Ministri

Prepararsi per la battaglia

intervista di Claudio Lancia

In occasione della pubblicazione dell’Ep “Cronaca nera e musica leggera” abbiamo incontrato i Ministri al gran completo. Federico Dragogna, Davide Autelitano e Michele Esposito si sono gentilmente messi a disposizione per una lunga intervista che, partendo dai temi trattati nelle quattro nuove canzoni, ha toccato diversi argomenti di grande interesse: dalla pandemia alla ripresa dell’attività live, dalla scelta delle opening band allo stato in cui attualmente versa l’informazione in Italia…

Ciao ragazzi, e grazie per la disponibilità. Inizierei questa chiacchierata parlando del lavoro che state presentando in questi giorni, “Cronaca nera e musica leggera”. Tanto per cominciare: perché un Ep?
Federico: Ciao Claudio. E’ un Ep perché, nonostante nell’ultimo anno e mezzo avessimo registrato tanto materiale, abbiamo voluto riunire velocemente nella stessa pubblicazione soltanto quello che dimostrava di avere un’anima comune. E questi quattro pezzi ce l’hanno: hanno una forte coerenza interna. In più, vista l’attuale situazione, volevamo uscire con qualcosa che fosse davvero uno schiaffo in faccia, una secchiata d’acqua fredda.

In effetti, balza subito all’orecchio una forte aggressività, che ci rimanda all’incontenibilità dei vostri esordi!
Federico: Per noi l’aggressività e l’urgenza hanno sempre rappresentato il modo di dire le cose, per trattare temi diversissimi fra loro, anche ad esempio per parlare di fragilità. E’ un atteggiamento che esce fuori in maniera naturale quando siamo da soli in sala prove a suonare. Nelle nuove canzoni ci troviamo a narrare, fra le altre cose, di sensi di colpa, di inadeguatezza, e di altri pensieri fondamentalmente negativi, che riteniamo siano stati troppo poco esplorati in quest’ultimo difficile periodo. Ho notato che in molti hanno preferito trascurare il negativo, già presente in maniera forte nelle nostre vite, per concentrarsi su una narrazione più “leggera”.

Il titolo del vostro Ep richiama inevitabilmente il tormentone che Colapesce e Dimartino hanno presentato al Festival di Sanremo di quest’anno, “Musica leggerissima”. Sono in molti a sostenere che ci sia bisogno di “musica leggera” in questa fase tanto complicata delle nostre vite. Ma poi il Festival lo hanno vinto le chitarre dei Maneskin, a dimostrazione che in tempi di isolamento e restrizioni le persone hanno bisogno di scosse, di energia, di elettricità, e di chitarre. I contenuti del vostro nuovo Ep sembrano proprio riconoscere questa esigenza…
Federico: Le chitarre e il rock trio in generale sono forme con cui siamo cresciuti e con cui sappiamo esprimerci: sicuramente si portano dietro la voglia di libertà che molti cercavano alla fine del secolo scorso, ma possono ugualmente rappresentare scenari reazionari, immobili, mortiferi, e gran parte degli anni 80 lo testimoniano. Quindi per noi non rappresentano un valore a prescindere: dipende da come le usi. Per quanto riguarda Colapesce e Dimartino, hanno semplicemente fatto una bellissima canzone, per di più molto intelligente, perfetta per parlare della strana - e pericolosa - seduzione che la leggerezza esercita su di noi. In fondo, stiamo parlando dello stesso fenomeno, pur se da prospettive diverse.
Michele: Oltre ad avere una coerenza interna, come diceva prima Federico, le quattro tracce che abbiamo racchiuso nello stesso disco ci sono sembrate perfette per il momento che stiamo vivendo. Narrano questa fase, e sono rese esattamente nella modalità in cui ci sentiamo oggi, come vogliamo apparire oggi, dopo un anno e mezzo di quasi totale inattività. Che poi noi in realtà siamo stati attivissimi, abbiamo avuto molto tempo a disposizione per lavorare tanto assieme. Comunque il materiale qui dentro (mostra il disco, ndr) ci rappresenta completamente. Non ha la medesima facilità di gran parte del materiale che sta uscendo in questo periodo, non è certo interpretabile come “musica leggerissima”, ma noi abbiamo voluto essere provocatori optando per tala scelta. Dal punto di vista musicale abbiamo cercato questo sound e questi timbri perché la narrazione molto leggera, che costantemente abbiamo nelle orecchie, a noi non sembra reale. Quando ci ritroviamo in sala prove parliamo delle cose che accadono a noi e intorno a noi, e non percepiamo tutta questa leggerezza. Non parlo soltanto della pandemia e dei problemi negli ospedali, ma proprio della vita di ognuno di noi, specie dopo un periodo tanto difficile. E allora abbiamo scelto di essere noi stessi, reali, senza sbandieramenti, senza slogan alla “andrà tutto bene”. Oggi non c’è proprio un bel niente da sbandierare.

Quindi le ballad le lasciamo per un’altra occasione?
Davide: E’ una scelta netta e ragionata quella di non includere ballad, o brani che potessero portare uno stacco verso un’altra direzione. Di ballad ne abbiamo anche scritte in questo periodo, poi c’è stato un momento in cui la rabbia si è trasformata in urgenza, esattamente come ai nostri esordi. Per noi si è trattato di una sorta di nuova genesi, e dal disco credo si possa ben percepire. Quello che è accaduto nell’ultimo anno ci ha portati come a voler ricominciare, in tutti i sensi. Le forme espressive che abbiamo scelto sono quelle più primordiali, ma con dentro una nuova verità, perché quello che è cambiato, nel frattempo, è stato tanto.

