare alla forma definitiva del pezzo. Un testo invece, affinché possa funzionare e risultare sincero, a parer mio deve essere scritto con naturalezza e nell’arco di poco tempo. Naturalmente mi riservo la possibilità di apportare piccoli cambiamenti e fare del labor limae, ma sento comunque la necessità di chiudere il grosso del lavoro nell’arco di qualche giorno. Una canzone condensa uno stato d’animo, ho bisogno di scriverla mentre verso in quel particolare stato d’animo.
(Giacomo)

Il tema de “La Vita Segreta” sono appunto l’indeterminatezza, lo smarrimento che declina nella voglia di fuggire, un’insoddisfazione cronica – tutto genera un’attesa mai corrisposta che spinge a ritirarsi in questa vita interiore, segreta, che i vostri arrangiamenti così ricchi colorano e trasfigurano. L’unico punto da sollevare è che il tutto suona personale ma poco “universale”, apprezzabile soprattutto in un certo stato esistenziale, insomma. Siete d’accordo?
Ragionamento condivisibile, valido per la maggior parte dei brani, ma non per tutti. C'è sicuramente un'ombra nera che avvolge l'intero disco e in cui ci si può maggiormente rispecchiare se si è particolarmente sensibili alle problematiche della vita, ma ci sono anche dei momenti meno drammatici che esorcizzano e in qualche modo ironizzano su questa malinconia di fondo. "Canzone Nichilista" ne è un chiaro esempio.

Posso chiedervi il vostro cantautore italiano di riferimento e di suonarci un suo pezzo?
A nostro modo di vedere il top player della storia della musica italiana è senza dubbio Lucio Dalla. Nessuno è riuscito a comunicare così bene in maniera così semplice e ricca emozioni e immagini che fanno ormai parte del nostro immaginario nazionale. Abbiamo preparato questa cover di un bellissimo, anche se non troppo conosciuto, pezzo di Lucio. Da adesso in poi la porteremo con noi anche durante i nostri concerti.




Ci tenete molto – si capisce dai testi del disco – a voler fare i musicisti per lavoro. Al momento, lo siete tutti? Ma è davvero necessario? Molti anche all’estero fanno le loro “Otto Ore” e nel tempo libero riescono comunque a fare grande musica…
Nessuno di noi, ad oggi, fa il musicista come unico lavoro. Posso dirti però che non è affatto facile conciliare gli impegni lavorativi di tutti, e possiamo ritenerci fortunati se riusciamo fare un paio di prove prima dei concerti. È certamente vero che fare il musicista per lavoro non è essenziale, che si può anche usare il tempo libero (come facciamo noi) per suonare, registrare, fare tour e quant’altro, ma le controindicazioni sono diverse. Il più delle volte manca il tempo materiale per creare un prodotto tecnicamente di qualità. Perché se è vero che da un punto di vista artistico e compositivo lavorare nei ritagli di tempo può non essere per forza un problema (anzi, a volte le idee migliori vengono proprio nei momenti più inaspettati, quasi come se la nostra vena creativa ci servisse da valvola di sfogo), non è così dal punto di vista tecnico: se vogliamo registrare un disco abbiamo bisogno di tempo, se vogliamo organizzare un tour per portare in giro la nostra musica sarebbe conveniente poterlo fare non solo durante quei fine settimana in cui siamo tutti disponibili. Inoltre fare un qualsiasi lavoro pensando costantemente ad altro non è una cosa salutare, né per sé stessi né per il lavoro stesso che si fa. Quindi diciamo che non è fondamentale, no, ma è comunque altamente auspicabile.
(Edoardo)

Immagino che almeno una parte delle band italiane che usano l’inglese abbiano quantomeno la speranza di, un giorno, suonare all’estero o almeno esservi conosciuti. Alcuni ci stanno anche riuscendo. Non avete la stessa tentazione (sempre nell’ottica di voler fare i musicisti nella vita)?
Ci piacerebbe moltissimo suonare all'estero, più per la soddisfazione di farlo che per raggiungere chissà quale popolarità, ma restiamo comunque molto convinti e orgogliosi della scelta di cantare solo in italiano. Da questo tour abbiamo anche deciso di non suonare più cover che non fossero nella nostra lingua. Ci piace l’idea che l’ascoltatore possa apprezzare la forma-canzone nella sua interezza, dall’inizio alla fine del concerto.

Come presentazione de “La Vita Segreta” avete girato una serie di tributi a grandi classici della musica italiana (spesso ignorati dalla scena indipendente, o “sdoganati” con operazioni estemporanee), ognuno in un luogo specifico e “iconografico” della vostra provincia. Questo vi ha aiutato a farvi conoscere, vi sembra? La provincia è solo il posto dove “suonare la chitarra è un crimine”?
L’operazione “Qui Non Succede Mai Niente” ci ha dato tanta soddisfazione ed è stata utile per farci conoscere sopratutto nella nostra città. Infatti per tanti siamo siamo diventati “quelli che suonano da tutte le parti”. 
La canzone “Qui Non Succede Mai Niente”, invece, sebbene parta da presupposti molto sinceri, ha un linguaggio abbastanza ironico. È vero che è difficile fare musica dove non esistono infrastrutture, ma di contro viviamo in un ambiente che ci porta tanta ispirazione, suoniamo e registriamo soli in tutta tranquillità e non abbiamo bisogno di adottare alcuna posa per essere considerati parte di una certa scena o intellighenzia. In provincia si può essere sé stessi.

Ci fate una dedica ai lettori di OndaRock?
Per gli aficionados di OndaRock abbiamo scelto “Otto Ore”, una tirata sociopatica in chiave
kraut-rock. Non andate al lavoro!




Discografia

Technicolor (self-released, 2011)7
La Vita Segreta(Sherpa, 2014)7,5
Monte Carlo (Costello's, 2019)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Vieni A Vivere Con Me (Quando Ti Addormenti)
(da "Technicolor", 2011)

Studio System Blues
(live session, da "Technicolor", 2011)

I Nostri Temporali
(da "Technicolor", 2011) 
Grande, Grande, Grande
(live session, cover, 2014)
Qui Non Succede Mai Niente
(da "La Vita Segreta", 2014)
(Dammi Una Mano) Pakistan
(da "La Vita Segreta", 2014)  

 

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