Lanterns On The Lake

Emozioni nel multiverso

intervista di Daniel Moor

Una decina di giorni prima della pubblicazione del nuovo disco dei Lanterns on the Lake ho incontrato la cantautrice Hazel Wilde per una lunga chiacchierata su Zoom. Abbiamo parlato di “Versions Of Us”, ma anche dei precedenti progetti della band, della crisi climatica e della speranza in un futuro migliore. Nell’intervista che segue potete dunque leggere del passato, del presente e del futuro (incerto?) della band inglese. O almeno della versione esistente nel nostro universo: quelle che popolano le moltitudini di universi paralleli, purtroppo, non sono ancora riuscito a rintracciarle…

 

Ciao Hazel, come stai? La pubblicazione del vostro nuovo disco, “Versions Of Us”, è imminente.
Provo una sensazione strana. Abbiamo dato davvero tutto quello che potevamo per questo disco. Diamo sempre il massimo per la musica che facciamo, ma questo lavoro è stato particolarmente difficile e abbiamo dato anima e corpo. Quando è finito, ti senti un po’ impotente; ora aspetto di sentire i primi feedback durante le interviste. È una sensazione che unisce eccitazione e interesse per quello che le persone pensano del disco.

 

Io l’ho ascoltato già numerose volte e mi piace davvero molto. Congratulazioni! Penso che si noti un’evoluzione dalla precedente raccolta di canzoni, specialmente nel sound, ma il vostro stile è rimasto intatto. Come avete approcciato la scrittura e la registrazione di “Versions Of Us”?
In maniera molto simile all’ultimo disco e a parte della nostra precedente produzione musicale, io ho abbozzato lo scheletro dei pezzi su chitarra o pianoforte e poi li ho condivisi con la band. Abbiamo rimpolpato un po’ le canzoni e cercato di svilupparle come gruppo. È molto eccitante per me vedere lo sviluppo di una canzone. Recentemente ho riascoltato vecchi memo vocali sul telefono e mi sono imbattuta nelle idee germinali di alcuni brani di “Spook The Herd” e di “Versions Of Us”. Ero sbalordita nel sentire la differenza tra quegli audio e le canzoni che ne sono risultate.

 

Per la realizzazione di “Versions Of Us” avete sperimentato con nuovi strumenti?
Penso che non abbiamo mai fatto largo uso dei sintetizzatori in passato e li abbiamo incorporati in alcune delle nuove canzoni. Ma rimaniamo molto fedeli alla nostra strumentazione tradizionale con batteria, chitarra e piano. Per noi è più importante servire la canzone e vedere di cosa ha bisogno. Quando non si possiedono numerosi strumenti differenti o non si dispone di molto tempo in studio, le possibilità si riducono. Queste contingenze allora ti spingono a essere più creativo con quello che hai disposizione.

Non so se si correla al vostro utilizzo dei synth, ma penso che questo album abbia un grande potenziale pop. Tu hai sempre avuto un talento per le melodie, ma questa volta ho l’impressione che le canzoni possano essere più appetibili anche per un pubblico mainstream.
Ovviamente siamo ambiziosi, ma non c’è stata alcuna pianificazione. Cerchiamo sempre di fare il miglior disco che possiamo e cerchiamo di migliorarci come songwriter e band. Però sì, anche altre persone mi hanno detto che “Versions Of Us” è più pop di quello che abbiamo fatto in passato. Però se ci pensi è piuttosto difficile scrivere a tavolino una pop song, una buona almeno.

 

Cosa ti ha ispirato mentre scrivevi le nuove canzoni?
Molte cose. Soprattutto quel che succedeva intorno a me o nel mondo. Non mi prefiggo di scrivere una canzone su un preciso argomento, ma ho notato che le cose a cui penso in un determinato momento della mia vita emergono poi in quello scrivo. Non tento però di scrivere canzoni volutamente politiche o che sembrino troppo didascaliche. La mia priorità è che le parole che canto suonino bene.

