Simona Molinari

Petali di una rinascita

intervista di Claudio Fabretti

Sette anni tra un disco e l'altro sono un'eternità per un'artista. Ma nel caso di Simona Molinari, la pausa discografica – inframezzata da altri progetti assortiti - è servita a preparare una rinascita. Suggellata da “Petali”, l'album uscito nel 2022 che le è valso la Targa Tenco come Miglior interprete. Premio più che mai meritato per la fuoriclasse dell'electro-swing tricolore, da sempre una delle migliori cantanti italiane, ma troppo spesso penalizzata dalla specificità della sua proposta musicale e da un ambiente pesantemente maschilista che ne ha addirittura messo in pericolo la carriera. E meno male che la sua svolta – culminata nel cambio di management - è servita a restituircela in pienissima forma, come testimoniato anche dalla recente, deliziosa performance televisiva nello show “Bar Stella” su Rai2.
Di tutto questo – e molto di più – parliamo con lei in questa chiacchierata a tutto tondo, in cui ci conferma tutta la sua curiosità musicale così come una verve tutta partenopea, mitigata però – come dice lei – dalla dura disciplina dell'Abruzzo, la sua “seconda terra”, dove ha trascorso gran parte dell'adolescenza ed è stata folgorata sulla via del jazz.

 

Simona Molinari - LiveBuongiorno, Simona. Hai chiuso il 2022 con le ultime date del tour di “Petali”. Come è andata?
È andata benissimo. Ho messo insieme un po' tutto ciò che ha fatto parte della mia storia artistica, dall’inizio ad oggi, cercando però di trovare un senso ai concerti che andasse oltre la musica e la mera esposizione del mio repertorio. E il fil rouge è stato un viaggio nei tempi della vita: quello dell’innamoramento, della passione, dell’inganno, del disincanto, dell’impegno, dei sogni etc. In pratica, tutte le fasi della vita in cui mi sono messa a scrivere canzoni. Nel tour ho ritrovato tutte le persone che mi hanno seguito in questo percorso, ma anche tante che mi conoscevano solo per qualche brano e che invece hanno potuto approfondire tutta la mia storia, facendola propria. Perché questi, in fondo, sono i tempi della vita di tutti. Ci siamo ritrovati ed emozionati insieme.

 

Farai altre date nel 2023? E, domanda interessata: sarai anche a Roma?
Nel 2023 abbiamo già molte richieste, faremo delle nuove tappe nelle città più importanti per me e tra queste c’è sicuramente Roma.

Il live è la mia dimensione preferita. Mi piace che i miei pezzi diventino nuovi ogni sera. E sul palco mi sento come l'amplificatore di due energie, quella dei musicisti alle mie spalle e quella del pubblico davanti a me

È vero che il formato live, più del disco, è la tua vera dimensione?
Sì, mi sento più adatta al live, forse perché dietro non c’è premeditazione, ma è la verità che si mostra sul palco, senza filtri. È la cosa che mi riesce meglio fare, più che mettermi a pensare al disco. Mi piace che una cosa possa essere creata di volta in volta: ovviamente c'è una base, il pezzo è quello, ma in concerto diventa nuovo ogni volta. Un piccolo miracolo che può accadere solo sul palco, dove mi trovo a fare da amplificatore di due energie: quella alle mie spalle, dei miei musicisti, e quella davanti a me, del pubblico che mi ascolta. Mi sento come una porta tra due mondi, devo solo aprire bocca e amplificare quell’energia: il risultato è una specie di abbraccio totale.

 

Ti abbiamo vista anche in tv in una brillante esibizione a "Bar Stella" con Stefano De Martino. E ti ricordo anche in “Sogno e son desto”, lo show di Massimo Ranieri. Hai mai pensato che saresti una perfetta star televisiva?
A "Bar Stella" mi sono divertita molto anch’io. Sì, ho avuto anche un periodo televisivo, che è stato appagante, poi magari capita che in altre fasi sei più concentrata sui progetti discografici o sui tour, ma è sempre un’esperienza piacevole, che ripeterei volentieri.

