Anacleto Vitolo - Av-k

L'ultimo fuoriclasse del made in Italy elettronico

intervista di Matteo Meda

Una parabola ascendente che pare destinata a proseguire sulla sua strada: questa la traiettoria che la carriera di Anacleto Vitolo ha intrapreso negli ultimi anni. Un percorso ancora breve, ma dalle radici profonde, saldamente piantate nell'underground elettronico napoletano e in particolare nella seminale esperienza controculturale del collettivo RXSTNZ. Nato batterista e presto divenuto Kletus Kaseday e costruitosi una reputazione principalmente come beatmaker istrionico e imprevedibile, Vitolo ha portato avanti la sua personalissima ricerca abbracciando progressivamente sempre più ambiti e rivelandosi musicista autentico e polivalente. Figli di questo cammino sono stati il riuscito esperimento a cavallo fra ambient melodica e glitch a nome K.Lone prima e l'ultimo, definitivo alter-ego Av-k poi. La firma con cui qualche settimana fa ha visto la luce "Fracture", l'album della definitiva consacrazione, forse il più personale e maturo dei suoi lavori. Il tutto senza voler dimenticare la meraviglia metavanguardista pubblicata l'anno scorso assieme a Michela Coppola a nome Algebra del Bisogno e l'altrettanto valida esperienza post-rock al fianco di Enrico Carrino a nome Ame Pantin, che l'ha visto ritornare al ruolo "originario" di batterista. Una grande varietà di anime creative legate a stretto giro da una serie di tematiche e di umori sempre cari al soundworld di Vitolo: dall'ansia verso il tempo alla claustrofobia, passando per una visione naturalista e determinista della contemporaneità e un timore "scientifico" verso il futuro, reso per mezzo di scenari sonori post-apocalittici e meta-industriali. Per farci raccontare tutto questo e mettere l'accento sulla sua esperienza artistica, in occasione dell'uscita di "Fracture" abbiamo raggiunto Anacleto via mail: questo il corposo lascito della nostra chiacchierata virtuale.

Personalmente, ti ho scoperto solo qualche anno fa, grazie a un pezzo uscito con un moniker che non hai più usato e finito su un sampler, che a mia volta trovai spulciando i vinili di un amico dj del giro RXSTNZ... Da allora, non ho mai potuto approfondire troppo sul tuo background: puoi riassumerlo?
Allora, tutto è cominciato una quindicina di anni fa circa, anche se ho cominciato a pubblicare solo più recentemente. Nasco innanzitutto come dj/turntablist hiphop, e successivamente, folgorato dai Company Flow e in particolare dai beat di Funcrusher Plus, mi sono dedicato alla produzione. Ho cominciato con i beat e lentamente la cosa si è evoluta, con gli anni e gli ascolti, nelle varie cose che ho fatto successivamente. Nel mentre ho studiato batteria per circa 8 anni, e forse molto del lato ritmico delle mie produzioni deriva proprio dalle suggestioni e dagli studi fatti durante questo periodo. ­

A proposito di RXSTNZ, quanta importanza ha avuto l'esperienza con loro nel tuo percorso artistico?
Tantissima, direi fondamentale! Ho avuto il piacere e l'onore di conoscere i ragazzi di RXSTNZ, in particolare Giona (Hyena) e Pablo (Pablito el dritto, nonché boss di RXSTNZ) nel 99 quando partecipai al MEI tech. Lì incontrai Giona e da allora abbiamo sempre mantenuto i contatti musicali. Ho pubblicato con loro il mio primo Ep ufficiale come Kletus Kaseday, "X" e la versione digitale di "Un ostinato risalire", con il collettivo Framedada, di cui mi son occupato del lato musicale.