Quindi in questo periodo avete prodotto molto altro materiale, e non sempre così ruvido e diretto…
Federico: Sì, in effetti ce n’è molto altro, con sapori e toni diversi. Del resto, è dal primo album, che tutti ricordano come incredibilmente aggressivo ma che in realtà conteneva molte ballate piuttosto morbide, che dimostriamo il piacere di comporre utilizzando registri diversi. Basti pensare che a tutt’oggi la nostra canzone più ascoltata è “Una palude”, una ballata per l’appunto. Che poi, quando ci siamo ritrovati a dover selezionare il materiale da far confluire in questo Ep, qualcuno ci ha fatto notare che con un’estate davanti in cui sicuramente si dovrà suonare con il pubblico seduto, non sarebbe stata una scelta azzeccata produrre un disco così vigoroso. Era un consiglio, una riflessione, anche sensata, volendo. E allora noi, anche un po’ provocatoriamente, abbiamo scelto brani che chiedono al pubblico di alzarsi e lanciarsi. E’ tutto voluto, per richiamare tutta una serie di emozioni che ci hanno sempre accompagnati. Vorremmo tornare presto a poter fare tutto quello che facevamo prima, senza sentirsi in colpa.
Michele: Le nostre scelte nascono dall’esigenza di scuotere e scuoterci, sì, anche noi stessi, visto che siamo tutti immersi in questo livello medio di addormentamento, che un po’ tutti ci sentiamo addosso per via della mancanza di socialità. Ci siamo abituati alla mascherina, al distanziamento, a non poter abbracciare gli altri, quindi il messaggio vuole essere quello di cercare di tornare, anche soltanto emotivamente, alla normalità, a tutto ciò che caratterizzava le nostre vite prima di questa emergenza sanitaria.

La scorsa estate qualche concerto c’era stato, ma in una modalità a volte poco comunicativa. Come pensate di combinare la promozione di un disco del genere con questa situazione “tutti seduti”?
Federico: Noi non staremo seduti, puoi scommetterci (ride, ndr). Riguardo l’estate scorsa, è vero, ho visto anche io qualche live, è andata come dici tu: a volte la scelta di rallentare sembrava giungere persino dall'artista sul palco. E' pur vero che mi è capitato di assistere a un concerto come quello di Lucio Corsi, protagonista di una performance molto viva. Diciamo che l’estate scorsa avevamo appena vissuto un dramma. Non che oggi quel dramma si sia dissolto nel nulla, ma un anno fa era forte un’elevata forma di rispetto nei confronti di un lutto generalizzato. La prossima estate quel rispetto ci sarà ancora, ovviamente, ma il trascorrere del tempo porta con sé l’esigenza di tornare in qualche modo a vivere, di tornare alla tanto auspicata “normalità”. Con il rispetto delle regole, certo, ma c’è voglia di ripartire dopo aver perso oltre un anno di vita normale. Ormai siamo nel bel mezzo del secondo anno...
Davide: La scorsa estate paradossalmente per me ha rappresentato un momento di esplorazione, per capire come avrebbe potuto funzionare tutto il sistema, e devo dire che ci sono state non poche divergenze di vedute fra noi addetti ai lavori. La nostra band, ad esempio, un anno fa non era affatto intenzionata a fare dei concerti con le modalità che erano state imposte per decreto. Oggi, invece, abbiamo maturato la convinzione che la musica va fatta soprattutto per gli altri, e noi facciamo musica per gli altri: nasce da noi e la portiamo al pubblico. Oggi occorre necessariamente riprendere l’attività live, i concerti in qualche modo devono essere fatti, perché c’è un intero comparto che deve ripartire.

La scelta dell’Ep e dell’ottima traccia diffusa qualche settimana prima, “Peggio di niente”, sembra dirigervi verso l’attualità fatta di singoli, una contemporaneità nella quale le persone, specie i più giovani (ma poi alla fine sono loro che comprano i dischi), fanno fatica a concentrarsi su un album intero, specie se troppo “impegnato” (vediamo se il recente "Ira" di Iosonouncane riuscirà a smentirmi). Credo però che i Ministri, nonostante tutto, torneranno presto verso il formato album…
Federico: Un album intero richiede tempo e attenzione: era così un tempo, oggi è ancora più vero. Ma in fondo è solo una forma nata dal minutaggio che il 33 giri poteva ospitare, non è una legge di natura. A noi piace che i nostri lavori riescano a seguire un discorso: probabilmente torneremo all’album, ma non sarebbe neanche male un futuro di soli Ep... 

Se posso permettermi, in qualità di vostro fan della prima ora, devo confessarvi che in alcuni dischi recenti, in particolare in “Cultura generale”, ho notato come una certa difficoltà a completare un disco intero di “canzoni clamorose”, come invece erano i vostri primi album. Almeno in “Cultura generale”, ma anche in “Fidatevi”, qualche riempitivo c’è, secondo me. Nella dimensione più ristretta dell’Ep trovo invece che abbiate ritrovato un’efficacia pazzesca...
Federico: Arriviamo ad ogni pubblicazione con molti brani in esubero, quindi decisamente non abbiamo mai avuto bisogno di “riempire”: di solito, piuttosto, tagliamo senza pietà. La verità è che da sempre ogni band porta avanti parallelamente brani molto focalizzati, diretti, identitari, ed episodi minori in cui prendersi libertà su suoni, soluzioni, tempi. Noi non siamo stati da meno. Ovviamente in questo Ep abbiamo preferito compattare il tutto, ma ci saranno spazi e modi per percorrere strade diverse, ed è bello sia così, basta fare tutto con la stessa cura. Io, ad esempio, come ascoltatore ho sempre amato gli episodi minori e meno noti delle band che amo: dei Queen, giusto per fare un esempio, ho ascoltato molte più volte “My Melancholy Blues” rispetto a un superclassico come “Radio Ga Ga”.