 

Puoi parlarmi di “The Likes Of Us”? Mi piace il fatto che sia l’opening track ma anche il primo singolo estratto da “Versions Of Us”. Il verso “I won’t let this spark die in me” è una dichiarazione molto forte all’inizio di un album.
Sono diventata madre proprio prima di scrivere il disco e questo ha cambiato la mia visione delle cose. Non potevo più permettermi di stare a catastrofizzare; ora ho bisogno di speranza nel mondo. Ho bisogno di credere che le cose possano migliorare e che anche io possa essere migliore. Suppongo che questo senso di speranza sia racchiuso nel verso “I won’t let this spark die in me”. Ma stavo anche riflettendo sul percorso che ho fatto come artista e musicista. Alcune persone potrebbero pensare che sia sciocco che io continui a comporre canzoni, ma quando mi sono seduta a scrivere quelle per il nuovo disco, ho sentito che fosse importante continuare a farlo.



 

Quello che hai appena detto si collega alla mia prossima domanda. Sono rimasto colpito da due versi della canzone “Last Transmission” dove canti “[a]nd in the last gasp of this old world/you know I think I found the beauty and the good”. Questi versi mi ricordano quelli di un’altra vostra canzone carica di speranza, “Blue Screen Beams”. Sei sempre così ottimista riguardo al futuro?
Come molte persone, oscillo spesso tra ottimismo e pessimismo. Qualche volte il futuro mi sembra piuttosto cupo, specialmente quando penso al cambiamento climatico e a quel genere di cose. Ma credo anche che un cambiamento sia possibile e che ci sia ancora speranza. Questa riflessione si lega molto al nuovo album e all’idea di immaginare un altro modo di essere e di esistere. Ma forse le cose devono peggiorare ulteriormente per far immaginare concretamente a noi umani altri modi di vivere sul pianeta.

La canzone “Before They Excavate”, contenuta nella vostra raccolta precedente, trattava di un tema analogo. Però lì mostravi una rabbia urgente e bruciante che in qualche modo era correlata al pianeta in fiamme dipinto alla fine del brano. Ora ti approcci in maniera differente alla crisi climatica e al discorso politico, sociale e culturale attorno ad essa?
Uhm, scrissi quel pezzo in una giornata decisamente pessimistica. “Before They Excavate” riguarda il vivere nel momento. Se tutto intanto andrà a scatafascio, beh allora fuck it. Oggigiorno sono ancora più preoccupata per il cambiamento climatico, ma credo che, come artista, devo pensare ad altre possibilità. Se tutti diventano pessimisti e si arrendono, non c’è speranza. Quindi, sì, penso ci sia stato un cambio di attitudine da parte mia. Tuttavia non è sempre così: ogni tanto mi sento ancora travolta da sensazioni negative e scoraggianti. Però, appunto, ora ho una figlia e questo aggiunge una prospettiva ulteriore. Non che prima non mi curassi del futuro per le altre persone ovviamente, ma credo che la genitorialità ti renda maggiormente consapevole delle tue azioni.

 

Tornando a parlare dell’ultima canzone di “Versions Of Us”, come ti immagini l’ultimo segnale dell’umanità trasmesso dalla Terra?
Con quel brano immaginavo una persona che, abbandonato il pianeta, guardasse giù dallo spazio. Al momento ho l’impressione che dilaghino le teorie cospirative. C’è molta confusione e c’è anche un crescente divario tra ricchi e poveri. Questo credo crei ancor più confusione e alimenti le teorie del complotto. Quindi, ora come ora, mi immagino che l’ultimo segnale che trasmetteremo consista in un bel po’ di confusione. Però ci sono anche molte persone, soprattutto giovani, che sono disposte a combattere contro questa situazione.