­ In ogni tuo progetto, ti sei sempre distinto per un'attenzione meticolosa ai suoni elettronici che ti circondano, che hai sempre integrato in un soundscape incredibilmente personale... Che rapporto c'è tra quel che ascolti oggi e ciò che hai assimilato in passato? Ve n'è traccia nella tua musica?
La mia personalissima opinione è che tutto quello che ascoltiamo inevitabilmente ci influenzi e possa risultare in qualche modo rintracciabile nella musica che componiamo o in generale, in qualsiasi forma d'arte ci esprimiamo. Ho sempre amato il lato scuro, cerebrale, "mantrico" se così si può dire, della musica in tutti i suoi ambiti, dal rock al rap all'ambient, al jazz, al death-metal. Tutti generi che amo molto e che hanno contribuito a formarmi. In qualche modo credo ci sia un filo conduttore in tutte le cose che mi piacciono e ascolto. Credo. Ma poco importa in verità! ­

Rimanendo in tema, quali sono oggi gli artisti che apprezzi di più? Quali invece quelli del passato da cui hai imparato di più?
Beh, di artisti che apprezzo, odierni e del passato, potrei elencarne a centinaia. Sicuramente artisti come King Crimson, Tool, Vladislav Delay, Throbbing Gristle, Dälek, El­P & Cannibal Ox, Jesu hanno segnato tantissimo il mio modo di fare musica. Il disco che mi ha sconvolto più di tutti, negli ultimi tempi, è stato senz'altro "Virgins" di Tim Hecker. Bellezza allo stato puro, per quanto mi riguarda, ma c'è anche tanta musica Italiana che mi ha colpito. Il bellissimo "Xuan" di Ennio Mazzon, "Natura Morta" di Andrea Belfi. L'ultimo Dirk Serries, potremmo andare avanti per ore ad elencare... Spero di aver imparato da tutti quelli che ascoltato e di non plagiare nessuno di loro.

­Il recente "Fracture" è la dimostrazione di come il tuo sia un sound in perenne aggiornamento: oggi tocca con mano e destruttura quel minimalismo "umano" che con Jon Hopkins ha trovato il suo sbocco verso l'olimpo, ieri con K.lone stava più dalle parti del glitch in senso tardo. E prima ancora hai trasformato l'hip-hop in espressione post-fantascientifica... Si tratta di una scelta voluta o ti limiti a seguire un istinto creativo?
Faccio, produco, suono quello che mi ispira in quel momento. Non c'è una premeditazione. Il fatto è che mi piacciono molte cose e non mi pongo tanti limiti o problemi.

­ Come sei arrivato invece ad avvicinarti all'ambient music e ai droni, componenti quasi esclusivi di quel gioiello che è "A Centripetal Fugue"?
Non ti saprei dire, in realtà amo l'ambient da sempre, e in quasi tutto quello che ascolto, di qualsiasi natura esso sia, ci trovo una forte componente drone. Certo, negli ultimi tempi l'interesse per questa musica è cresciuto tanto, complici lavori bellissimi come quelli del suddetto Tim Hecker, ma in verità queste sonorità mi hanno catturato dalla prima volta in cui le ho incontrate.

­L'indubbia conseguenza è comunque il carattere poliglotta della tua ricerca, che sebbene mantenga dei canoni fissi, tende sempre a risultare imprevedibile nei risultati... Da dove proviene questo costante ricambio stilistico?
In generale mi annoia produrre o comunque lavorare sempre allo stesso tipo di cose. E' quasi una necessità, ma in realtà la cosa avviene del tutto naturalmente: cercare nuovi stimoli e nuove idee che inevitabilmente mi invogliano, di volta in volta, a suonare/produrre/comporre la musica che sento al momento. ­

Esiste un legame tra questo tuo eclettismo e la scelta ­ apparentemente molto "nineties" ­ di affidare la tua musica a tanti pseudonimi diversi?
In realtà la ragione di ciò è strettamente correlata al pubblico. Non è improbabile che chi preferisce le produzioni Av-k (nome con il quale per altro, a dirla tutta, produco cose abbastanza diverse tra loro, e che ultimamente sto utilizzando in modo quasi esclusivo per tutte le release più recenti) non ami le sonorità più morbide e pop di K.lone piuttosto che i beat acidi che pubblico a nome Kletus.K - il più delle volte in combo con degli Mc come per "Internos" o "moonchild(s)". Discorso diverso vale per i collettivi, come appunto Internos, Algebra del Bisogno e X(i)NEON. Diciamo che in linea di massima sono 3 i miei personali pseudonimi: Av-k per tutte le produzioni più sperimentali, K.lone per le cose più pop e Kletus.K per i beat acidi e il rap. ­