L’estetica di “Cronaca nera e musica leggera” è un omaggio ad alcune collane edite dalla casa editrice Einaudi, rese indimenticabili dal progetto grafico di Bruno Munari. Quali motivazioni vi hanno spinto verso questa scelta?
Federico: I motivi sono stati molti, e tutti ugualmente validi: il fatto che il titolo dell’Ep sembri quello di un vecchio saggio Einaudi, il nostro amore per quel periodo, una riflessione su cosa fosse il sapere in Italia e cosa sia diventato oggi, la volontà di cambiare pelle e font. E non ultimo, il fatto che i lavori di Munari siano semplicemente potentissimi in ogni tempo e in ogni dove.

Chi mi parla di “Bagnini”, la seconda traccia del disco?
Federico: In “Bagnini” parliamo di quanto sia buffa l’attuale cultura del dubbio: la spesso praticata “sospensione del giudizio” sta generando un fronte nel quale ognuno è fermamente convinto della propria verità. Sai, oggi vengono prodotti tantissimi testi, credo che mai prima d’ora ne siano stati prodotti così tanti, ognuno si sente in dovere di scrivere qualcosa, ma dall’altro lato non c’è un pubblico sufficiente per assorbire l’intera offerta, e non c’è una reale capacità di analisi e di comprensione di tutto questo materiale, non c’è pazienza tale da poter consentire una discussione. Pensa a quanto possa pesare il titolo di un articolo rispetto all’articolo stesso! Tantissimo. L’articolo intero non lo leggerà quasi nessuno! Tornando a “Bagnini”, potremmo definirlo come il brano ironico di questo Ep. Il tema è serio, ma è trattato con ironia. Parla un po’ di noi: il personaggio del ritornello che fa scenate nel centro commerciale sono io. Noi siamo cresciuti negli anni 90, leggendo libri come “No Logo” di Naomi Klein, interessandoci al fenomeno della cultura no-global, quindi su come riuscire a condurre una vita al di fuori del globalismo. Al tempo la questione del mantenere una coerenza nell’organizzazione della propria vita sembrava il progetto fondamentale per poter essere credibili. Poi abbiamo visto che è impossibile raggiungere questo obiettivo, a meno che non scegli di diventare un eremita. Non ce la possiamo fare, non possiamo passare attraverso un consumo etico e giusto in qualsiasi momento. Guarda, anche in questo stesso momento: io e te stiamo comunicando sfruttando alcune moderne tecnologie. Quindi non dobbiamo fare come i bagnini che, scrutando il mare, sostengono di essere gli unici ad averlo davvero compreso.
Michele: Lo scontro fra i concetti di coerenza e verità produce una serie di effetti complicati. La coerenza è un lusso di pochi: è davvero difficile raggiungere un livello di coerenza pura, su qualsiasi aspetto della nostra vita, su ogni piccolo singolo gesto quotidiano.
Federico: L’unica coerenza che ci sentiamo in grado di governare, e di assicurare, è la nostra coerenza artistica: da 15 anni facciamo musica senza dover accettare di diventare testimonial di un prodotto o di un brand. L’unico aspetto per noi importante è poter avere a disposizione i tempi di creazione e produzione che desideriamo.

In altri brani del nuovo Ep la vostra osservazione del mondo è meno delicata. In “Inferno” lanciate altre provocazioni...
Davide: L’inferno per me è anzi tutto un immaginario: quello cha abbiamo vissuto in questo ultimo anno e mezzo. Viviamo di contraddizioni, e questo è il nostro inferno, una quotidianità fatta di indecisioni: ci troviamo in una scatola, e quando l’attuale emergenza finirà, l’uscita dalla scatola non sarà così immediata.
Federico: In effetti, a parte “Bagnini”, gli altri pezzi dell’Ep sono davvero cupi, amari, anche se poi il sound porta ad avere una reazione. Questa amarezza era una cosa che ci interessava: non volevamo dispensare necessariamente delle soluzioni, bensì porci all’interno del problema. In “Tempi bui” dicevamo “e son diventato buio anch’io”, perché noi non ci esprimiamo da sopra un piedistallo, e anche in “Idioti” dicevamo “ci trascinate giù con voi”. La nostra paura come persone è quella di essere trascinati dallo spirito del proprio tempo, specie quando si sta perdendo vitalità. Se siamo una band da così tanto tempo è anche perché ci aiutiamo l’un l’altro per evitare che questo possa accaderci.
Davide: Questo è stato per me un periodo di grandi riflessioni sui compromessi artistici che spesso un musicista deve affrontare. Noi veniamo da una dimensione nella quale il genere che facciamo è la normalità. A un certo punto della nostra carriera, qualcuno ci chiese di “adattarci”. Ma nel momento in cui ci si “adatta”, di solito molti perdono la funzione di sobillare gli spiriti. Durante la pandemia è divenuto centrale il tema della verità. E’ divenuto importante parlare della rabbia che stava maturando dentro ognuno di noi, ma anche di tutto quello che stavamo reprimendo. Molti però questi aspetti non li hanno percepiti. Con questo non intendo sostenere che l’inadeguatezza debba essere recepita come una virtù, bensì dire di non ostinarsi a far finta di niente: urliamolo il disagio! E’ quello che abbiamo cercato di fare.

