Grazia Di Michele

Musica dal cuore e "Poesie di carta"

intervista di Alessandro Liccardo

"Poesie di carta" è uno spettacolo che segna l'incontro tra Grazia Di Michele e Marisa Sannia, un'amicizia speciale nata fuori dal tempo e solo dopo la scomparsa dell'artista sarda. In occasione della data al Teatro Golden di Roma, in via Taranto 36, alle 21 del 12 gennaio 2022, abbiamo raggiunto telefonicamente la cantautrice e docente romana che il grande pubblico ha conosciuto con lo stile elegante e intimista de "Le ragazze di Gauguin" e "L'amore è un pericolo".

grazia_di_michele_600Grazia Di Michele nasce come cantautrice prima ancora che in Italia coniassero il termine. Gli storici della canzone ricordano che nel 1975, tre anni prima del suo album di debutto "Cliché", uscì per la Rca un lavoro intitolato "Le Cantautori. Settembre 1975: musica dal pianeta donna" con Roberta D'Angelo, Nicoletta Bauce, Simo & Susi e Silvia Draghi, con la produzione di Vincenzo Micocci della It, con la partecipazione (tra i tanti) degli ex-Pierrot Lunaire Gaio Chiocchio (in seguito co-autore di Amedeo Minghi, Paola Turci e Riccardo Cocciante) e Arturo Stàlteri. E che l'anno prima, nel 1974, un'ancora conosciuta Donatella Rettore pubblicava "...ogni giorno si cantano canzoni d'amore...", con sette brani su dieci che portano la sua firma. Ma fino a quel momento non c'erano modelli di riferimento femminili nella nostra canzone d'autore.

Bisognava infatti guardare fuori dai nostri confini - Emmylou Harris, Joan Baez, Joni Mitchell. Proprio quest'ultima è un punto di riferimento di Grazia, originale autrice con la chitarra che riesce a emergere dopo la sbornia (anche italiana) dei sintetizzatori con testi evocativi e interpretazioni di classe. Per quattro volte è a Sanremo: il 1990 e il 1991 sono anni in cui ai big sono affiancate star internazionali, di conseguenza "Io e mio padre" è interpretata in inglese da Nicolette Larson e "Se io fossi un uomo" da Randy Crawford, che la includerà in "Through The Eyes Of Love". Nel 1993 arriva al podio con "Gli amori diversi" in coppia con Rossana Casale, e i frutti della loro collaborazione si trovano nei rispettivi album "Confini" e "Alba Argentina". È del 2015, invece, la partecipazione con Mauro Coruzzi/Platinette con "Io sono una finestra" (con un omaggio a Giuni Russo, interprete originale di "Alghero", nella "serata cover").

Dopo oltre quarant'anni di musica e una presenza per molti anni ad "Amici" nel ruolo di vocal coach, scopriamo una Di Michele disponibile, entusiasta e ancora piena di progetti (non solo musicali, come ci ha raccontato), libera di cimentarsi in repertori altrui e di studiarli a fondo. Nasce così "Poesie di carta", omaggio di una cantautrice a un'altra cantautrice - per quanto Marisa Sannia sia ricordata dal grande pubblico come la "gazzella di Cagliari" che andò a Sanremo, a Canzonissima e prese parte a musicarelli ("I ragazzi di Bandiera Gialla" e "Stasera mi butto"). Interprete di canzoni di Don Backy e Sergio Endrigo, nonché di classici disneyani, per prima incise "La compagnia" di Mogol e Donida, più avanti ripresa da Lucio Battisti ne "La batteria, il contrabbasso eccetera" e in seguito da Vasco Rossi. Dal 1993 al 2003 Sannia realizzò una trilogia affascinante ma sconosciuta ai più in lingua sarda ("Sa oghe de su entu e de su mare", "Melagranàda" e "Nanas e janas"). Uscì invece postumo - pochi mesi dopo la sua morte nell'aprile del 2008 - il tributo a Federico Garcia Lorca "Rosa de papel", con undici componimenti messi in musica dall'artista stessa e una rilettura di "Pequeno vals vienés" musicata da Leonard Cohen e già da quest'ultimo ("Take This Waltz").