 

Puoi dirci qualcosa riguardo alla copertina di “Versions Of Us”? Ho pensato che, siccome ci sono infinite versioni di noi secondo la teoria del multiverso che citi in “String Theory”, è possibile vedersi solo in visi sfocati. Questa idea si correla in qualche modo con l’immagine che avete scelto?
Sì, penso sia uno dei motivi per cui l’abbiamo scelta. È stato un pensiero che ho avuto anche io quando l’ho vista. Mi sono imbattuta nell’artista austriaco Wolfgang Grinschgl, probabilmente su Instagram, e sono rimasta colpita dalle sue opere. Con l’ultimo album avevamo puntato su un artwork più digitalizzato; questo disco volevo fosse più “umano”. Oggi, con tutte le immagini generate mediante l’AI, volevo qualcosa che fosse stato creato da una mano umana. Avevo visto questo dipinto e, in linea con quanto dicevi tu, mi piaceva che somigliasse sia a un viso umano che a una nebula nello spazio profondo.

 

Vorrei parlare con te dell’Ep che avete pubblicato nel 2020. Ho davvero apprezzato l’atmosfera rilassata di “Realist” e la title track, poi, è stupenda. Puoi dirmi qualcosa su quel pezzo? Come mai avete deciso di non inserirlo in “Spook The Heard”?
Ero abbastanza entusiasta all’idea che finisse su “Spook”, ma alla fine, considerando il disco nella sua interezza, ci siamo accorti che non rientrava perfettamente in quel mondo. Sebbene amassi la canzone, ho dovuto ammettere che non si prestava all’universo di “Spook”. Così abbiamo pensato di tenere da parte delle canzoni che avevamo (ad esempio, “Romans”) per riunirle in un Ep che avremmo poi pubblicato al momento opportuno.

“Baddies” era una delle mie canzoni preferite del vostro precedente Lp ed ero curioso di sentirne una nuova versione. Ma come mai proprio questo pezzo ha avuto la sua rivisitazione, la sua “Model City Version”?
Perché era un pezzo che avremmo potuto suonare in un modo completamente opposto. Eravamo in lockdown e non potevamo lavorare tutti in una stanza. Abbozzai questa versione di “Baddies” al piano e poi ci lavorammo sopra. Ci siamo anche filmati mentre registravamo la canzone per avere qualcosa di diverso da fare e avere musica da condividere. Comunque, sì, era un pezzo che potevamo suonare in modo differente rispetto alla versione su Lp che era più veloce e ricca di elementi percussivi.

 


Nel 2021 avete composto la sigla del podcast della Bbc “Uncanny”. Per te, come musicista e cantautrice, è stata un’esperienza particolarmente differente scrivere una canzone con questo scopo preciso?
Sì, lo è stato, ma mi è piaciuta questa sfida. All’inizio ero un po’ preoccupata perché non avevo mai scritto dei testi per qualcosa così su misura. Ogni episodio della serie, poi, è completamente differente: alcuni trattano il fenomeno del poltergeist, altri parlano di Ufo o di altro ancora. Cercavo di trovare un modo per riassumere tutte queste cose in una sola canzone e volevo avere un paio di versi nel ritornello che abbracciassero tutti gli aspetti del podcast. Ma non appena mi è venuta l’idea di focalizzarmi sull’ossessione generata dal pensiero di aver visto o esperito qualcosa di inspiegabile, mi sono sbloccata. E mi è venuto spontaneamente quel verso “I know what I saw”, che è poi diventato parte del ritornello. Ho mandato il pezzo a Danny Robins e a Simon Barnard, i produttori del podcast, e loro erano davvero entusiasti. È stato divertente ascoltare il primo episodio e scoprire che una persona intervistata dice proprio “I know what I saw”. È stata una pura coincidenza che avessi scritto quel verso per la nostra canzone!