La mia estrazione rimane il jazz ma in questi sette anni il mondo è cambiato e così in 'Petali' ho deciso di virare verso il pop d'autore, mettendomi al servizio delle parole

Simona MolinariParliamo invece di “Petali”, l'album del 2022. Come mai hai deciso di virare verso il pop e la canzone d'autore, mettendo un po' da parte il tuo swing?
La mia estrazione rimane il jazz e tutto quello che gli gira intorno, ma c’è stata questa virata verso il pop, per vari motivi. Anzitutto è cambiato un po’ il mondo in questi sette anni: quando mi sono ritrovata di nuovo in studio con i miei collaboratori e la mia casa discografica, abbiamo preso atto di questo e della necessità di cambiare anche il modo di comunicare. Per me la comunicazione viene prima di tutto, anche prima della musica: posso fare anche le cose più belle del mondo, ma se non vengono recepite e comprese, e vengono ad esempio scambiate per virtuosismo o narcisismo, non mi restituiscono niente. Ogni canzone per me è un dialogo con chi ascolta. Così ho pensato, rimanendo sempre in un ambiente per lo più acustico e non troppo elettronico, di virare verso questo pop d’autore, mettendo la mia comunicazione al servizio delle parole. Non volevo andare di mestiere, cercare solo un suono di un certo tipo. Avevo insomma motivazioni completamente diverse da quelle degli altri miei dischi.

 

Un album che arriva a 7 anni dal precedente “La casa mia” del 2015. Perché hai avuto questa lunga pausa?
Questi sette anni sono stati un percorso complesso. Sono diventata mamma e quindi sono cambiata anche come donna. E c’era intorno a me una situazione particolare: ho avuto dei problemi con il mio vecchio management, dal quale a un certo punto mi sono separata.

 

Sì, ho letto. Ma peggio per loro, direi, no? (ridiamo)
Eheh… Non lo so, io di sicuro mi sento molto felice di aver fatto questo percorso. È come se fossi uscita da una bolla in cui ero stata messa o dove mi ero cacciata: non diamo sempre la colpa agli altri... Avevo messo delle persone nella possibilità di guidarmi e manipolarmi come volevano.

Mi sono sentita manipolata e intrappolata in una bolla: vedevo il mondo solo attraverso gli occhi di queste persone attorno a me. Quando mi hanno detto che, dopo essere diventata mamma, niente sarebbe stato come prima, ho accusato il colpo, senza reagire come avrei dovuto. Ora per fortuna ho cambiato tutto

Ecco, a questo proposito mi ha colpito una frase di una tua recente intervista: “Artisticamente ho espresso quello che volevo, ma l’ho fatto come una maschera, ho interpretato il ruolo di una diva del burlesque”. Perché sentivi di avere addosso questa maschera?
Diciamo così: fino a 10 anni fa, sentivo – oppure le persone vicino a me mi facevano percepire – che ero prima di tutto una donna, poi una cantante e poi una cantautrice. Ho permesso agli altri di mettere in primo piano questo aspetto, cosa che non mi scandalizza, perché anche oggi si fa. Ma a lungo andare tutto ciò ti fa perdere sicurezza su ciò che sei e acquistarne solo in come appari. È strano, ma succede.

 

Provo a interpretare: ti sei sentita un po’ usata come ragazza bella e sensuale, a scapito della tua anima di cantautrice?
Esatto, e quando sono diventata mamma, queste persone mi hanno fatto capire che sarebbe cambiato tutto, perché veniva meno una parte di me.

