Seamus Fogarty

Frammenti di memoria di un omone irlandese

intervista di Lorenzo Righetto

Allora, ciao Seamus, grazie per dedicarci un po’ del tuo tempo. Parlando con alcuni fan della prima ora della tua musica, penso che “tutti” ci siamo sentiti un po’ sorpresi, nell’ascoltare “The Curious Hand”. Per la sua spavalderia artistica, la fiducia che traspare dal disco. Prendi “Carlow Town”, per esempio.  Si tratta davvero di un’opera così compiuta. Riconosci in questo una caratteristica dell’album e, in ogni caso, perché è così secondo te?
Piacere mio, Lorenzo! Credo che suoni compiuto, certamente più del primo album. Penso che molto di questo venga dal fatto che è un album frutto di una collaborazione – con la mia band e anche con Leo Abrahams, che ha registrato e mixato molto del disco, oltre a co-produrre. Inoltre è stato registrato in uno studio vero e proprio, a differenza del mio primo disco che era più lo-fi… Ma penso che sia parte del suo fascino.

Per almeno qualcuno, innegabilmente, questo sarà il primo incontro con Seamus Fogarty. Di sicuro, pochi negheranno che il talento e una precisa firma artistica abbondano. Puoi dirci come sei cresciuto, musicalmente?
Sono cresciuto suonando musica tradizionale irlandese. Suonavo il violino ma poi mi appassionai agli Smashing Pumpkins e ai Rage Against The Machine, così ho smesso e ho iniziato con la chitarra elettrica. Poi è iniziata un’ossessione per le band americane lo-fi, come i Pavement, per infine trovare un equilibrio con gli Sparklehorse… E poi Jim O’Rourke mi ha condotto fino a John Fahey. E un sacco di Aphex Twin e The Orb.

Penso che tu sia uno dei pochi che è riuscito davvero a mettere insieme musica tradizionale e contemporanea, come pochi hanno fatto in anni recenti. Penso a Sufjan Stevens, a Bon Iver, che ci hanno provato con successo dall’altra parte dell’oceano. Per entrambi, puoi percepire che la ricerca è una delle loro spinte artistiche più importanti, e immagino che sia lo stesso per te. Qual è la “ricerca” che ha scatenato “The Curious Hand”?
Immagino che sia una specie di ricerca, ho usato software diversi per provare a creare nuovi suoni, o a prendere un nuovo strumento per vedere cosa avrebbe potuto aggiungere. Per esempio, ho preso in prestito una cetra a dieci corde da Frank Tate e mi ricordo di averla imbracciata mentre lavoravo a “Heels Over Head”, senza sapere neanche accordarla, e con quella ho aggiunto proprio la cosa esatta che stavo cercando. Poi ho trascorso un anno a lavorare a una colonna sonora per un film, solo vocale, e così ho passato molto tempo ascoltando vecchia musica folk “a cappella”, e parte di quel processo credo sia filtrato nella mia scrittura.

Cinque anni sono passati tra i tuoi due dischi, e nel frattempo magari il nuovo ha cambiato forma e suono nella tua mente e, forse, anche nella realtà. Come è venuto insieme il disco attraverso questi anni, in termini di scrittura e suono?
Beh, c’è stato un Ep nel 2015 che rende bene il passaggio tra i due album. Ho in effetti tentato di registrare molte canzoni che sono finite nel nuovo disco in quel periodo. Ma non ero mai contento del risultato… Mi sembrava che le canzoni fossero meglio di come le stavo trattando! Non è stata una totale perdita di tempo, comunque – quando ho finalmente registrato quelle canzoni, sono riuscito a rubare pezzetti e idee dalle versioni precedenti, cosa che si è rivelata utile!