In questo periodo di blocco dell’attività live, molti musicisti hanno fatto ricorso ai concerti in streaming. Per quale motivo i Ministri non hanno perseguito tale scelta?
Davide: C’è qualcosa di irrinunciabile nella modalità in cui si fa musica dal vivo. Se qualcuno vuole inventare metodi alternativi, magari perché oggi la tecnologia lo rende possibile, ben venga. Però, a un certo punto, un sistema basato sul rapporto diretto artista–pubblico, beh, tu puoi provare ad alterarlo quanto vuoi, ma se quel rapporto poi viene a mancare, o tende ad allontanarsi, alla fine qualcosa salta.

Quindi un concerto vero non potrà mai essere sostituito dalla “distanza” dello streaming…
Federico: Dobbiamo a un certo punto capire la questione del rischio. Ti faccio un esempio. Io oggi incontrerò una certa quantità di persone, sono qui con altri collaboratori, poi uscirò, farò un aperitivo, andrò a cena, e tutti i rischi che ne conseguono vengono in questo momento ritenuti accettabili. Al contrario, si ritiene che stare all’interno di un parco con altre persone, per ascoltare una band che suona, comporti un rischio ben più alto. Ma poniamo pure che questo rischio sia davvero più alto: a un certo punto si tratta di aprire una discussione su come vogliamo vivere. Mi spiego: certe paure erano presenti anche prima della pandemia, avevamo però delle soglie di rischio diverse. Oggi intorno a noi vediamo persone che stanno tornando a fare tutto, senza farsi il segno della croce ogni momento, quindi persone che tornano al proprio lavoro, vanno al supermercato, viaggiano, frequentano anche luoghi mediamente affollati. Altre persone sono invece molto spaventate. Poter fare le cose con gli altri, poterle condividere, dà grande gioia. La gioia ha portato decine di migliaia di persone in piazza a festeggiare lo scudetto dell’Inter. Noi rivogliamo un mondo dove si possa festeggiare anche perché esce un nuovo disco. La cultura è un po’ isolata in questo momento, quindi sta facendo più fatica di una volta.

Scusate, però: non trovate che nella complicata situazione di questi mesi la categoria degli artisti potrebbe aver perso l’occasione di riscrivere le regole? Non trovate che abbia optato per una strategia troppo attendistica?
Davide: L’attesa ci ha permesso di capire quanto sia importante la musica. Noi in passato ci siamo sempre sentiti superflui, una sorta di lusso per la società, quando questa decide di svagarsi. E invece no: noi non siamo puramente svago, e ce ne siamo accorti negli anni, facendo questo mestiere. Durante la pandemia siamo stati i primi a chiudere e saremo gli ultimi a ripartire. Ma noi non siamo puro svago: ci siamo accorti che fare musica oggi è non solo importante, ma necessario e culturalmente fondante. Siamo il primo tassello, il più veloce, perché siamo immediati: non siamo un libro da leggere, noi arriviamo in tre minuti, e tutti quanti abbiamo ascoltato tantissima musica in questo anno e mezzo.

Voi quando ripartirete?
Federico: il prossimo 8 luglio saremo a suonare al Magnolia, a Milano, in occasione del compleanno del live club, che peraltro è uno dei luoghi dove siamo cresciuti, e al quale siamo particolarmente legati, anche se le persone che lo gestiscono sono nel frattempo cambiate. E’ una prima data che oggi possiamo annunciare ufficialmente: torneremo finalmente con i distorsori in modalità “on” e con Michele che picchia sulla batteria. Stiamo studiando la modalità migliore per gestire il tutto, ma fare un annuncio del genere oggi è un po’ come rinascere.

Però ora si sta per creare un problema grosso. In questo momento abbiamo da un lato tutti i musicisti e gli operatori del comparto musicale che hanno esigenza di suonare, e sono tutti pronti a ripartire. Dall’altro lato però molti live club sono purtroppo destinati a non riaprire mai più, strangolati dal lungo periodo di stop e da costi insostenibili. Quindi tutti vorranno suonare, ma i luoghi per poterlo fare rischiano di ridursi in maniera drastica. Voi in questo momento che scenari immaginate?
Davide: Questo è un tema molto importante.
Federico: Come sai bene, questa cosa stava accadendo già prima. Non voglio assegnare singole colpe, ma pensa quante persone fanno mille post su piccoli circoli che stanno chiudendo, e poi il post successivo, o quello della sera prima, già da tre o quattro anni a questa parte, è su cosa c’è da guardare stasera su Netflix. Quindi il primo problema da risolvere è scuotere le persone: ragazzi, cerchiamo di ricominciare a uscire di casa, andiamoci a riprenderci questi luoghi. Noi personalmente faremo tutto il possibile per poter dare il nostro contributo: quando torneremo a suonare, cercheremo di dare un aiuto in qualsiasi modo. E’ un’idea che abbiamo fissa già da mesi. Nel nostro piccolissimo abbiamo già fatto una presentazione live, suonando in presenza all’Off Topic di Torino, un posto piccolino, al quale teniamo molto. Come teniamo molto a tutti gli altri piccoli spazi che ospitano musica in tutta la penisola.
Davide: Noi che siamo partiti dai locali piccolissimi, e pian piano siamo passati a suonare in location più grandi, conosciamo bene il valore che hanno i piccoli live club. Sappiamo bene anche quanto sono stati trascurati negli ultimi anni da molte band emergenti, alcune delle quali direttamente proiettate su palchi più importanti, spesso in maniera anticipata rispetto alla reale esperienza che potevano avere, trascurando la necessaria gavetta che si fa sul campo. Noi metteremo a disposizione esperienza e nostalgia, però non può bastare solo questo per uscire da una situazione di oggettiva crisi.