 

Ma è una cosa orribile!
Eh sì. Ma per un mio problema caratteriale, invece di reagire, come farebbe una qualsiasi ragazza oggi, magari usando l'arma dei social, ho accusato il colpo. Io tra l'altro sono una millennial: sto in quella fascia che conosce bene ciò che c’era prima ma ha visto sotto i suoi occhi accadere mille cambiamenti, di cui non si sente completamente padrona. Sicuramente chi è nata dopo di me conosce molto meglio le potenzialità di quegli strumenti. Così ho pensato anche io di mettermi da parte perché avevo meno appeal. Oggi sembra assurdo anche a me, ma all’epoca mi sentivo prigioniera di quella bolla: non vedevo il mondo con i miei occhi, ma attraverso quelli di altre persone, in modo da non percepire la realtà. E in quel momento a me sembrava la cosa più normale del mondo. Dovevo perlomeno nascondere questa cosa: che avrei avuto dei problemi e non sarebbe stato più lo stesso.

 

Certo che il maschilismo nella musica, specialmente in Italia, è duro a morire…
Sì, ma, come dicevo, le ragazze di oggi, per fortuna reagiscono in modo diverso. Ad esempio, Levante, quando ha avuto un bambino, è stata bravissima a veicolare la sua maternità, senza ostentarla troppo, anche in un momento di promozione.

 

Senza arrivare agli eccessi di una Chiara Ferragni, insomma…
Sì, ecco, di quel tipo di ostentazione lì non sarei proprio capace. Però sicuramente si può fare in maniera equilibrata e intelligente, far capire che è un evento importante nella vita di una donna. Senza tacerlo, ma senza neanche esagerare, sia per una questione etica, sia per la stessa sicurezza di un bambino, che un domani potrebbe dirti: “Non avrei mai voluto essere esposto così”.

Simona MolinariIn “Petali” si respira una forte intimità e autenticità, ma soprattutto un senso di rinascita. Anche la storia della clochard di  “Lei balla sola” sembra soprattutto una celebrazione della libertà. È stata una tua rinascita anche personale?
Sì, c'è molta voglia di libertà, voglia di essere se stessi. La protagonista di “Lei balla da sola”, più che come una clochard, la vedo come una donna che si spoglia di tutte le convenzioni sociali e si mette a girare il mondo senza paure. Di fatto ancora oggi per molte donne l’idea di viaggiare da sola trasmette un po' di paura. Io sono abbastanza randagia, e mi sento libera, volevo esprimere una parte di me.

Rido e mangio da napoletana, ma la durezza dell'Abruzzo mi ha insegnato la disciplina e il rigore in questo lavoro. Così ho maturato una sorta di Super-Io abruzzese

A dispetto della tua dizione assolutamente perfetta, hai una duplice matrice molto forte: sei nata a Napoli ma poi hai vissuto all’Aquila. Come si combinano in te queste due anime, quella partenopea e quella abruzzese?
Io vengo da una famiglia napoletana, per quanto mi sia trasferita giovane. Quindi, come si usa dire, “rido e mangio da napoletana”...

 

Il che non è niente male, tra l’altro…
No, infatti! Poi però, per quanto riguarda la mentalità sulla musica, sulla formazione, sulla disciplina, c’è una forte componente abruzzese. La durezza è una caratteristica di quella regione, quindi il “bastone abruzzese” è quello che mi ha garantito disciplina, senza però togliermi di dosso questa irrequietezza e questa voglia di libertà molto partenopee. Insomma, ci sono due anime dentro di me: il Super-Io abruzzese che mi ammonisce e questa mia irrequietezza napoletana che esce da tutte le parti.

 

L’Aquila è una splendida città, ma piuttosto insolita per un'artista. Come mai ti sei trasferita lì?
I miei genitori si sono trasferiti quando eravamo piccoli e siamo cresciuti lì. Ma è stato un bene per me. Ho avuto il tempo e la pace per formarmi, per crescere, per pensare. Anche il silenzio mi ha aiutato a maturare.