Suona decisamente molto più come uno sforzo collettivo, in termini di sound e arrangiamenti. Grandi pennellate di archi e fisarmonica, per esempio, un approccio più diretto. È stato, davvero, un lavoro collettivo, almeno in studio di registrazione?
Abbiamo registrato probabilmente metà del disco dal vivo, in studio, quindi si tratta decisamente di un lavoro collettivo. L’altra metà l’ho registrata da solo per gran parte, ma poi Emma ha aggiunto gli archi, oppure Aram è venuto in studio per aggiungere le percussioni… Quindi, comunque un processo collettivo.

Immagino che, quando il processo creativo viene un pochino diluito nel tempo, si mescola alla vita reale in un certo senso, e “The Curious Hand” è pieno di dettagli della tua vita a Londra, dei piccolo episodi che sono trascorsi. Come descriveresti questi anni a Londra? Hai trovato quello che stavi cercando?
Sono stati anni soprattutto buoni, direi, ma è una grande città, la gente va e viene. Sono fortunato a vivere in una bella casa, con un giardino, che è già un buon inizio. Preferisco pensare a Londra come a una base, piuttosto che come a un luogo in cui essere tutto il tempo. Se ho trovato quello che cercavo? Probabilmente, ma c’è sempre qualcosa di nuovo da cercare.

Sei sempre stato un artista multimediale, e questo disco lo mostra molto bene col suo artwork superbo e una serie molto generosa di video, quasi come se fossimo negli anni 90. Sembra quasi nostalgico, in un certo senso, girare così tanti video (e tu reciti in tutti, fra l’altro). Che ruolo hanno  per te e quanto sei stato coinvolto nel concept e nella realizzazione?
Amo i video; è stato un tale privilegio poter lavorare con registi così creativi. Penso che ognuno di questi video abbia qualcosa da offrire e dà davvero nuova vita alle canzoni. In ognuno di essi, il regista aveva una visione molto forte e il mio input è stato onestamente minimo… Eccetto per le mie strabilianti performance da Oscar.

Il tuo sperimentalismo è probabilmente, ora, inserito più organicamente nelle canzoni, tranne che per alcune registrazioni di dialoghi, per esempio nella title track (e per un paio di brevi composizioni). Quale momento stavi ricordando con quella registrazione?
Intervistai due miei vicini di casa circa dieci anni fa, musicisti che parlavano di come la musica sia cambiata nel corso degli ultimi 60/70 anni. Per me, un tema importante di questa canzone è crescere, sapere da dove vieni. Quando sento i miei vicini che parlano, torno dritto a Swinford, di dove sono io… Quindi prima di tutto loro sono lì per me! Ma mi fa sempre piacere quando la gente mi chiede di quelle registrazioni.

Questa è la prima uscita per un’etichetta importante, la Domino. Com’è stato lavorare con loro, per te?
È stato grandioso, ascolto gli artisti della Domino dagli anni 90, per cui per me è surreale essere nel loro roster… Ma nella maniera migliore possibile.

Grazie ancora per il tuo tempo, Seamus. Puoi dirci dei tuoi piani futuri per un tour, specialmente se verrai a suonare in Europa e in Italia?
Abbiamo un tour in Uk e in Irlanda in novembre, e poi andremo all’Eurosonic, in Olanda, in gennaio. Poi non sono sicuro, spero di passare per il continente per bene a febbraio/marzo… Voglio portare la band con me, per rendere giustizia all’album dal vivo, ma questo rende il tutto più complicato da organizzare… Promoter, fatevi sentire! Saluti e grazie!



Discografia

God Damn You Mountain(Fence, 2012)7,5
Ducks And Drakes(Ep, Lost On Map, 2015)
The Curious Hand(Domino, 2017)8
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

The Waterside
(da God Damn You Mountain, 2012)

The Question
(live, da God Damn You Mountain, 2012)

Short Ballad For A Long Man
(da The Curious Hand, 2017)

Carlow Town
(da The Curious Hand, 2017)

Heels Over Head 
(da The Curious Hand, 2017)

Van Gogh's Ear
(da The Curious Hand, 2017)

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