Siete da sempre una macchina live straordinaria, fra le migliori in Italia. A differenza di molti altri musicisti, non avete mai alcun disagio a far aprire i vostri concerti da gruppi bravi e preparati. Mi è capitato di vedere vostri concerti aperti dai Fast Animals And Slow Kids dei tempi di “Hybris” o dai Winstons. Molti gruppi si sentirebbero in difficoltà con opening act di tale forza. Voi non temete il confronto, anzi, sembrate quasi nutrirvi di tutta quell’energia per elevarvi a un livello ancora superiore…
Michele: Questa opportunità è stata concessa in passato più volte anche a noi, quindi ora ci piace l’idea di poterla concedere noi ad altre band. Non c’è paura, non c’è timore, semmai rappresenta un modo per confrontarsi, e per dare visibilità ad altre formazioni che secondo noi lo meritano. A noi, ad esempio, capitò di aprire per i Verdena
Federico: Proprio ieri sera eravamo fuori con un amico, Francesco Motta, che ci ha ricordato quando una volta andammo nel suo camerino, ai tempi in cui suonava con i Criminal Jokers. Li avevamo visti esibirsi in un’edizione del MIAMI e gli chiedemmo di aprire una nostra data, che poi si tenne al Flog di Firenze, se non sbaglio. Tutto questo un po’ lo facciamo per dare un’opportunità a una band emergente, e poi devo dire che molte di loro hanno poi fatto il proprio cammino, ma un po’ lo facciamo anche perché è bello avere qualcuno che spacca prima di te sul palco, perché comunque poi quando tocca a te sei costretto a spaccare di più, vai carico. Ma non nel senso di competizione alla "X Factor", non è una sfida. Sui palchi dove si suona musica rock c’è come una legge non scritta, secondo la quale quando inizi a suonare devi essere all’altezza di chi ti ha preceduto. Se prima di te si esibisce una patata lessa, salirai sul palco pensando di averla già in tasca, invece no, devi salire a mille.

Però è anche vero che molte band, specie le più famose, un po’ questa cosa la temono. Ad esempio, ho saputo di opening band che vengono fatte suonare di proposito a volumi sensibilmente più bassi!
Davide: Per me però la musica quando diventa una gara perde un po’ del suo valore. L’opening band di un certo livello deve rappresentare più che altro una motivazione. E poi non dimentichiamoci che un concerto è anzitutto uno spettacolo, è un episodio di cui il pubblico si dovrà ricordare, infatti anche tu dimostri di esserti ricordato molto bene di questi particolari episodi, mentre altri magari li avrai dimenticati. Fa piacere se restano memorabili. Poi considera che il pubblico va a vedere un concerto anche per quello che avviene prima: io sono anzitutto una persona che è andata a vedere concerti, tanti, e le band d’apertura sono sempre state un momento estremamente formativo. Considera che di solito l’opening band ha dalla sua parte l’umiltà, e al tempo stesso anche una maggiore libertà espressiva, in quanto si trova in una situazione molto più deresponsabilizzante rispetto alla band principale.
Michele: Inoltre va garantito al pubblico che viene a guardarti uno show a tutto tondo. Se proponi non soltanto la band per la quale si paga il biglietto, ma anche un altro gruppo di un certo livello, la serata può diventare ancor più indimenticabile.
Davide: Ti posso garantire che io i concerti più belli li ho fatti da opener, non tanto da headliner, perché in quella situazione sei completamente libero, devi solo pensare a dare tutto quello che puoi. Dal punto di vista dell’headliner è bello sapere che puoi aver messo una sorta di bollino blu su un progetto che ha la voglia di esprimersi con quell’urgenza. Ti senti come il padre di qualcosa, a volte persino di una scena. E non è competizione: la competizione su questo tema è una dinamica che avviene più in ambito urban, nel rock direi di no.

Oramai i musicisti guadagnano quassi esclusivamente attraverso l’attività live. Uno dei principali problemi dei musicisti italiani, rispetto a quelli del mondo anglosassone, è che devono riuscire a sopravvivere in un mercato molto più ristretto. Non c’è proprio modo per i migliori artisti italiani di sdoganarsi oltre frontiera raggiungendo un mercato più ampio?
Federico: Certo, ma considera un aspetto: ogni tanto io guardo band straniere che ho amato e seguito, e che cantano in inglese, quindi potenzialmente con tutto il mondo a disposizione. Ebbene, fanno fatica anche loro. Essere una rock band in Italia, e riuscire ad arrivare a pubblicare sei album e due Ep, credo sia già qualcosa di miracoloso, quindi non possiamo proprio lamentarci.

Detto questo, credo che i Ministri facciano parte della ristrettissima cerchia di musicisti italiani che riescono a vivere della propria arte. Ma immagino che passato il momento disco-tour, sia difficile per tutti, giusto?
Federico: Lo è. Lo è sempre di più, specie se si vuole tentare una vita da adulti regolari, con casa e prole. Lo è stato ancora di più in assenza di concerti, e con le poche briciole che arrivano dallo streaming. Vorremmo riuscire a fare i musicisti senza dover fare pubblicità, se possibile.

Ad esempio, quante copie fisiche vende oggi un nuovo disco dei Ministri? “Per un passato migliore”, ad esempio, quante copie ha totalizzato?
Federico: Dovresti chiederlo a Warner che aveva in licenza quell’album.