Ho avuto l'impressione che i tuoi recenti lavori a nome Av-­k siano i più maturi e consapevoli della tua carriera. Sei d'accordo nel considerarlo come il tuo progetto più personale, completo e, per certi versi, "definitivo"?
Sono lusingato dalle tue parole e non sta certamente a me dire questo. Di certo, oggi come oggi, è il progetto che sento più vicino ai miei gusti e alle mie inclinazioni personali, al quale sto, peraltro, dedicandomi per la quasi totalità delle produzioni odierne e di prossima uscita (anche il nuovo Internos, che uscirà a breve, sarà pubblicato come A.rota.B & Av-k, in ragione di Kletus.K, data la natura delle produzioni).

Non credo sia un caso che questa consacrazione sia arrivata con un moniker che hai usato spesso anche in passato, per firmare a livello discografico/editoriale alcune tue produzioni... Come e dove è nato? Cosa rappresenta per te?
La cosa è andata così: All'inizio pubblicavo le cose a nome Kletus Kaseday... il problema si è posto con Framedada e in particolare con K.lone. E' li che è venuta fuori la necessità di trovare un marchio che inglobasse il tutto, associando a me questi vari progetti. Quando poi ho realizzato le tracce per Fat Cat, ho sentito la necessità di trovare un moniker ulteriore, poiché le sentivo abbastanza lontane da tutte le cose fatte in precedenza... E a quel punto ho deciso di utilizzare la sigla Av-k, che nient'altro è se non l'acronimo del mio nome e cognome con l'aggiunta della K, di Kletus (ride).

Se penso a un confronto tra "Enchantment" e "Francture", peraltro, l'evoluzione sonora risulta lampante, e altrettanto lo sono le differenze anche radicali nel sound. Che traiettorie ha assunto la tua ricerca negli ultimi anni? In funzione di quali elementi?
Sicuramente da un lato l'aspetto ritmico, stavolta più frammentato e meno quadrato e allo stesso tempo più aggressivo. Dall'altro i droni e il noise. Per dirla tutta, "Fracture", e Av-k in generale, li sento come un'evoluzione, una diretta conseguenza delle cose iniziate come Kletus.K. Poco, se non zero, spazio per le melodie che invece caratterizzano K.lone... Ma, ti ripeto, non c'è premeditazione in tutto questo. C'è molta più istintività di quanto si possa pensare! ­

A tal proposito, sia "Fracture" che i tuoi lavori hip-hop a nome Kletus Kaseday (e, in maniera più astratta e meno strettamente razionale, anche il progetto Algebra del Bisogno, su cui torneremo dopo) sembrano condividere un senso di angoscia scientifica, un'attitudine quasi naturalista nel rendere nei suoni il tempo in cui viviamo e ipotetici scenari futuri. Condividi questa chiave di lettura? Questa del mutare del mondo in funzione del tempo è una tematica a te cara?
Condivido in pieno, nella misura in cui, inevitabilmente, il tempo in cui viviamo, la condizione socio­economica, politica e ambientale ci influenzano in tutto e per tutto. Più che sentirmi testimone del mio tempo, ti direi che è il contesto in cui vivo che mi condiziona, in modo più o meno conscio, portandomi a trasportare queste sensazioni nella musica che faccio.

E riguardo quella piccola meraviglia a cui hai lavorato con Michela Coppola, che cosa ha rappresentato per te?
Di sicuro è un'evasione da tutto quel che è stata la tua arte fino a questo momento, uno step che oltrepassa la musica in senso stretto.