Hai mantenuto un legame forte con l'Abruzzo, promuovendo anche iniziative di solidarietà dopo il terremoto (il singolo “Ninna nanna” e l'evento “Amiche per l'Abruzzo”, allo stadio San Siro di Milano nel 2009).
Sì, ho conservato un legame forte con quella terra. Sono abruzzesi gran parte dei miei amici, quelli dell’adolescenza, che stanno ancora lì o erano lì.

La passione per lo swing è nata vedendo vecchi film in bianco e nero. In Abruzzo tra l'altro il jazz è molto diffuso: nelle mie band volevano suonare sempre quello! E in quegli anni sono esplosi i vari Michael Bublé, Norah Jones, Peter Cincotti: c'era voglia di tornare a quei suoni retrò. Poi io e Peter siamo stati a Sanremo...

Tornando alla musica, ti devo però confessare che le tue canzoni che preferisco sono quelle swing. Come dicevi, sei una millennial, come è nata questa tua passione per un genere d'altri tempi, apparentemente così lontano e retrò?
Sono sempre stata appassionata dei film d’epoca, quelli in bianco e nero, nei quali spesso c’era questo sottofondo musicale che mi incuriosiva. Poi va considerato anche il fatto che in Abruzzo il jazz è molto diffuso. I musicisti con cui ho avuto a che fare lì fin dalle prime esperienze erano tutti jazzisti: facevo la leader di alcune band locali, e tutti volevano sempre suonare jazz. Poi ho iniziato ad ascoltare Ella Fitzgerald e tutte le grandi cantanti americane, e la mia passione è cresciuta ancora. Del resto, era un suono retrò, ma che per certi versi stava tornando di moda: quando ho iniziato a scrivere, c’erano Michael Bublé in piena ascesa, Norah Jones, Peter Cincotti… Alla fine è stata anche la mia voce a trovare nei brani swing la sua massima espressione.

 

Tornerai a farne?
Sicuramente sì, non posso abbandonare lo swing. È una parte troppo importante per me, oltre che divertente.

Simona Molinari - Peter CincottiHai anche collaborato con una delle star internazionali che citavi: Peter Cincotti. Com'è andata?
È stato molto divertente. Avevamo la stessa età, venivano da due continenti diversi ma con una visione abbastanza simile della musica e un po’ di tutto. Anche a Sanremo ricordo tante risate insieme. Abbiamo affrontato quel festival con la massima incoscienza: eravamo outsider, portavamo qualcosa di talmente strambo rispetto alle cose sanremesi che non potevamo non viverlo in maniera giocosa. Per esempio, il giorno dopo la finale, siamo andati a Domenica In e Peter, che non capiva una parola d'italiano, mi ha chiesto cosa stesse dicendo la conduttrice. Gli ho risposto che stava leggendo la classifica delle canzoni. E lui: “Ma perché, era una gara?!” Non aveva capito dove era capitato… Poi mi ha chiesto. “E noi come siamo arrivati?”. “Mah… tredicesimi”. “Su quanti?”. “Quattordici”. E l’ho visto impallidire!

 

Vabbe’, non sapeva neanche che la classifica di Sanremo spesso va letta al contrario...
Eh già. Ma quello era lo spirito, del tutto incosciente. Del resto non può essere una gara la musica, non può essere sport. È tutt’altro. Quindi Sanremo va preso come un gioco. C’entrano il gusto, le mode, tanti fattori che lo rendono poco catalogabile.

 

Tu ci sei stata due volte, nel 2009 tra i Giovani con “Egocentrica” e nel 2013 con “La felicità”, in coppia con Cincotti.
Sì, poi sono stata due volte ospite, nelle serate dei duetti: una con Renzo Rubino, che arrivò terzo, e l’altra con Raphael Gualazzi nel 2020.

 

Ti piacerebbe tornare all'Ariston?
Sì, sicuramente. Prima o poi, chissà. Sanremo resta una meta ambita, uno dei palcoscenici più importanti per lanciare un disco, per presentare musica inedita. E poi è anche un momento di ritrovo per tutti, come se fossero i Mondiali o gli Europei di calcio. Si ferma l'Italia per una settimana. Cosa che per la musica non accade in nessun altro contesto.

