Samuel Rohrer

Tra jazz e modulari

intervista di Giuliano Delli Paoli

Samuel Rohrer è un navigato percussionista svizzero, di stanza a Berlino dal 2003. Samuel ha girato il mondo, esibendosi in festival importantissimi come il Punkt di Kristiansand, in Norvegia, il CTM di Berlino, il Nuits Sonores di Lione, gli illustri Jazz Festival di Vancouver e Montreal. Ha inoltre lavorato con musicisti formidabili come Sidsel Endresen, Ricardo Villalobos, Skuli Sverrisson, Nils Petter Molvaer, Laurie Anderson, Nan Goldin, Eivind Aarset, Max Loderbauer, Mark Feldman, Jan Bang, e inciso per etichette del calibro della ECM. Da solista ha rilasciato dischi, in bilico tra sperimentazione ritmica e ricerca elettronica, dando vita a qualcosa di unico e stuzzicante. L’abbiamo raggiunto in occasione della sua ultima opera, “Range Of Regularity”, mediante la quale il musicista di Berna prova a esplorare le possibili connessioni tra regolarità e irregolarità del movimento, partendo da osservazioni di carattere astronomico.

Sono trascorsi più dodici anni dal tuo primo disco solista. Qual è il tuo bilancio? C'è qualche rimorso o è andato tutto liscio? Cosa salvi e cosa invece avresti potuto fare meglio?
Beh, sono stato coinvolto in oltre 50 dischi negli ultimi 12 anni. E ho pubblicato un altro album con il mio nome nel 2012, è stata la prima uscita della mia etichetta di dischi Arjunamusic, e da allora ho collaborato con molti musicisti e progetti diversi tra loro. Negli ultimi anni ho cambiato forma, suonando completamente in acustico per un set-up sempre più ibrido, l'elettronica si fonde con suoni e strumenti acustici. È piuttosto impegnativo e ci sono molti nuovi strumenti da imparare.

Hai suonato con grandissimi musicisti. Mi vengono in mente Kim Efert, Peter Ehwald nel progetto Kim3, ma anche Claudio Puntin e Max Loderbauer nel trio Ambiq. Cosa ti hanno lasciato queste intense collaborazioni?
Non ho lasciato niente. Lavoriamo ancora e suoniamo con Ambiq, anche su nuove musiche e registrazioni. Altri progetti vanno e vengono. C'è un tempo per ogni cosa, e alcune cose durano più a lungo di altre.

Nel tuo ultimo lavoro, si avverte una fuga dal mondo organizzata a colpi di ritmi lunari ed esotici. Mi ha ricordato molto alcune cose di Burnt Friedman, ma anche Jon Hassell. Chi sono i tuoi fari?
Tutto ciò è sempre in continua evoluzione. Nei primi anni sono stato molto ispirato da John Coltrane o Wayne Shorter. Più tardi cominciai a essere più vario e potrei menzionare Stravinsky, John Cage, Bartok, György Ligeti, Hannah Arendt, Anselm Kiefer, Sebastiao Selgado, gli scritti di Castaneda. Ho scoperto Georg Friedrich Haas ultimamente. Alla fine l'ispirazione ha nomi infiniti, impossibile restringila soltanto a pochi. Principalmente mi ispiro attraverso il processo di creazione, mentre mi immergo in qualcosa. E soprattutto mi ispiro attraverso gli incontri con le persone.

Nell'album suoni di tutto, oltre alle percussioni ti cimenti anche ai piatti e al fortepiano. Cos'altro sai suonare? Come scegli i tuoi strumenti?
Lavoro con molti suoni provenienti da fonti diverse. Strumenti elettronici e acustici. Il mio strumento principale è ovviamente la batteria. Ma durante i miei studi ho anche imparato a suonare il piano, che uso fondamentalmente per comporre. Nella mia configurazione di assolo dal vivo, uso sintetizzatori per aggiungere alcuni contenuti tonali/melodici. Sono sempre alla ricerca di nuovi tipi di suoni da cui ottenere una nuova ispirazione.

