The Album Leaf

Un tuffo nel blu

Incontriamo Jimmy LaValle al Magnolia durante la piovosa data milanese e mentre stabilisco col tour manager i tempi dell'intervista vedo Jimmy che, con aria riflessiva, guarda il tavolo del merchandising.

Iniziamo con qualche chiacchiera prima di accendere il registratore e scopriamo le sue origini siciliane, per poi capire nel corso dell'intervista cosa gli stesse passando per la testa mentre scartabellava tra i cd sul tavolo.

Scopriremo che una foglia su un poster di un concerto in Islanda può diventare un simbolo che dura una vita, scopriremo come superare un blocco dello scrittore lungo quattro anni, come entrare gratis a un concerto grazie a un tatuaggio, come tuffarsi nel vuoto senza avere paura.

Il tuo percorso artistico è abbastanza peculiare, avendo attraversato hardcore, post-rock ed elettronica: riesci a trovare un filo conduttore tra le tue varie esperienze prima con i Locust, poi con i Tristeza e infine col tuo progetto The Album Leaf?

C'è sempre una logica nel fare musica. Dei tre, i Locust sono ovviamente una band completamente diversa. Quando ero nei Locust avevo 16 anni, ero giovanissimo, ma a 19 anni già quel genere non mi interessava più.

Tutte queste esperienze hanno in comune il rappresentare me nel fare musica, a prescindere da che genere fosse.

 

Il tuo primo disco come The Album Leaf, "An Orchestrated Rise To Fall", ha segnato una forte discontinuità rispetto a quello che avevi fatto in precedenza. E' stata una genesi improvvisa o il frutto di un lavoro su modalità espressive del tutto diverse?
Il primo disco è stato un incidente!

 

Un incidente!?

Un mio amico ha fatto delle registrazioni mentre suonavo il piano. Stavo improvvisando, suonando per il gusto di suonare e lui ha registrato tutto... perciò è stato una specie di incidente! Ne abbiamo fatto una manciata di registrazioni ed è per questo che ha quel suono sperimentale, è fatto senza concentrarsi, senza strutturare. "An Orchestrated Rise To Fall" era sperimentale mentre l'ultimo disco rappresenta una progressione su un arco di dodici anni, il suono è più pulito, strutturato, ho riflettuto bene sulle canzoni.

A dire la verità non ascolto il primo disco da un sacco di tempo!

 

Davvero?

Forse una o due canzoni, così, per sentire.

 

Che effetto ti fa?

È bello, mi piace, c'è una bella sensazione, è tutto un po' sperimentale.

Mi piacerebbe fare ancora un disco come quello, improvvisato, registrando qualcosa che è stato fatto inavvertitamente, creando canzoni così...

 

Spontaneamente.

Si, esatto.

 

Come sei venuto in contatto con gli artisti che hanno collaborato a "In A Safe Place"?

I Sigur Rós?

 

Sì, i Sigur Rós.

Nel 2001, dopo l'uscita del mio secondo disco, "One Day I'll Be On Time", i Sigur Rós hanno chiesto di unirmi al loro tour e in quel periodo siamo diventati amici, amicizia che si è fatta più stretta durante il tour nel 2003 in Europa. All'epoca aprivo i concerti da solo e proprio durante quel tour i Sigur Rós hanno iniziato a salire sul palco durante la mia esibizione, per suonare la batteria e la chitarra. È stata la prima volta che ho sentito la mia musica presentata in quel modo e suonata così ha iniziato ad avere più senso per me.

Hanno suonato con me anche durante il tour negli States, è stato allora che mi hanno invitato a incidere nel loro studio. Durante le registrazioni mi raggiungevano spesso per ascoltare i pezzi e aggiungerci qualcosa, è stato soprattutto un lavorare tra amici, ci siamo divertiti a suonare.