Mi piacerebbe tornare a fare teatro dopo 'Jekyll e Hide' e 'Jesus Christ Superstar'. Sono al lavoro su una specie di recital con canzoni e racconti. Il cinema? Mi sono trovata benissimo con Stefano Fresi sul set di 'C'è tempo', ci riproverei volentieri

Hai anche lavorato in teatro, collaborando con Michele Placido, debuttando da protagonista nel musical “Jekyll e Hyde” e interpretando Maria Maddalena in “Jesus Christ Superstar” accanto al mito Ted Neeley. È un’altra esperienza che ti piacerebbe riprovare?
Sì, memorabile in particolare quel “Jesus Christ Superstar” al Sistina, c'erano anche i Negrita! Ora sto lavorando proprio a un progetto che unisce musica e teatro, una specie di recital, con canzoni e racconti. A me piace molto raccontare storie, cosa che faccio spesso anche nei miei concerti: una specie di teatro-musica che vorrei continuare a portare avanti.

 

Nel 2019 hai perfino debuttato nel cinema, come co-protagonista del film di Walter Veltroni “C’è tempo”, firmando anche alcuni brani della pellicola. Come ti sei trovata sul set?
Benissimo anche in quel caso, perché ho avuto la fortuna di lavorare con persone meravigliose. A cominciare da Walter, che è stata un’ottima guida per una debuttante come me, ma poi anche Stefano Fresi, che è stato eccezionale: un attore formidabile e una persona come poche ne ho incontrate in questo ambito, e poi i due bambini che ormai sono diventati piccoli adulti. Si è creato un clima molto bello e poetico che credo traspaia anche dal film. Un’esperienza da ripetere anche quella.

I miei show più memorabili all'estero? A New York al Blue Note, il tempio del jazz dove hanno suonato tutti i miei idoli. E poi a Hong Kong, dove ho portato sul palco musicisti da tutto il mondo: è stata una piccola utopia

Simona MolinariA differenza di altre cantanti italiane che magari spopolano qui ma non hanno mai messo piede oltre confine, tu hai una importantissima esperienza all’estero. Ti sei esibita nei teatri di mezzo mondo, dal Nord America alla Cina. Che cosa porti con te di quelle serate?
Ricordo in particolare la serata al Blue Note di New York, uno dei luoghi dove sognavo di esibirmi perché ci hanno suonato tutti gli artisti che mi hanno ispirato. Io poi credo che gli americani siano il pubblico perfetto: hanno un’energia pazzesca che a chi sta dall’altra parte arriva fortissima, spingendolo anche ad andare oltre le sue possibilità. Poi ricordo Hong Kong. Sono stata lì per diverso tempo e nei giorni che hanno preceduto il concerto mi hanno fatto conoscere un po’ tutte le realtà musicali del posto: c’è un fervida attività live ed è una città meravigliosa. Così ho conosciuto musicisti di tutte le nazionalità: una cantante africana pazzesca, una cantante canadese meravigliosa, un ragazzo italiano che faceva il tenore. Li ho invitati al mio concerto e sono venuti tutti. Poi, a fine show, li ho chiamati tutti sul palco e abbiamo cantato insieme improvvisando, ognuno con la sua tecnica e la sua voce. Tutti in modo diverso, quindi. Ma è stato probabilmente il momento più bello della mia vita artistica e forse mi ha dato anche un po’ il senso di quello che può essere la musica: mettere la propria unicità al centro e poi dialogare con gli altri, nel rispetto delle loro diversità. Insomma, su quel palco si è creata una piccola utopia.