Com'è nata l'idea di dedicare il tuo nuovo spettacolo, "Poesie di carta", a Marisa Sannia?
È iniziato tutto per caso. C'era l'inaugurazione di una mostra dedicata a Federico Garcia Lorca e Salvador Dalì, sul loro rapporto, sul loro carteggio e la loro amicizia, e il curatore di questa mostra mi chiese - prima della prima ondata della pandemia - di presenziare cantando uno o due brani di Garcia Lorca. Quando dissi "va bene, mi informo meglio", lui mi propose di ascoltare l'album "Rosa de Papel" di Marisa, un lavoro meraviglioso che è uscito postumo, perché lì avrei trovato sicuramente qualcosa. Per cui l'ho ordinato, mi è arrivato a casa e da lì c'è stato un colpo di fulmine. Per quanto io sia dentro la musica, non riesco a seguire tutto, e questo lavoro all'epoca mi era sfuggito. Una volta ascoltato, me ne sono innamorata ed è iniziato un viaggio.
Ho contattato la famiglia di Marisa per capire che ne era di tutto questo materiale, e ho scoperto che non solo aveva dedicato l'ultimo periodo della sua vita a mettere in musica i componimenti di Lorca, ma aveva scritto uno spettacolo teatrale che purtroppo non è riuscita a portare in scena. Il lavoro che lei aveva fatto per tre anni, minuziosamente e con tanta passione e amore, non aveva visto la luce. Ho ricevuto un'eredità di Marisa - l'esclusiva del copione che aveva scritto - e ho cominciato a contattare i suoi musicisti, a partire da Marco Piras che è stato a lungo il suo arrangiatore e produttore. Gli raccontai la storia, nel frattempo ascoltai gli album in cui Marisa aveva musicato i poeti sardi, Antìoco Casula (Montanaru) e Francesco Masala (cui è dedicato il lavoro "Melagranada") e gli chiesi "ma perché non ritiriamo fuori tutto questo materiale meraviglioso?". Marisa è assai più ricordata per i successi degli anni Sessanta/Settamta, ma nessuno conosce questa storia di Marisa cantautrice innamorata della poesia. Abbiamo messo insieme il suo gruppo storico, abbiamo trovato il suo violoncellista, il percussionista, da parte mia "nel continente" c'ho messo chitarrista e contrabbassista - viste le difficoltà dovute alla pandemia lavoravamo noi da una parte e loro dall'altra. Pensa che ci siamo incontrati tutti insieme per la prima volta il giorno prima della data a San Teodoro a settembre...

Oltre al copione dello spettacolo e alle canzoni dell'ultimo disco dell'artista sarda, è stato inserito altro suo materiale? Anche qualche brano inedito?
Nel concerto non ci sono inediti, lo spettacolo comprende i brani di "Rosa de Papel" ma ho voluto pescare qua e là anche nella sua produzione in sardo, ho voluto inserire due canzoni molto belle scritte da Sergio Endrigo. È un po' un viaggio nell'ultimo periodo di Sannia e nella sua storia. Artista straordinaria che si conosce poco, in Sardegna già di più anche se non è semplice trovare molto suo materiale.

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Trovi ci siano punti di contatto tra te e Marisa, come artista e come donna? In cosa ti rispecchi in lei in termini di scrittura e interpretazione?
In qualche modo ho trovato dei punti in comune, caratterialmente e dal punto di vista artistico siamo due figure molto vicine. Non siamo persone che gridano, ma pesano le parole, danno importanza alle parole. Non dobbiamo ricorrere a strategie coreografiche per farci sentire, ecco. Marisa Sannia era una donna estremamente schiva ed elegante, non amava per nulla il gossip. Dal punto di vista musicale, come ho appreso parlando con Marco Piras, era un'artista estremamente presente anche in sala di registrazione, dal primo all'ultimo momento. Ha fatto un lavoro di world music, il mondo sonoro che c'è nei suoi ultimi dischi è un lavoro di ricerca delle radici sarde, e io amo molto andare alla radice dei suoni, un po' perché sono musicoterapeuta e un po' perché mi affascina l'approccio etnico alla musica. Un'altra cosa che mi avvicina a Marisa è che componeva suonando la chitarra; ho la mia chitarra, amo le ballate come le amava lei, amo tantissimo lo spagnolo e lei ha realizzato un lavoro intero in lingua spagnola. È strano, perché quando Marisa era in vita non avevo notato quanto fossimo vicine. Oggi mi sembra naturale che potessi essere io a raccogliere questa sua eredità.