 

La partecipazione a quell'album da parte di Jónsi Birgisson ha suscitato innumerevoli comparazioni dei tuoi dischi con quelli dei Sigur Rós. Come vivi questo frequente riferimento? E più in generale, cosa pensi della band islandese?

Sicuramente la canzone in cui canta Jónsi suona alla Sigur Rós, perché la sua voce è peculiare, eppure la canzone è scritta e registrata da me. Credo che la voce di Jónsi sia così caratteristica che farebbe sembrare alla Sigur Rós qualsiasi cosa canti, in qualche modo.

Al di là di questo non vedo confronti o similitudini, due modi di suonare e due band diverse. Forse le persone fanno un paragone per spiegare qualcos'altro, tipo "hai sentito questi, suonano come i Sigur Rós"!

Non è male, è bello essere paragonati a loro ma oltre a questo non vedo similitudini.

 

L'Islanda per te è stata sicuramente un luogo di confronto e ispirazione artistica, ma anche dopo "In A Safe Place" hai mantenuto un forte legame con quel Paese in termini di suoni e collaborazioni: puoi descriverci il tuo rapporto con l'Islanda? Potrebbe definirsi come uno dei tuoi "luoghi dell'anima"?
Lo è. Non ci sono stato solo per lavoro perciò ho stati d'animo differenti quando sono lì, è davvero un posto pieno di pace, rilassante, decisamente speciale per me.

 

Com'è da San Diego a Reykjavik?

Molto diverso! Passare dai 75°F a San Diego, che sono circa 25°C, a -15°C in Islanda è stato... folle! Ma allo stesso tempo, viaggiando molto, ci sono abituato.

Però l'Islanda è diversa, ho un sacco di amici lì per cui è molto facile sentirmi a casa, stare bene, lavorare.

 

Qual è la tua condizione ideale per comporre? Ti lasci guidare dalle emozioni momentanee, oppure i tuoi brani nascono in maniera più tecnica e studiata?
Nel modo più naturale possibile immagino, non voglio stare seduto tutto solo a pensare... mentre faccio altro aspetto che mi venga in mente qualcosa. Magari sono seduto a guardare la tv o gioco col cane e mi viene un'idea, vado in studio e ci lavoro sopra. Cerco di fare tutto nel modo più naturale e senza aspettative, butto giù qualcosa sperando di venirne fuori con qualcosa di bello!

 

You go with the flow.

Esattamente!

 

In particolare, quando scrivi i brani, pensi mai a una loro specifica modalità di fruizione da parte dell'ascoltatore?

Penso da svegli...

 

Beh, certo...

Ok, (ride, n.d.r.) meglio che mi spieghi perché così suona strano!

Da svegli e con le cuffie, decisamente comodi o magari a letto, rilassandosi. Ecco perché ho detto da svegli, di solito con le cuffie ci si addormenta!

O anche guidando, mentre si viaggia.

 

Giusto qualche parola dai tuoi titoli e dalle tue canzoni: sun, wind, mountain, stream, fog, summer, twilight e altre.

La natura è una costante nella tua musica, vero?

Sì, la natura è sempre fonte di ispirazione, montagne, immagini di foreste, deserti, tutto ciò che è naturale e natura mi ha sempre ispirato più di qualsiasi altra cosa. Mentre viaggio sono più interessato ai paesaggi di quanto sia ad esplorare le città. Sì, natura e paesaggi sono fonte di ispirazione, decisamente.


Il tuo ultimo disco, "A Chorus Of Storytellers", ha seguito quattro anni nei quali ho letto che hai subito un vero e proprio "blocco dello scrittore". Se così, da cosa pensi sia stato determinato e come sei riuscito a superarlo? E questa genesi ne fa un disco musicalmente diverso rispetto ai precedenti?

Volevo fare un disco diverso e ci ho pensato a lungo. Ho fatto tante cose, cambiando tutto in vista di questo disco, ho suonato molto facendo delle registrazioni per me stesso.