Credi vi sia però un legame tra l'espressionismo metateatrale di questo lavoro (e l'arte dello spoken-poetry) e il tuo trascorso hip-hop (con il "suo spoken-­poetry", ovvero il "rhythm and poetry")?
C'è sicuramente. E sono fortemente attratto da questo stile di impostazione vocale e recitativa. Da un lato, è per me questa un'operazione non del tutto nuova, essendo lo stesso Framedada un progetto che univa la sperimentazione sonora e la ricerca poetica. E poi mi intriga moltissimo il discordo di incastri ritmici tra la voce, le percussioni e gli altri strumenti in generale. Di certo, dato il mio background batteristico da un lato e la radice hip-hop dall'altro, la cosa è venuta un po' da sé. ­

Oltre ad aver guadagnato in poco tempo uno status importante e meritatissimo nel panorama elettronico italiano, ­ anche il ritmo delle tue pubblicazioni ha subito una vertiginosa accelerazione! A cosa è dovuta questa esplosione creativa?
Beh, a dire il vero ho sempre prodotto tanto. Solo che fino a qualche anno fa non mi sentivo pronto a pubblicare le cose che facevo... considero i primi 10 anni (è da una quindicina d'anni circa che mi cimento in questo) di studio, di formazione... Diciamo che dal 2010 circa ho cominciato a esser più sicuro e a proporre di più le mie cose alle label per far si che venissero pubblicate. Perché produco tanto? Perché mi piace! Amo la musica, amo farla e amo ascoltarla! ­

Come spieghi il fatto di essere riuscito a "scalare" la montagna della notorietà nel giro di così poco tempo?
Non so se sia davvero avvenuto ciò. So che amo quello che faccio e ciò che mi muove è la passione, null'altro. ­

A proposito, come sei arrivato a firmare con FatCat e cosa rappresenta questo traguardo per te? A quando il tuo primo disco per loro?
Con FatCat ho un contratto publishing, per ora non si parla di produzioni discografiche, almeno non a strettissimo giro. A loro ho inviato una mail con link al mio materiale e qualche info, come sempre fatto in passato e tuttora continuo a fare, proponendo le mie cose. Mi ritengo fortunato e onorato di esser stato scelto tra i tanti per collaborare con loro. Tutto è avvenuto in modo molto naturale... oltre ogni mia aspettativa! ­

E' cambiato qualcosa anche nei tuoi interessi e in te come persona, in questi pochi ma intensissimi anni?
Probabilmente si, ma non saprei neanche dirtelo. Non ci penso, molto sinceramente... Di sicuro sarà avvenuto, se non altro per ragioni "anagrafiche". Di certo è che amo la musica, esattamente quanto la amavo quindici anni fa, quando ho cominciato a smanettare su mixer e giradischi. Di certo oggi il ventaglio di cose che apprezzo e che mi incuriosiscono, non solo in ambito musicale, è più vasto, come è giusto e normale che avvenga nella crescita di una persona, qualunque cosa essa faccia e qualunque sia il suo ambito d'azione. ­

Il tuo modo di intendere l'elettronica non è mai dipeso dal dancefloor e dalle sue dinamiche, ma la tua produzione più recente sembra aver definitivamente rotto ogni legame... Sei d'accordo?
Beh, in realtà uno dei lavori di prossima pubblicazione, di cui non faccio nomi e date per scaramanzia, porta in sé, seppure in una forma sempre molto personale, un certo legame con la techno e il dancefloor, anche se in modo del tutto avulso dalle dinamiche che riguardano, nel bene e nel male, quel mondo.

­ Siamo peraltro in un periodo in cui l'elettronica tutta si sta allontanando progressivamente da questo suo ruolo originario... Pensi che questo processo possa giovare alla capacità espressiva e alla musica in generale?
Non saprei, non mi sento nella posizione di poter esprimere giudizi in merito. A dire il vero, ci sono cose molto belle e interessanti sia in ambito dancefloor che non. Non credo sia un problema di estrazione o di genere, ma più banalmente di qualità e personalità delle proposte stesse.