 

Tu sei una di quelle che hanno studiato. A 8 anni già studiavi canto, a 16 hai iniziato a specializzarti nel jazz, approfondendo canto moderno, improvvisazione jazzistica e vocalità nero-americana. Poi hai studiato musica classica al conservatorio di L'Aquila. Ti fa un po’ rabbia vedere che oggi invece basta mettere un video su TikTok o su YouTube per avere successo?
Mi fa uno strano effetto, ma più che altro mi incuriosisce capire fin dove si può arrivare. Io però sono convinta che le mode passino e che il classico, invece, non muoia mai. Spesso più che di musica si tratta di intrattenimento. Credo che la gente, oltre quei tre minuti di evasione in cui riceve passivamente gli stimoli da TikTok, abbia poi voglia di contenuti. Quando sente qualcosa di cui ha bisogno, se la va a cercare altrove. Qualcosa per cui magari è disposta a pagare il prezzo del biglietto di un concerto o a sentirsi non solo un pezzo ma tutto il repertorio. Più che altro mi dispiacciono due cose: che i media si siano completamente dati ai numeri…

 

Non noi di OndaRock, però! (ridiamo) A proposito, ci conosci?
Certo, come no!

 

Bene. E l’altra cosa che ti dispiace?
Il fatto che quei numeri siano comunque manipolabili: è un cane che si morde la coda, e porta a far sì che non ci sia una offerta culturale più vasta. Spingono solo quella cosa lì, e non so fino a che punto questo non possa stufare. Magari si passerà rapidamente a un altro genere. Però trovo che anche in fenomeni di moda, ci siano cose che, seppur non troppo articolate, possano rivelarsi vere, alcune piacciono anche a me. Ci sono molti giovani artisti in gamba, anche se non hanno studiato. Hanno forti motivazioni e talento. Quello che mi dispiacerebbe è se la motivazione ultima di questi giovani dovesse diventare il business, allora sì che la musica sarebbe svilita: si farebbe solo pubblicità e nient’altro.

C'è un problema di educazione musicale: in Italia il jazz non è mai stato di moda. Però se ci entri dentro poi non ne esci più, un po' come il sushi! I miei idoli? Ella Fitzgerald, Nina Simone, Sara Vaughan, Billie Holiday, Joni Mitchell, Eva Cassidy, Melody Gardot...

Simona MolinariMa in Italia è più dura per cantanti di formazione jazz come te, o come Chiara Civello, per citare un’altra artista per me bravissima? È un problema di educazione musicale?
Sì, c’è poca educazione musicale, ma anche poca proposizione. Io sono convinta che più fai sentire una cosa, più l’orecchio si abitua a quella cosa, come dimostra il fatto che in ogni paese vi sia una forma di musicale diversa che domina. Quindi chiaramente il jazz è proposto in minima parte, rispetto al pop, al rap, alla trap. Non è di moda, non è mai stato di moda. Però una volta che ci entri dentro, non ne esci più. E fai più fatica ad apprezzare la musica di puro intrattenimento, proprio perché ti abitui a costruzioni più articolate. Un po’ come iniziare a mangiare sushi, insomma!

 

Però all’estero sia tu che Chiara Civello avete avuto un grande successo…
Sì, nei paesi dove c’è un altro tipo di cultura, anche musicale, spesso funziona così. È anche un fattore culturale.

 

In un certo senso siete anche le eredi naturali di Ornella Vanoni, con la quale hai anche cantato in "Amore a prima vista". È stato emozionante?
Beh, certo, lei è una leggenda, e ci metterei la firma ad arrivare alla sua età con quella forma e quella energia. Lei è davvero un esempio per tutte noi: non è stata quasi mai mainstream, però è andata avanti controvento e questa cosa le dà quel lustro per l’intera carriera che giustamente le viene riconosciuto oggi. Quindi, chapeau. Avere iniziato al suo fianco, il fatto che lei abbia accettato di cantare con me “Amore a prima vista”, per il quale abbiamo anche vinto il Disco d'oro, è stata una grande iniezione di fiducia. Le sarò sempre grata per questo.