Avevo in mente di fare qualcosa di diverso, ma non riuscivo a focalizzare come realizzarlo... così, per superare il blocco dello scrittore, ho tappezzato una parete con tutte le canzoni, ho riunito le persone che avevano suonato con me in questi sette anni per farle suonare al disco e scrivere. Poi abbiamo cominciato a provare e tutto ha cominciato a prendere vita, ad apparire più chiaro, a prendere una direzione e ad avere più senso.

Nello stesso periodo ho ascoltato un sacco di musica e di gruppi, sono stato interessato e ispirato da cose diverse e ovviamente sono più grande, in questi quattro anni sono cresciuto.

 

Hai suonato con qualcun altro in questi 4 anni?

Si, con i Magnetic Morning, con Sam Fogarino che suona negli Interpol, e Adam Franklin degli Sverwedriver, un gruppo shoegaze anni 90. È stato bello fare questo genere di cose.

Ho anche fatto un sacco di remix per altri gruppi, imparando nuovi trucchi, diversi piccoli compiti strani attraverso i quali mi sono avvicinato ad idee e approcci diversi alla musica. Quattro anni sono tanti, certamente, ed è pazzesco perché alcune canzoni sono già datate per me!

 

Proprio il titolo del disco e il fatto che comprenda numerose "canzoni" vere e proprie lascia immaginare che avessi qualcosa da raccontare. Stai in qualche modo diventando un cantautore?

Canto per mettermi alla prova, mi interessa cambiare facendo cose diverse. Qualche volta alle persone non piace, ci sono i fan incalliti o quelli che mi seguono da tanto tempo che mi dicono "non ci piace quando canti"... ma va bene così.

 

A noi piace.

Piace anche a me! E mi diverto, per me è un modo di pensare alla musica nuovo perché non avevo mai pensato alle canzoni dal punto di vista delle parole, cercare di raccontare una storia spiegando uno scenario o una situazione... e ora mi piace!

Cantautore... cioè mi sono sempre considerato un autore di musica, ma non uno scrittore di testi. Quando scrivo ho ancora bisogno di qualcuno che mi aiuti per arrivare alla parola giusta, in questo sono ancora troppo critico verso me stesso.

A me viene un'idea e loro la cambiano per arrivare ad una migliore scelta delle parole o qualcosa di più astratto, non è una cosa diretta.

 

 

Il titolo del tuo primo album era "An Orchestrated Rise To Fall", nel nuovo disco c'è un brano intitolato "Falling From The Sun" nel quale canti ripetutamente "find our way to fall", e un po' in tutta la tua musica c'è un qualche senso di abbandono, di caduta. Si tratta di una semplice coincidenza o sono immagini nelle quali ti riconosci? E in caso, hai trovato questo tuo "way to fall"?

Non ci ho mai pensato prima... in realtà anche nella canzone "Always For You", c'è un verso  che dice "through the clouds I fall".

 

Cosa intendi quando parli di cadere.

Non saprei, ho una vera ossessione per il volo e con il saltare giù! Nei luoghi in cui tutti gli altri soffrono di vertigini o nei posti molto alti il mio istinto è di saltare giù tutte le volte!

Ho fatto skydiving ed è stato fantastico, ho questa fissazione con il cadere, forse è questo.

 

Quindi non ti spaventa, ha una connotazione positiva

Penso di sì... di sicuro, come mi hai fatto notare, ne sono ossessionato.

Cioè, non so se ho trovato il mio "modo di cadere", ma è sempre una tentazione per me. Venendo in Italia, ci siamo fermati sulle coste meridionali della Francia, in un punto in cui c'erano delle enormi scogliere, e io...volevo tuffarmi!

 

In ogni caso non ha un senso negativo di resa, abbandono, è positivo per te, lo intendi fondamentalmente come un lasciarsi andare?

Sì, direi, ha sicuramente a che fare con l'abbandono e la resa e qualche altro significato nascosto nelle cose, ma per quanto riguarda il cadere in sé, per me è una vera e propria ossessione.