La maggior parte dei testi dei Ministri è opera di Federico, ma a cantarli è sempre Davide: quanto è difficile interpretare, e rendere su un palco, parole che in prima battuta non hai elaborato tu?
Davide: In realtà per me è la cosa più bella del mondo. Credimi. Poter cantare quello che non è dentro la tua testa vuol dire comunicare implicitamente con un’altra persona. E’ un meccanismo virtuoso, come sublimarsi. Poi quello che Federico ha nella testa a volte diventa qualcosa di diverso passando nella mia, e ridisegna degli equilibri, proprio a livello di significati. Le parole come le pensa lui a volte sono diverse da come le penso e le rendo io, però alla fine la sostanza è la medesima.
Michele: In realtà affrontiamo discussioni lunghissime tra noi per dare un senso al tutto, e per dare una mano a Davide a interpretare: un lavoro propedeutico continuo, anche divertente.
Davide: E’ comunque un onore per me, e dietro c’è un importante lavoro di squadra, un comunicare continuo. A volte gli artisti che non hanno questo interscambio e si completano da soli, finiscono poi abbastanza alla svelta, invece in questo modo ci si rigenera in continuazione.

Posso chiedere la vostra opinione sullo stato dell’informazione, non necessariamente musicale, in Italia?
Federico: Il mondo dell’informazione è davvero in una situazione imbarazzante. Neanche nell’Inghilterra vittoriana era messo così male a livello di credibilità. Il mio faro negli ultimi mesi è stato “il Post”, che secondo me è l’unica testata a condurre un’informazione sensata in Italia. Gli altri davvero dovrebbero mettersi una mano sulla coscienza, ma magari prima cercarla, la propria coscienza, perché sono stati un vero disastro. Sappiamo bene che anche per chi fa informazione la situazione è difficile, specie dal punto di vista economico, quindi sono costretti a inseguire il click, e questo è un problema che sul digitale riguarda tutti. Ma anche noi abbiamo problemi per andare avanti, perché ne abbiamo, e ne parliamo anche nella traccia che chiude l’Ep, ma da un punto di vista prettamente economico non vendiamo l’anima al diavolo. Non è un problema che riguarda chi come OndaRock fa informazione musicale, e ha quindi responsabilità diverse, riguardo le conseguenze di quello che viene detto o scritto. Voi avete il privilegio di raccontare solo una parte bella della vita. Ma tutti gli altri si facciano un attento esame di coscienza, se una coscienza ce l’hanno.
Michele: Durante il lockdown ci siamo trovati come uno contro l’altro. Certo, c’erano delle regole da seguire, ma mi dava molta noia leggere continuamente reciproche accuse del tipo “tu sei uscito, eri in giro”, che poi è quello di cui parliamo nel ritornello di “Peggio di niente” quando facciamo riferimento al calpestare o non calpestare gli altri.
Federico: anche l’aggiornamento quotidiano dei contagi è un qualcosa che somiglia sempre più a una dipendenza. Mi chiedo come possa non intervenire in maniera ufficiale l’Ordine dei giornalisti su temi di questo tipo.

Non solo Ministri. E’ uscito in questi giorni il primo disco di Vasco Brondi realizzato col proprio nome. Nelle vesti di produttore c’è Federico, come era già accaduto ai tempi de Le Luci della Centrale Elettrica. Raccontaci qualcosa relativamente al vostro incontro e a questa collaborazione, che si sta consolidando negli anni, e che ha contribuito ad ampliare gli orizzonti di Brondi. C’è un tuo contributo a livello compositivo?
Federico: È una collaborazione e un’amicizia assieme, anche se potrebbe tranquillamente esserci l’una senza l’altra. Con Vasco metto semplicemente a disposizione la mia sensibilità musicale, le mie idee in fatto di paesaggi sonori, il mio gusto melodico e qualche altra cosa imparata in questi anni. Sui testi ci si confronta, specie sul loro funzionamento in relazione alla musica che ci sta dietro. Ma mi pare evidente come su quel fronte Vasco abbia una lucidità che pochi in Italia oggi hanno.

Invece per “Cronaca nera e musica leggera” le scelte produttive non sono esclusivamente tue…
Questo disco lo abbiamo realizzato con Ivan Rossi, col quale ci siamo trovati benissimo, ha interpretato a livello di produzione e registrazione esattamente quello che avevamo in testa. Se tu avessi potuto vedere la cura che c’è stata in ogni singolo pezzo, sia questi, sia quelli che verranno! In ogni secondo di registrazione, nel posizionamento di ogni singolo microfono, c’è una cura che cozza col mondo di oggi, nel quale non si perde più troppo tempo con questi aspetti preziosi.

Domanda conclusiva: ritenete che con tutto il materiale di qualità che avete realizzato in questa prima parte della vostra carriera, avreste meritato un livello di notorietà più ampio? Oppure quello che avete raggiunto è il giusto livello, che vi consente di evitare compromessi con le esigenze del mercato?
Federico: Non sappiamo cosa una band dovrebbe “meritarsi”: noi siamo semplicemente contenti che ci siano persone per cui i nostri pezzi sono così importanti, che li ascoltano appena escono, che li studiano, che li imparano, che li risuonano, che se li tatuano. E sappiamo che il nostro pubblico, anche se numericamente inferiore a quello di molti altri artisti, ha per noi un rispetto e una passione che il tempo non smorza. E questo lo trovo molto più prezioso di un numero con molti zeri.

(Maggio 2021)


***

Concerti in mille pezzi

di Paolo Agnoletto

I Ministri sono stati una delle rivelazioni italiane dell'anno appena concluso, grazie all'exploit del loro secondo album, "Tempi bui", e a una massiccia attività live, che li ha portati a toccare praticamente tutta la penisola. OndaRock ha raggiunto, prima di una delle ultime date della loro tournée invernale, intitolata "In Mille Pezzi Tour", Federico Dragogna, chitarrista e leader della band milanese, che nel corso dell'intervista ha svelato anche qualche anticipazione in merito a come sarà il nuovo album, la cui uscita è prevista per il 2010.