 


Fantastico! Come si prospetta ora il futuro dei Lanterns on the Lake?
Non so… Molte cose non sono andate per il meglio durante la realizzazione di questo disco. Abbiamo inizialmente realizzato una versione completamente differente dell’album che poi abbiamo deciso di rifare e nel mentre abbiamo esaurito il budget a nostra disposizione e il nostro batterista ha deciso di abbandonare il gruppo. È stato molto triste e molto difficile per noi. Ci sono stati momenti in cui ho pensato che questo fosse veramente l’ultimo disco che avremmo realizzato. Però, in realtà, questo lo penso ogni volta che registriamo un album.

 

Spero che questo non sia l’ultimo disco dei Lanterns on the Lake!
Non si sa mai. Penso che vedremo come vanno le cose ora. Abbiamo iniziato a parlare con Philip [Selway] riguardo all’eventualità di continuare a fare musica insieme. Probabilmente vedremo come andrà quest’anno. È sempre stata la musica stessa a spingerci a finire i dischi. Chissà, magari avremo un paio di nuove canzoni che ci renderanno ancora entusiasti all’idea di registrare un altro disco. Quando si inizia a comporre le canzoni per un album, si diventa praticamente ossessionati dall’idea. Ad ogni modo per noi è sempre stato così: quando abbiamo delle buone canzoni da condividere con il mondo, allora ci sentiamo quasi obbligati a registrare il disco e a fare in modo che le persone lo possano ascoltare.

 

Philip verrà in tour con voi?
Sì, suoneremo ad alcuni festival questa estate e non vediamo l’ora!

 

Buona fortuna! Pensate di venire anche nel continente?
Sì, ma dobbiamo ancora vedere se riusciremo a far funzionare le cose. È diventato molto caro riuscire a girare in tour per l’Europa. È triste e frustrante per molte persone.

 

(4/6/2023)

 

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I colori delle lanterne

 

di Riccardo Cavrioli

Ha qualcosa di magico e suggestivo, il nuovo album dei Lanterns On The Lake, eppure nello stesso tempo è anche realmente fisico e concreto. Cambi di formazione e un suono diverso rispetto all'esordio erano già dei buoni punti di partenza per una chiacchierata via mail, che poi piacevolmente si è sviluppata, grazie anche alla disponibilità di Oliver Ketteringham, batterista del gruppo.

Ciao, vi immagino decisamente emozionati per la recente uscita del nuovo disco.
Ciao! Sì, è una combinazione di eccitazione e nervosismo. È passato tanto tempo da quando abbiamo finito il disco e l'attesa può diventare frustrante, ma ora aspettiamo solo che la gente lo ascolti. Suonarlo poi dal vivo sarà altrettanto emozionante.

Ci sono stati dei cambiamenti nel gruppo. Immagino che quando un membro lascia una band sia un momento difficile, ma forse questo è lo stimolo per una "nuova partenza". Che ne pensi?
Hai ragione. Ci sono stati molti sconvolgimenti dovuti alla partenza di Brendan e Adam e, come band, c'è sempre molto da fare che non ci si può semplicemente fermarsi e organizzarsi. Bisogna seguire la linea tracciata e cercare di lavorare a porte chiuse, ma una volta passato questo smarrimento iniziale arriva il tempo per riflettere e per usare questo cambiamento come catalizzatore per qualcosa di nuovo che possa crescere e svilupparsi: è quello che è successo con questo disco. La musica è il riflesso delle sfide affronatate in questo periodo, ma anche dei sentimenti di eccitazione e rinnovamento nel nostro lavoro.

Le recensioni per il primo disco erano state molto buone. Non c'è stata nessuna pressione per arrivare a un risultato simile anche per il secondo album?
L'unica pressione che abbiamo sentito nel realizzare il disco è venuta direttamente da noi. Abbiamo lavorato molto duramente e volevamo creare qualcosa che fosse uno sviluppo del primo album, o almeno, qualcosa che a noi sembrasse una progressione in avanti sia musicale, sia emotiva che creativa. Ci saranno sempre persone che potranno esprimere giudizi vari, ma fino a quando ci sentiremo soddisfatti di ciò che abbiamo fatto, beh, non potremmo chiedere di più.

