Franck Vigroux

A sense of loss

intervista di Giuliano Delli Paoli

Raggiungiamo Franck Vigroux in occasione dell'uscita del suo nuovo album, "Rapport Sur Le Désordre". Il compositore francese ha dimostrato nel corso degli anni di essere tra i più eclettici e ispirati performer in circolazione. Un gigante delle installazioni audiovisive con cui hanno collaborato differenti pesi massimi, dall'immenso Mika Vainio al pianista d'avanguardia Reinhold Friedl.

Sono trascorsi due anni da "Ciment" e nel frattempo non hai perso occasione per lavorare con musicisti del calibro di Mika Vainio, Reinhold Friedl e Matthew Bourne. Come hai trascorso questi due anni e cosa ti hanno lasciato queste collaborazioni?
Gli ultimi due anni sono stati incentrati principalmente sulla mia performance dal vivo: Ruines. Ma sono stato molto impegnato anche nella registrazione e nella riproduzione di diversi progetti. La collaborazione con Mika, Matthew e Reinhold è in effetti una sorta di work in progress. Ho lavorato con Matthew nel 2008, ed è un ottimo pianista, sempre pronto ad esplorare. Anch'io posso scrivere musica per pianoforte, così come lui può improvvisare. Con Mika invece ho suonato dal vivo per la prima volta nel 2012, ha sicuramente un gusto unico del suono, ho imparato molto collaborando con lui. L'approccio di Reinhold alla musica è molto radicale e fresco, e mi piace molto, dobbiamo solo pensare alla struttura e l'improvvisata di turno.

Ascoltando il tuo nuovo album, "Rapport Sur Le Désordre", si avverte una profonda distopia verso il mondo attraverso l'ausilio di suoni freddi ma al contempo estremamente profondi. Spesso è come se volessi sfondare una lastra di ghiaccio per dare spazio a un'eruzione vulcanica di tipo effusivo che risale lentamente dalla crosta. Quali sono state le sensazioni che ti hanno spinto a dar vita a questo disco?
Non lo so, con il senno di poi l'album può essere da qualche parte tra la pittura di Kaspar Friedrich e il mondo di Philip K. Dick, un mix di romanticismo e fantascienza. Inoltre penso che ora sto chiudendo un lungo capitolo che è iniziato con il mio album "Camera Police" e con quel pezzo per la radio nazionale francese che ho fatto alcuni anni fa intorno a "Noi", il romanzo dello scrittore russo Evgenij Ivanovič Zamjatin. La lettura di "1984" di Orwell, mentre ero adolescente, mi ha profondamente influenzato, così come "Viaggio al termine della notte" di Ferdinand Céline. Una sorta di visione pessimistica del mondo.

L'uso di voci robotiche filtrate, inserite in un contesto spesso violento e inumano, mi ha portato indietro nel tempo, ripescando dai cassetti della memoria band come Young Gods. Nell'album ho avvertito un'anima "rock". Sei d'accordo?
Sono d'accordo, la chitarra è il mio primo strumento, anche se ho esplorato tutti i tipi di musica. Sì, rock e altri generi vicini mi hanno sempre influenzato. Eppure non conosco gli Young Gods...

Brani come "Flesh" inducono a una perdizione sensoriale e temporale acuta. Da dove nascono questi momenti?
Non saprei. "Flesh" è un collage di due tracce, la prima rivela ciò che accadrà nell'altra, mentre spunta una voce che culmina in crescendo. Sono contento che ci sia un senso di perdizione.

La Francia e l'Europa intera attraversano un periodo particolarmente difficile, tra attentati, guerre e chi ne ha più ne metta. Che idea ti sei fatto di tutto quello che sta accadendo negli ultimi due anni nel Vecchio continente? Tutto questo influenza la tua musica?
La Francia ora sta pagando il conto per gli errori commessi, in termini di urbanistica, integrazione, educazione. Purtroppo penso che la situazione potrebbe presto degenerare ovunque in Europa, anche nei paesi non coinvolti militarmente in Siria o Libia, a differenza della Francia. Non voglio basarmi sui luoghi comuni, ma sappiamo che la causa principale dell'estremismo è il capitalismo, con le sue disparità sociali. Non è un evento nuovo. Basta pensare che i nazisti apparvero subito più forti dopo la crisi del 1929. Trump, Marine Le Pen, Pegida, Brexit, Junker, Movimento 5 Stelle e così via. Non è facile essere ottimisti. Dobbiamo svegliarci! La mia musica è influenzata dalla vita quotidiana, io osservo costantemente il mondo, per quanto possibile.

In "Ruines" si avverte una certa sacralità, mentre nella successiva "Stadium" si vola sulle ali di un'insana distopia. Come spieghi queste due anime contrapposte, presenti a più riprese nel disco, e cosa rappresentano per te?
Non analizzo mai la mia musica, per me è pura intuizione, poi credo sia una questione di coerenza. Quando ascolto un album, mi piace la diversità dei suoni, il ritmo, il tempo.

Presto partirai in tour, cosa dobbiamo aspettarci dalle tue performance? Hai qualche segreto da svelarci?
Ogni performance è diversa. Lo spazio, l'acustica, il sistema audio non sono mai gli stessi, il pubblico non reagisce allo stesso modo, a volte sono seduti, altre volte in piedi. Non c'è nessun segreto tranne che è importante avere abbastanza esperienza per adattare un po' la musica e "giocare" con essa, perché il contesto lo richiede.

Cosa ascolti in questo periodo?
Niente in particolare. Di solito ascolto un sacco di cose, dall'hip-hop al barocco. Cerco di essere curioso.

Push the Triangle e Transistor appartengono ormai al passato o il futuro può regalarci qualche sorpresa?
È passato. Ma la rinascita del progetto Transistor è in arrivo per marzo prossimo con una versione Ep su Entracte, un'etichetta inglese. Non vedo l'ora di farlo. Sto anche preparando un Ep per una nuova etichetta elettronica italiana.

Hai qualche novità da segnalarci in uscita per la tua DAC Records?
Non ancora.

Discografia

Pietra miliare
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