 

Dal vivo adesso suoni con una vera e propria band, che adesso hai voluto anche in studio per la realizzazione di "A Chorus Of Storytellers", così adesso quindi non si potrà più definire The Album Leaf come progetto "da cameretta". È cambiato qualcosa nel tuo modo di relazionarti dal vivo con altri musicisti? Ritieni di averne potuto trarre qualcosa?

 "A Chorus Of Storytellers" mi piace molto. Strano a dirsi ma, a dire la verità, questo disco è il mio preferito.

Ho realizzato tutti i dischi da solo, tutto era scritto da me e lo è tuttora, però questa volta... C'è un sacco di pressione quando si scrive, si suona e si fa tutto da soli e il fatto di dover tenere tutto sotto controllo non è che mi faccia impazzire, perciò mi è piaciuta l'idea di registrare con altre persone e ascoltare le idee degli altri.

È la prima volta che in un album suono solo le tastiere e mi piace, è stato grandioso. Siamo amici, ci divertiamo quando siamo in tour e tutto questo si è tradotto in affiatamento in studio. Mentre si registrava abbiamo riso un sacco, è stato davvero divertente, davvero una bella esperienza.

Sono molto contento del risultato, certo. Sono davvero soddisfatto di questo disco.

 

La tua intensa attività dal vivo ti ha portato a suonare in varie parti del mondo e in particolare mi risultano dei tuoi concerti nel sud-est asiatico: hai ravvisato una diversa percezione da parte del pubblico da un posto all'altro? E in particolare, com'è stata la risposta del pubblico asiatico a una musica che invece evoca tutt'altre ambientazioni geografiche e climatiche?

In realtà, l'Asia è il posto in cui siamo più forti, non ho idea del perché ma c'è sempre un sacco di gente ai nostri concerti. Non mi lamento di questo, solo che non capisco il motivo per cui lì piaccia così tanto...(passa un aereo e copre le voci, n.d.r.)

 

Un decollo, siamo vicinissimi all'aeroporto di Linate...

Dio mio, è come essere sulla pista! Scusa, qual era la domanda?

 

Il modo in cui viene percepita la tua musica nel Sud Est asiatico... può essere diverso ascoltare la tua musica, non so, sotto una palma tropicale?

Non so come mai laggiù piaccia così tanto la nostra musica, più che da altre parti. Loro danno molta importanza alla natura, pensa alla cura che hanno dei giardini in Giappone e per il verde in generale. L'amore per la natura è nella loro cultura ed essendo la nostra musica appunto molto legata alla natura, non so, le cose potrebbero essere collegate.

 

Per la tua musica sono state utilizzate varie definizioni, tra le quali quella di "indietronica". Come la definiresti, oggi? E a quali artisti ti senti più vicino dal punto di vista stilistico?

Definire il mio suono...sai, ho sempre problemi a definire la mia musica. Dicono elettronica, ambient, atmospheric, melodic, mellow. Alcuni dicono post-rock, ma non sono per niente d'accordo... indietronic? Qual è la parola?

 

Indietronic.

Già questa ha più senso, perché la mia musica è decisamente indie ed è decisamente elettronica. È davvero difficile per me mettere un'etichetta a ciò che faccio, ci penso nella misura in cui non riesco a pensare ad altri gruppi che abbiano qualcosa di simile nel suono, perciò non ho idea.

 

Ci sono gruppi ai quali ti senti vicino, dal punto di vista stilistico?

Ho sempre tenuto d'occhio gli Air, confrontandomi con loro metodo, l'estetica dell'album, il loro approccio è il più vicino al mio, sicuramente. Forse anche i Múm, ma certamente gli Air sono un gruppo che tengo spesso d'occhio. E i Notwist.

 

Un po' per tutta la tua carriera sei stato un outsider, che probabilmente ha raccolto meno consensi di quelli che avrebbe meritato e soprattutto con The Album Leaf forse se anziché a San Diego fossi nato a Berlino e avessi inciso per Morr Music saresti molto più considerato.