La vostra musica trasmette emozioni molto forti che toccano cuore e anima, immagino ne siate consapevoli e forse è proprio il vostro scopo.
Sì e no. Siamo sicuramente consapevoli di come le persone rispondono alla nostra musica, ma non abbiamo mai pensato di creare uno specifico sentimento in qualcuno atraverso le nsotre canzone. Facciamo la musica che vogliamo fare e quasto è il culmine di quanto ognuno di noi mette personalmente nel lavoro. Poi certo, penso che siamo realmente fortunati e privilegiati nel vedere come le persone reagiscono di fronte alla nostra musica. Non c'è sensazione migliore al mondo di "toccare emotivamente" qualcuno con qualcosa che hai creato.

Sei d'accordo che ad ogni ascolto del nuovo album emergono sempre elementi nuovi?
Sicuramente, ed è proprio come quando scriviamo e registriamo musica. Vorremmo sempre mettere e aggiungere piccoli svolazzi e tocchi nuovi. A volte si pensa che nessuno li noterà, ma è meraviglioso quando invece accade. Si fanno una sacco di sforzi che finiscono poi in un disco: ne vale la pena.

Un disco che potrebbe benissimo essere una colonna sonora per un film immaginario o una specie di viaggio, che condensa emozioni e sentimenti...
Per noi è davvero una colonna sonora. Durante il processo creativo di un album, questa musica diventa la colonna sonora della tua vita ed è molto legata a tutte le esperienze che si fanno in quel periodo. Se poi altre persone, ascoltando, riescono a condividere o a trovare elementi comuni per la loro vita, beh, credo che questo sia davvero un punto di arrivo per chi fa musica.

Com'è stata la registrazione del nuovo album? Siete stati ispirati da qualcosa o qualcuno in particolare?
Abbiamo registrato il disco in una vecchia sala di una scuola nel bel mezzo della campagna nel nord dell'Inghilterra. È stato un inverno molto freddo e abbiamo tutti abitato in una casa li accanto. Un sacco di cose sono andate storte durante le registrazioni, ma era un posto così bello e ricco d'ispirazione per l'album che non dimenticheremo mai quell'esperienza. Sull'ispirazione, più che una persona in particolare io penso che ci abbiano ispirato proprio quel luogo e poi i nostri amici e i nostri parenti.

Siete capaci di un tocco epico, come in "The Buffalo Days", ma anche di grande malinconia, vedi "Picture Show" o "Green And Gold". Riuscite a fare questo passaggio in modo molto naturale.
Sì, è vero. Fa tutto parte di una stessa cosa. Qualche volta la nostra musica è tranquilla e introspettiva, altre volte malinconica, ma anche eccitante, calda, piena di speranza e positività. Credo che trasmetta ciò che siamo come persone: la musica è l'espressione di quello che siamo e di come ci sentiamo.

"Elodie" ha magnifici riverberi shoegaze che adoro. Com'è nato questo pezzo?
A Hazel è venuta l'idea principale e noi tutti abbiamo fatto le nostre aggiunte in seguito. Il riverbero così marcato è dato dalla chitarra di Paul che si mescola con la fisarmonica di Sarah nelle parti più cariche e il basso di Andy molto forte. Abbiamo pensato che potesse essere la canzone giusta per aprire l'album.

Grazie ancora, con quale vostra nuova canzone potremmo chiudere questa chiacchierata?
Penso sarebbe perfetto chiudere con "Another Tale From Another English Town" perché credo che racchiuda il senso dell'album. È il nostro piccolo messaggio dal nostro angolo di mondo, qui dal nord-est dell'Inghilterra. Siamo veramente felici che l'album ti sia piaciuto e orgogliosi che la gente in Italia lo ascolti.

 

(10/9/2011)