Debutti come cantautrice nel 1978, ma ottieni un notevole successo di pubblico con il terzo disco "Le ragazze di Gauguin". La cosa che affascina di più del tuo percorso è che sei arrivata alla notorietà nel momento giusto con uno stile intimo e raffinato, proponendo una musica che in Italia non faceva nessuno, che richiamava Joni Mitchell, con dischi ben costruiti e ben suonati, con influenze folk, che però sono arrivati senza difficoltà in Tv e nella programmazione radiofonica...
Sono riuscita a fare qualcosa che non c'era prima. Al tempo c'erano uomini che scrivevano per le donne e dai loro testi emergeva il loro modo di pensare alla donna, che era appunto una proiezione maschile. Anche nel raccontare la vita, l'amore, la maternità. La parola cantautrice è nata dopo che io arrivai alla It da Vincenzo Micocci con una chitarra e canzoni che avevo abbozzato. Mi è sempre interessato seguire un mio istinto, senza voler copiare nessuno o seguire mode musicali. Raccontavo, insieme a mia sorella Joanna che scriveva con me, quello che vivevo.
"Cliché" nel 1978 era un disco femminista, che affrontava tematiche come l'aborto o l'omosessualità femminile, parlava dell'esigenza di sganciarsi dal bisogno di avere un uomo per forza per sentirsi realizzate - tutta una serie di tematiche che io vivevo nella quotidianità e che riportavo nelle canzoni. Mi sono chiesta se sarebbe mai venuto in mente a un uomo di cantare di una donna che stava per abortire o che si metteva in discussione. Al contrario, quello era un periodo in cui le donne cantavano soltanto di sottomissione all'uomo, le canzoni raccontavano amori tormentati, sbagliati, dipingevano uomini traditori ma in fondo delle "simpatiche canaglie" - facevano qualunque cosa ma non venivano mai mollati. Venivamo dalle partite di pallone e "perché la domenica mi lasci sempre sola", da "Bugiardo e incosciente" e "vieni qui, te ne vai, sono sempre fatti tuoi...". Gli uomini venivano fuori simpatici, le donne erano delle piantagrane lamentosissime. Io non ho fatto altro che raccontare quello che stavo vivendo, parlavo dei miei bisogni reali e non quelli immaginati da altri, e lo facevo accompagnandomi con una chitarra. Amavo Joni Mitchell, che è l'artista che ho seguito più perché è stata capace di rinnovarsi nel tempo. Ascoltavo lei ma anche Carole King, Carly Simon, Kate Bush. Artiste straniere, delle quali traducevo i testi, perché non avevo modelli di riferimento in Italia.
La mia fortuna è stata quella di non curarmi troppo di cosa si ascoltava in radio, non mi sono posta il problema di come poter andare incontro al pubblico. Ho sempre pensato "questa è la mia musica, se va bene, bene". L'ultima volta sono andata a Sanremo con un duetto improbabile e un testo difficile, che non era stato scritto appositamente per il festival. "Io sono una finestra" è sui pregiudizi, sull'identità di genere. Lo presentai a Carlo Conti e lui stesso pensò che i tempi fossero maturi. E se parliamo di "Madre Terra", una canzone d'amore per la terra che dura dieci minuti, non avevo certo in mente di scrivere un brano adatto per le radio. Eppure sono successe cose strane: il brano è finito nelle playlist di meditazione di tutto il mondo, ci fanno le danze sacre, lo insegnano a scuola ai bambini, hanno fatto orecchini con frasi estrapolate dal testo...

Nella tua musica c'è sempre stata una grande attenzione allo storytelling. Quali sono gli autori che ti hanno più influenzata sul piano letterario? I libri che hai più amato?
Leggo moltissimo, amo Borges, Amado, Garcia Lorca ma anche i poeti italiani. Ho portato in scena uno spettacolo su Italo Calvino anni fa, in cui ho riproposto brani del gruppo Cantacronache a firma Calvino-Liberovici. E da quando ero piccola amo De André, Francesco De Gregori, Paolo Conte, Ivano Fossati - sono sempre stata molto attenta al cantautorato italiano, ma ho divorato anche libri con traduzioni di testi di Bob Dylan e Leonard Cohen. Ho scritto due libri, e in uno in particolare - "Apollonia", pubblicato da Castelvecchi due anni fa - mi hanno fatto notare che emerge il mio amore per la scrittura onirica di Borges. Poi ovviamente nelle canzoni ci finisce anche l'impegno sociale: sono attenta a comunicare cose che mi stanno a cuore, ci finiscono i titoli delle opere che guardo nei musei, le ragazze di Gauguin... tutto.