È strano che tu dica questo.

 

Cosa?

È strano che tu mi chieda proprio questo... prima davo uno sguardo al tavolo del merchandising, questa è la differenza tra essere con la City Slang ed essere con la Morr.

Certo, ci penso, "se fossi nato a New York o a Berlino".

Ma allo stesso tempo credo che vada bene così com'è; non suoniamo un genere che ha avuto dei picchi o delle cadute e se fossi stato un'altra città magari tutto sarebbe accaduto più velocemente, ma probabilmente ora sarebbe già finito tutto.

Ogni cosa sta facendo il suo corso per una ragione, abbiamo fatto un tour negli States e abbiamo venduto migliaia di dischi, qualcosa sta accadendo in positivo, forse nel mondo del downloading. Per quanto riguarda la dinamica delle cose, tutto sta cambiando in positivo, non ho nulla di cui lamentarmi, anche se spesso mi trovo a pensare a come sarebbero andate le cose se mi fossi trovato da un'altra parte.

La Morr comunque è la mia preferita, è fantastica.

 

Non si sa mai.

Magari nella prossima vita.

 

Non abbiamo il tatuaggio, possiamo entrare gratis al concerto? (esibendo lo stesso tatuaggio che ha Jimmy sull'avambraccio, anche logo della band, si può entrare gratis ai loro concerti n.d.r.)

Ma certo!

 

Mi racconti la storia di questo tatuaggio?

Risale all'esperienza islandese, riguarda il primo show in cui ho suonato. Un amico islandese si è occupato dell'artwork, ha fatto un manifesto per il concerto e c'era questa foglia. Quel concerto rappresentava un inizio, la foglia mi è piaciuta e ho deciso di tenerla come logo.

Ha un significato per me, quando avrò 80 o 90 anni guardandola (si sbottona un polsino e tira su la manica della camicia, mi mostra il tatuaggio e ci batte la mano sopra, n.d.r.) potrò dire: "sai ho fatto dei tour per il mondo, suonando la mia musica"!

È una sorta di promemoria per ricordarmi quanto sia stato bello e quanto sia stato fortunato ad avere la vita che sono riuscito ad avere, faccio tour per il mondo da 15 anni, è pazzesco, penserò, mi sono guadagnato da vivere così, un sacco di gente apprezza e ama la musica che faccio. Quando ci penso, ancora mi dico che tutto questo è folle e bellissimo.

 

Insomma, ti diverti ancora.

Nonostante siano passati 15 anni, suonando e andando in tour... sì, mi diverto ancora un sacco!

Discografia

An Orchestrated Rise To Fall (Music Fellowship, 1999)
In An Off White Room Ep (Troubleman Unlimited, 2001)
One Day I'll Be On Time (Tigerstyle, 2001)
A Lifetime Or More split w/On!Air!Library! (Arcco, 2003)
Seal Beach Ep(Acuarela, 2003)
In A Safe Place (Sub Pop, 2004)
Into The Blue Again (Sub Pop, 2006)
A Chorus Of Storytellers (Sub Pop, 2010)
Torey's Distraction(Nettwerk, 2012)
Perils from the Sea (as Jimmy Lavalle with Mark Kozelek, Caldo Verde, 2013)
Before You Know It (as Jimmy LaValle, Nettwerk, 2015)
Spring (as Jimmy LaValle, Nettwerk, 2015)
Between Waves (Relapse, 2016)
The Endless (Nettwerk, 2018)
OST (Nettwerk, 2020)
3022 (Nettwerk, 2020)
Artist And Mother (Nettwerk, 2020)
Synchronic (Eastern Glow, 2021)
One Day XX (Nettwerk, 2021)
Something in the Dirt (Eastern Glow, 2022)
Future Falling (Nettwerk, 2023)
Pietra miliare
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