So che all'inizio eravate un quartetto e vi chiamavate Ministri del Tempo, prima di assumere il nome Ministri. Dunque ai vostri esordi, dato che il nome non aveva nulla di politico, non erano previsti i testi impegnati di adesso. E' così? Poi, parlando di ministri e di potere, qual è a vostro avviso l'età giusta in cui bisognerebbe governare? Non certo oltre i 65-70, o no?
Le due cose non sono molto legate in realtà, nel senso che ci chiamiamo oggi Ministri perché l'hanno deciso gli altri, dal momento che la gente che ci vedeva e ci conosceva abbreviava sempre il nostro nome, quindi in definitiva per comodità. Riguardo alla politica, c'era un pezzo di "Tempi Bui", che poi è rimasto fuori dal disco, espressamente contro gli anziani e il pietismo verso di loro, e faceva riferimento anche al fatto che, nelle tribù nomadi, mentre nevicava, dovevi muoverti velocemente, e i vecchi venivano lasciati indietro. La poetica dell'anziano saggio è molto pericolosa... il nostro paese è in mano a gente di 65-70 anni che fa fatica a seguire la società civile. Io stesso, e lo dico per esperienza personale, conosco veramente poche persone positive di quell'età: la maggior parte ha qualcosa che gli è marcito dentro, a partire dai miei parenti più vecchi. Il mondo di oggi è roba nostra, riguarda principalmente i giovani, non lo puoi dare in mano completamente a persone che fanno principalmente i propri interessi e a cui non manca molto da vivere!

Il testo di "Tempi bui" è ispirato alla  poesia di Bertold Brecht "Quelli che verranno dopo di voi". Il re a cui fate riferimento potrebbe essere anche Berlusconi? Altra frase che mi ha colpito è "Ci meritiamo le stragi, altro che Alberto Sordi", tratta da "Bel Canto" (citazione di Nanni Moretti, che criticava l'attore romano per non essersi mai schierato contro il governo dell'epoca). Ma, se ci meritiamo le stragi come popolo italiano, allora è giusto anche subire la disonestà, presente e passata, di chi detiene il potere politico?
Beh... rispetto all'attualità mi viene in mente il caso di Anteo Zamboni, sostanzialmente un Massimo Tartaglia degli anni 20, che cercò di ammazzare il Duce, e poi si scoprì che l'attentato era stato pilotato dal regime stesso. Quest'episodio portò a nuove leggi di sicurezza da parte del fascismo... non serve aggiungere altro. La citazione nel testo di "Tempi Bui" viene proprio da Moretti, meno male che c'è qualcuno che ogni tanto la coglie. La cosa grave dell'italiano è che il massimo esempio di eroe che ha trovato in quarant'anni è Sordi, che rappresenta a mio avviso invece la mediocrità.
La disonestà, e parlo a livello di singoli individui, per me è un prodotto di un abbrutimento, di qualcosa che è successo prima o di una caratteristica fisica. Non è un caso che gran parte dei politici che ci troviamo davanti spesso siano alti 1,60 e pelati da quando hanno 33 anni. Pensa invece al capetto del liceo, che quasi sempre è il contrario: alto, coi capelli lunghi, un po' bullo, ma inconcludente perché alla fine il potere in fase adulta viene preso da altri, molto spesso brutti e incavolati con il mondo. La disonestà secondo me deriva principalmente da questo. Se sei cresciuto amato e volendo bene, non riesco a spiegarmela e certamente non la giustifico. Comunque non conviene fregare gli altri, alla fine credo faccia dormire male.

"Ballata del lavoro interinale"è un'altra gran bella canzone, molto interessante anche a livello di liriche. Affronta le tematiche dei giovani precari, della mancanza di lavoro e dell'aumento della disoccupazione. La gente, e mi riferisco in gran parte ai venticinquenni-trentenni, sta scappando ("Berlino
3", un altro vostro pezzo, racconta di una fuga nella capitale tedesca). Tu, prima di raggiungere il successo con i Ministri, hai mai pensato di trasferirti all'estero?
E' difficile dare un giudizio, anche se la fuga da questo paese non credo sia da intendere come una sconfitta. Ogni giovane, nell'Italia di oggi, potrebbe avere delle buone motivazioni per andare via. Non mi sento di condannare chi lo fa, anche perché l'affetto e l'orgoglio per il mio paese, e un certo incaponirsi perché le cose non vanno bene, li sento come un punto di debolezza, non di forza. Io non sono cresciuto con valori come la famiglia, il patriottismo, il nazionalismo, non sono fiero di essere italiano, so di trovarmi semplicemente su un pianeta diviso in x modi. Preferisco comunque affrontare una sfida qua piuttosto che altrove. Però, sarei pronto ad andare in Mongolia anche dopodomani.

"Bevo", altro pezzo tratto da "Tempi Bui", affronta invece il problema dell'alcolismo. "Guarda che t'ammazzi" - dicono le pubblicità progresso - però probabilmente sono fatte coi soldi che lo stato guadagna su ogni singola bottiglia d'alcol venduta. So che anche a voi piace bere. Avete qualche soluzione da proporre a riguardo?