A proposito di discografia, ho notato che "Fracture" è un disco curatissimo dal punto di vista dell'uscita fisica, e curiosamente fa seguito a due lavori pubblicati esclusivamente in formato digitale... Credi ancora nella valenza e nell'attualità del supporto fisico per la musica elettronica? A livello potenziale può il digitale rappresentare un'alternativa migliore e più attuale?
A me piace comprare i dischi. Purtroppo ne compro molti meno di quanti ne desideri acquistare, e in questo sta la mia personalissima risposta alla tua domanda. Non ho pregiudizi in merito, non sono né un fanatico né uno strenuo seguace dell'una o dell'altra scuola di pensiero. Quello che mi interessa è che la musica venga ascoltata nella dimensione migliore possibile. Credo che quello dei supporti sia anche un po' un discorso legato alle mode del momento. Ora vedo tante pubblicazioni su cassetta e un forte e deciso ritorno del vinile. Va bene tutto, purché si diffonda e ascolti la musica. Poco conta se ciò avvenga in via digitale o su supporto fisico a mio parere. ­

Che importanza ha, invece, la dimensione live per te? E quali sono le tipologie di venue che reputi più adatte alla tua musica?
Il live è un aspetto molto importante della mia musica, e in particolare un disco come "Fracture" credo che live renda ancor di più, se proposto nei contesti giusti. Cerco di avere un approccio il più fisico possibile al live, tentando col passare del tempo di rendere sempre più "suonato" il mio live set, per quanto possibile. Come dicevi giustamente prima, non sono legatissimo, almeno per quanto riguarda il live, alla dimensione dancefloor della faccenda, ma molto dipende dal tipo di live che mi accingo a proporre, che spesso è anche funzione della location in cui mi trovo a esibire. Mi piacciono sia i contesti più grandi che le situazioni più intime e raccolte. Non ho preferenze in merito. Mi piace cambiare e misurarmi in situazioni sempre diverse.

­Concludo chiedendoti di dare qualche anticipazione sulle tue prossime mosse: so che l'esplosione creativa di cui avevamo parlato prima sembra ben lungi dall'interrompersi...
Sì, ci sono tante cose in cantiere, alcune a scadenza più ravvicinata, altre meno rigide e più distanti in termini di pubblicazione. A più stretto giro ci sono il nuovo Internos, il primo lavoro come X(i)NEON (in collaborazione con il bassista/contrabbassista Francesco Galatro), alcune pubblicazioni come Av-k, in solo e con un paio di lavori in combo con altri musicisti, e poi un disco di remix per il 10° anniversario della nascita di Laverna... E poi sto avviando una nuova piccola realtà, Cogwheel Press Rec, che darà voce a quel lato alt-rap di cui sopra, con un po' di uscite che mi vedono coinvolto (come Kletus Kaseday) alla produzione e altre ad opera di artisti che ammiro e stimo nel suddetto ambito... Insomma, tanta carne a cuocere!

Header photo by Alfonso Fiero - su gentile concessione di Flussi
Homepage photo by Alessandra Magno

Discografia

KLETUS KASEDAY aka KLETUS.K
Kletus Kaseday (demo, Autoprodotto, 2008)
X (EP, RXSTNZ, 2011)
Internos (with A.Rota.B, Av-K, 2012)
K.LONE
Enchantment (Marte, 2012)
AV-K
Torsion (Ep, Manyfeetunder, 2013)
A Centripetal Fuguel (digi-EP, Laverna, 2014)
1114 (EP, Manyfeetunder, 2014)
Fracture (CD, Manyfeerunder, 2015)
COLLABORAZIONI
Un ostinato risalire (as Framedada, RXSTNZ, 2011)
Pantin (with Enrico Carrino as Ame Pantin, Oaf/Av-k, 2013)
Starless EP (as Kletus.K with Moonchild(s), Cogwheel, 2014)
Algebra del Bisogno (with Michela Coppola as Algebra del Bisogno, Av-k, 2014)
Pietra miliare
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