Ti piace qualcosa della nuova scena italiana?
Mi piace molto Levante, soprattutto sui contenuti, anche se musicalmente è distante da me. Il mio artista preferito però è Brunori Sas: ha sempre brani molto profondi che mi appassionano. Nel giro di poco credo che anche una giovane come Serena Brancale verrà fuori. E tra le cantanti più mainstream trovo sempre molto originale e coerente Madame.

 

E in campo internazionale?
Mi piace una cantante che si chiama Ashe, californiana, sono andata anche a sentirla in concerto qui a Milano, amo la sua scrittura e il suo modo di cantare. Poi apprezzo Sia, gli Imagine Dragons... e anche ragazzi che ascolto su Instagram, cantanti francesi… Hanno numeri pazzeschi su Instagram con questi audio che girano sotto le immagini… ma non li trovo poi su Spotify. Non ho capito bene come funziona, ma prima o poi tutta questa ondata troverà una sua regolazione.

 

Quali sono, invece, i tuoi riferimenti storici?
Ella Fitzgerald, Nina Simone, Sara Vaughan, Billie Holiday, Joni Mitchell, Eva Cassidy... Da ragazza mi piaceva molto anche Melody Gardot.

 

Un pantheon tutto femminile…
Sì, mentre in Italia tendo a preferire cose maschili. Forse per via di un mio pregiudizio: mi sono convinta che in Italia le cantautrici debbano passare il vaglio di cinque uomini prima di arrivare al risultato definitivo, così una cosa scritta in un certo modo poi subisce dei cambiamenti e quando arriva al pubblico è un misto di quello che era originariamente scritto da una donna e di ciò che è diventato poi, dopo esser stato filtrato dal gusto maschile. All’estero credo che ci sia più libertà. Se ascolto un’artista americana, sono convinta che al 90% esprima quello che vuole dire davvero, se si tratta di un’italiana divento subito più scettica. Ma forse sono condizionata dalla mia esperienza personale…

 

Dovreste organizzare un Lilith Fair italiano, escludendo tutti gli uomini (ridiamo)
Esatto. Ma quando poi vedi anche i numeri di vendita… Le donne in Italia vendono molto meno degli uomini, c’è proprio un problema di fondo. Negli spazi decisionali, dove si decide cosa mandare o divulgare, sono tutti uomini. Magari anche tu ascolterai in prevalenza musica di uomini...

 

Ehm... veramente io sono molto fissato con le cantautrici, non faccio testo!
Ah, meno male! Però tendo a credere che molti uomini si identifichino più con quello che cantano artisti maschili o con un certo tipo di donne che magari assecondano una certa visione a loro più congeniale. Ma è un discorso complicato… Diciamo che speriamo che in Italia si dia più spazio alle donne.

 

Ma sì, e direi soprattutto a te!
Grazie, farò del mio meglio.

Sto già lavorando al nuovo disco, dovrebbe arrivare nell'autunno del 2023, anticipato da qualche singolo. Non aspetterò altri 7 anni!

Prossimi progetti?
Sto lavorando a nuove canzoni, un disco che però non arriverà prima dell’autunno prossimo.

 

Basta solo non dover aspettare altri 7 anni... (ridiamo)
No, promesso: non aspetterò 7 anni! Potrebbero uscire dei singoli già prima dell’autunno. Contemporaneamente sto mettendo su quel progetto di musica-teatro di cui parlavo prima. Poi farò nuovi concerti, sempre nell’ambito del Petali Tour.

 

Vuoi dire qualcosa ai lettori e alla redazione di OndaRock?
Vi faccio tanti auguri, sperando che il nuovo anno sia migliore di tutti quelli passati. E continuate così!



Discografia

Egocentrica(Universal, 2009)
Croce e delizia (Warner, 2010)
Tua (Warner, 2011)
Dr. Jekyll Mr. Hyde(Warner, 2013)
Casa mia (Warner, 2015)
Petali (Bmg, 2022)
Pietra miliare
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