La canzone pone un problema senza però risolverlo. L'alcol, al di là dei messaggi dello Stato, è davvero una sostanza "troia", genera dipendenza e ha delle cattive vibrazioni. Manca, secondo me, in tutta la comunicazione di oggi la proposta di un'alternativa al bere: l'uomo è un animale che non ha trovato moltissimo altro da fare, tanto è vero che moltissime persone continuano, in ogni parte del mondo, a ritrovarsi la sera e a bere, anche smodatamente, come dei panda che si mettono a mangiare insieme l'eucalipto. Il problema è che le campagne che vengono fatte non si schierano completamente contro... se l'alcool è cosi nocivo, toglietelo oppure buttatelo tutto nella Fossa delle Marianne! Noi beviamo molto prima dei concerti, anche senza controllarci, per attenuare i flussi di coscienza e abbandonare i cattivi pensieri. Suonare è un'esperienza e una tensione unica, non è semplicemente come affrontare un esame all'università. Non ci si abitua mai del tutto.

Ministri - Federico DragognaParlando più strettamente di musica, qual è stato il più difficile da realizzare dei vostri tre lavori (due album e un Ep), forse l'ultimo, dato che è più eterogeneo e più curato nella produzione? E, parlando del vostro prossimo album, puoi darci qualche anticipazione?
Assolutamente sì, a livello di realizzazione anche se, ti dirò, l'Ep rilasciato tra il primo e il secondo album è stato quello più stressante, perché il contratto con la Universal era ancora in ballo e non era ancora stato definito. Alla fine "La Piazza" è uscito poco meditato e molto grezzo proprio a causa di queste pressioni esterne. "Tempi Bui" è stato il contrario, molto prodotto e "a strati". Il terzo sarà una via di mezzo ma sicuramente più vicino a "I soldi sono finiti", soprattutto a livello di produzione. Nella fase di realizzazione, quando siamo noi tre con il producer Alessio Camagni, ci divertiamo sempre molto creando giochi di parole, scherzando e scambiando continuamente idee anche per ore intere. Siamo davvero un bel team.

Chi ha avuto l'idea di introdurre nelle vostre canzoni i canti popolari e gli intermezzi in griko, in turco, e in napoletano, rivolgendosi per la loro realizzazione a due musicisti esterni? Forse Michele, dato che è il vostro elemento "meridionale"?
L'idea sostanzialmente è mia, anche se in realtà c'è un continuo scambio a ping pong tra di noi. Ciò che viene deciso all'interno dei Ministri non proviene quasi mai completamente dal singolo, anche perché probabilmente non ci si arriverebbe senza l'interazione con gli altri membri del gruppo. Posso dirti che questi intermezzi ci saranno anche nel prossimo disco: ci piacciono molto e ci diverte proprio realizzarli.

Il regista Luciano Melchionna ha scelto la ballata "E se poi si spegne tutto" come colonna sonora del suo nuovo film, "Ce n'è per tutti", con Ambra Angiolini e Stefania Sandrelli. Quando qualcuno vi chiede un pezzo per un suo film valutate voi da soli o insieme alla casa discografica?
Le decisioni vengono prese sempre da noi tre, o al massimo noi quattro, considerando il produttore. Non è che non ci fidiamo, ma non ci piace in generale lasciar fare le cose agli altri, nemmeno con Facebook e Myspace. Ci occupiamo noi di tutto, valutando ogni singola cosa. Non abbiamo mai avuto collaboratori in vita nostra e, cerchiamo, nel limite del possibile, di fare tutto da soli

Il video di "Tempi Bui" si conclude, con l' immagine di voi che, dopo aver distrutto un' auto, vi impiccate nel garage-bunker. Ma è stato censurato...
L'Italia fa molto ridere su queste cose. A me sembra ridicolo che qualcuno abbia deciso di censurarlo ma, alla fine, il video non ne ha risentito. Chi se ne frega. Non siamo appassionati di videoclip e delle immagini all'interno di esso, anche se ci divertiamo nel farli. Però, a dire la verità è stato piuttosto doloroso girarlo, perché, nella scena della macchina, mi sono rotto pure un piede!

In un'intervista recente hai dichiarato che l'ultimo grande disco degli anni '00 è stato "Discovery" dei Daft Punk, che non è un'opera rock. Ti sei stancato del rock "tradizionale"?
Sono usciti buoni dischi rock, ma sono quasi sempre basati sul tradizionale materiale sonoro basso-chitarra-batteria: sono belli ma sono semplicemente una prosecuzione, un lavoro in più di qualcosa che è già stato fatto in passato. "Discovery" invece è una nuova idea di musica, di sensibilità e di suono, è qualcosa di più sorprendente.

So che avevi un serpente di nome Ratzinger: è vero oppure è una leggenda metropolitana? E per concludere, le vostre giacche sembrano napoleoniche proprio come quelle dei Coldplay. Vi hanno forse fregato loro l'idea?
Sì, è vero... ce l'ho da alcuni anni e gli sono molto affezionato. I serpenti non sono sempre ben visti, ma io li trovo degli animali molto sinceri, anche quando compiono azioni apparentemente cruente, come divorare i ratti. Riguardo alla questione delle giacche, so che i Coldplay hanno un collaboratore italiano, Davide Rossi, un tempo violinista nei Mau Mau, quindi può anche essere! Noi, a differenza dei Beatles di "Sgt Pepper's", le giacche le indossiamo con i jeans. Non seguiamo molto la moda, ma ho notato che sono tornate in voga negli ultimi tempi, vedi ad esempio nei negozi di Zara. E' stato molto bello poter aprire per i Coldplay a Udine, mentre invece l'anno scorso siamo stati rifiutati dagli Smashing Pumpkins. Trovo molto strano che piacciamo a Chris Martin, ma non a Bill Corgan, avrei immaginato il contrario!

(2010)