Negli ultimi vent'anni sei stata anche un volto televisivo, con il ruolo di vocal coach ad "Amici". Cosa ti ha lasciato l'esperienza?
L'esperienza in realtà continua, dopo "Amici" ho continuato a insegnare in accademie, conservatori e scuole di musica. Mi interessa costruire una personalità artistica laddove è in nuce, non ancora conclamata, e dove c'è la possibilità di lavorare a fianco di una materia sensibile. In trasmissione avevo un ruolo preciso, quello accompagnare i ragazzi in una direzione che per me è l'unica possibile - conoscersi profondamente per farsi conoscere. Non intendo lo studio del canto come tecnica e basta, la tecnica in alcuni casi non serve neppure per emergere - molti non hanno estensione vocale, neanche un'intonazione perfetta, ma hanno personalità e la capacità di comunicare, creare un ponte con il pubblico. Lì è il lavoro interessante da fare: scandagliare le emozioni, immedesimarsi nelle storie e nei racconti. Ho sempre cercato di stimolare la scrittura, invitare a capire quale fosse il proprio stile. Un altro aspetto per me fondamentale è la cultura musicale. A differenza di chi va in un corso di pittura e per forza conosce gli stili pittorici, o di chi studia danza, i cantanti spesso cantano per inseguire il sogno di finire su un palco. Ma se non conosci la storia del blues non lo puoi cantare, la stessa cosa vale per il soul, per il rap e per qualsiasi altro genere. Devi comprendere l'ambito in cui ti muovi, che è sociologico, temporale. In questo non mi sono mai fermata.

Hai collaborato con molti colleghi e colleghe - Rossana Casale, con cui sei arrivata terza a Sanremo nel 1993, ma anche Riccardo Giagni ("Le ragazze di Gauguin"), Ivan Segreto, Arturo Stalteri, Eugenio Finardi. Recente è l'esperienza in trio con Mariella Nava e Rossana Casale. State lavorando su qualcosa? C'è in cantiere musica nuova?
Lo spettacolo con Mariella e Rossana l'abbiamo portato in giro per due anni, mischiando le nostre musiche, il nostro modo di stare sul palco, ci siamo scambiate brani, musicisti... un'esperienza davvero particolare. Nel frattempo abbiamo scritto un album che uscirà in primavera, composto a sei mani - tant'è che non ti so dire cosa ho scritto e dove perché abbiamo mescolato davvero tutto, parole, musica, pensieri e arrangiamenti, lavorando con il produttore Phil De Laura a New York.
Nel frattempo porterò avanti "Poesie di carta" con quattro date in Sardegna e ti posso dire che, nonostante il peso di un'eredità artistica, è un lavoro che faccio con grande amore. Ad aprile, inoltre, debutterò a Milano con uno spettacolo intenso e molto bello con Giovanni Nuti, "Una storia d'amore". Poi c'è il Trio Terra, insieme a Eleonora Bianchini e Fabrizio Mocata, con cui a Vicenza ho realizzato uno spettacolo basato sul viaggio "musicale" di Cristoforo Colombo. Sta anche per uscire un libro di racconti, "Rose principi e serpenti". Poi però dovrò fermarmi un po' (ride).

Ultimissima domanda: tre tuoi videoclip sono stati diretti da Gabriele Salvatores. Hai un ricordo particolare del tuo lavoro con lui? Hai mai accarezzato l'idea di fare cinema o musica per il cinema?
Gabriele allora non era ancora premio Oscar, ma era già Gabriele. Lavorammo per il video di "Mama" e fu una cosa bellissima, perché riuscì a cogliere da solo il senso del brano. Poi ci fu "Sha la la", sui viaggi, sui ritorni... Ho avuto la fortuna di essere seguita da grandi registi e videomaker. Per quanto riguarda il cinema, l'anno scorso è uscito il mio libro "La regola del bucaneve" (Castelvecchi) e mi ha contattato un'agenzia chiedendomi se fossi interessata a una trasposizione cinematografica... e da lì è partita un'altra nuova avventura.

Discografia

Cliché (It, 1978)
Ragiona col cuore (Venus, 1983)
Le ragazze di Gauguin (Wea, 1986)
L'amore è un pericolo (Wea, 1988)
Raccolta (antologia, Wea, 1990)
Grazia Di Michele (Wea, 1991)
Confini (Wea, 1993)
Rudji (Sony Music, 1995)
Naturale (CNI, 2001)
Respiro (Rai Trade, 2005)
Passaggi segreti (Rai Trade, 2009)
Giverny (con Paolo di Sabatino trio, Rai Trade, 2012)
Il mio blu (NAR International, 2015)
Folli voli (Egea/Incipit, 2018)
Sante bambole puttane (Egea/Incipit, 2019)
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