In brani come "Nimbus", ma soprattutto la più pacata "Sunclue", sopraggiunge anche un climax più cupo e notturno. Com'è nata questa traccia?
Viene solo dall'oscurità e dalla luce, da dove viene tutto. Ma soprattutto da tutte le mie esperienze musicali. Come musicista tendo a essere il più trasparente possibile e a lasciare che le cose accadano. Ci sono infinite possibilità. Inseguo l'equilibrio tra l’intuizione del momento e la consapevolezza. Un album è sempre una raccolta di decisioni, come tutto ciò che crei. Prendi le decisioni inseguendo le idee che hai in mente e ciò che senti nel tuo orecchio interiore. Ma per me le decisioni più rilevanti avvengono sempre intuitivamente, a livello di subconscio.

Verrai a suonare in Italia? Che legame hai con il nostro paese?
Niente è in programma adesso. Oh, adoro il caffè italiano. E mi piace la musica di Giacinto Scelsi.

Dove inizia e dove invece finisce la regolarità per te? Che significato ha questa parola e perché hai deciso di intitolare il disco così?
Mi interessa lo spazio tra la ripetizione regolare e irregolare, come appare e come siamo in grado di sentire la ripetizione nel cambiamento. L'espressione è usata in astronomia. I pianeti eseguono gli stessi percorsi, in cerchi leggermente irregolari. Queste piccole differenze degli stessi modelli sono chiamate “gamma di regolarità”. Rispetto ai pianeti parliamo di dimensioni molto più piccole, ovviamente. Queste piccole modifiche hanno un grande impatto. L'ho usato come idea concettuale, per creare regolarità all'interno di movimenti irregolari e viceversa. Ovviamente è anche un gioco di parole. Vengo da una musica in cui non trovi quasi nessuna ripetizione. Creare musica più ripetitiva e minimalista, e allo stesso tempo giocare con cambiamenti costanti, mi ha fatto pensare alla possibile libertà di movimento all'interno della regolarità. Inoltre, come musicista, anche se senti un ritmo interiore regolare, non hai bisogno di suonarlo tutto il tempo. Puoi giocare intorno ad esso. Anche se una spinta interiore è costante e regolare, ciò che esprimi in modo sonoro può apparire in molti modi diversi.

Jazz ed elettronica vanno sempre più a braccetto. Dai Cobblestone Jazz a Soulphiction, passando per il sempreverde Four Tet e Floating Points. Quando hai deciso di combinare, seppur lievemente, questi due modi di fare musica?
E’ stato un processo naturale. Ho iniziato forse 10 anni fa, con i microfoni di contatto alla batteria. Nel corso degli anni è diventato più sofisticato. Ho aggiunto sempre più suoni e strumenti elettronici. Ora sto lavorando con modulars e moog innescati dalla batteria.

Cosa ascolti ultimamente? Potresti stilarci una lista di cinque dischi che porteresti con te in un’isola deserta?
Ecco alcune cose che ho ascoltato ultimamente:
"Lontano" di György Ligeti, "Percussion Solo" di Iannis Xenakis, "Comfort" dei Punkt , "Santa Teresa" dei Vladislav Delay Quartet, "Scuro" di Arve Henriksen, "Diamond Turning Dream" di Craig Taborn, "pt2" di Aphex Twin, "String Quartets" di Georg Friedric Haas, "Scale" del duo NSI, "Stone - Reciprocal" di Scott Gibbons/Lilith, "Angels" di David Sylvian, "Time Is Rhythm" di Steve Arguelles e infine "6" dei Moritz von Oswald Trio.

Cosa hai in mente per il futuro? Hai già qualche nuovo progetto in cantiere?
Il mio grande progetto è l'etichetta in cui cerco di restringere tutti i miei lavori in un unico quadro. In questo momento sto lavorando solo sulla mia musica e su come suonarla dal vivo. Con Ambiq stiamo lentamente iniziando a registrare nuova musica, sono stato invitato in un nuovo progetto dall'etichetta BMC di Budapest per registrare un album l'anno prossimo. E sono davvero entusiasta di lavorare con due musicisti norvegesi e registrare musica con loro. Ci sono nuovi duetti e nuovi trio in arrivo. C'è molta musica inedita che aspetta di venire fuori.

Discografia

Tree (Jazz Haus, 2005)
Noreia (Arjunamusic, 2012)
Range of Regularity(Arjunamusic, 2017)
Pietra miliare
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