Simone Gatto

Dal Salento con furore

intervista di Giuliano Delli Paoli

In occasione del Velvet Culture Festival - importante rassegna elettronica salentina a tutto tondo di cui OndaRock è mediapartner - incontriamo il produttore e compositore Simone Gatto, reduce dal suo secondo Lp, "Heaven Inside Your Frequencies", per chiedergli della sua lunghissima esperienza in materia, sia come notevole manipolatore solista, sia come producer di altissimo spessore. Gatto è co-fondatore della celebre Out-ER, label che negli anni ha prodotto dischi di artisti del calibro di Juan Atkins, Orlando Voorn e Terrence Dixon. Ed è sicuramente uno dei ricercatori più intriganti del panorama elettronico nazionale e internazionale.

Leggendo in giro su di te, sia sul web, sia su carta, intravedo puntualmente la versatilità come elemento caratterizzante la tua musica. L’idea che mi sono fatto io è che accanto a questo substrato elettronico versatile e dinamico, c’è molto di più: innanzitutto amore per Detroit e una cura maniacale delle sfumature. Ecco, prima di scavare più a fondo nel tuo universo musicale, viene da chiederti: aver collaborato con Orlando Voorn, che ha sempre unito la sua Amsterdam con la stessa Detroit, finendo addirittura per trasferirsi spesso negli States, e aver prodotto mostri sacri come Terrence Dixon e Juan Atkins, cosa ti ha lasciato? Quanto sei legato a quel tipo di commistione con la storia della musica techno?
Fin da quando ero un ragazzino sono stato sempre affascinato dal mondo della techno made in Detroit. Ricordo che uno dei primi dischi che comprai fu "Starlight" dei Model 500, rimanevo ipnotizzato ad ascoltarlo steso sul letto della mia camera prima ancora di imparare a mixare. Orlando Voorn è un maestro nel genere. Aver avuto la possibilità di collaborare con lui su alcuni progetti ha contribuito a definire il mio suono oltre che avermi permesso di entrare in contatto con mostri sacri come Juan e Terrence, che avevo sempre sognato di conoscere e con i quali avevo sempre sognato di lavorare. Se dovessi provare a definire il mio suono partirei sicuramente da una forte influenza dub e deep che si articola nei vari sottogeneri dell’elettronica, dalla downbeat fino alla techno, prestando particolare attenzione al sound design.

Veniamo ora agli aspetti più particolari della tua arte. Il tuo primo album è in realtà un concept filosofico sul trattato omonimo di Meister Eckhart, teologo e religioso tedesco. Potresti raccontarci di questo progetto, da dove nasce e il suo significato per te? Non capita tutti i giorni di trovarsi dinanzi a concept di questo tipo nello sterminato panorama elettronico contemporaneo…
Quando ho iniziato a scrivere il mio primo album "Detachment" frequentavo il dottorato in Filosofia Morale all’Università di Lecce. Rimasi particolarmente colpito dal sermone "Il Distacco" del teologo Meister Eckhart, che intende il distacco come il movimento dell’intelligenza e di tutta l’anima che coglie la finitezza, la parzialità, la dipendenza dal volere del soggetto in ogni contenuto di affermazione, ossia in ogni legame con le cose e ne prende le distanze. Mi rispecchio perfettamente in questo pensiero, così pensai che sarebbe stato il caso di chiamare l’album "Detachment" ispirandomi appunto a questo concetto e lanciando contemporaneamente un messaggio di "distacco" da tutto ciò che oggi contraddistingue il mondo della musica e non solo: apparenza, falsità e attaccamento ai beni effimeri (soldi, hype ecc.)

So che hai lavorato moltissimo e che lavori ancora nel campo della musicoterapia. Da dove nasce questa magnifica passione? Potresti raccontarci come leghi la tua sensibilità sonora a tale delicatissimo processo?
Dal 2014 ho iniziato a organizzare dei seminari/workshop tra l’Italia, l’Olanda e la Germania, nei quali ho approfondito (insieme con altri esperti e musicisti) e analizzato (attraverso esperimenti ed esercitazioni pratiche) il potere delle frequenze sulla nostra mente, la risposta emotiva e fisiologica alla musica da parte dei performer durante un esibizione e il rapporto empatico che si può stabilire tra il performer e il pubblico. Dopo questo percorso di ricerca (conclusosi con la pubblicazione del mio primo saggio) all’inizio dell’anno ho deciso di iscrivermi all’istituto nazionale Artedo per specializzarmi in Musicoterapia. L’ho ritenuta una scelta spontanea derivata dal mio amore verso la musica e verso gli altri. Utilizzare il suono come mezzo per ampliare la comunicazione, la relazione e l’empatia attraverso l’improvvisazione sonora e in alcuni casi (attraverso la vibroacustica) addirittura per curare le persone è qualcosa che mi appaga moltissimo e mi rende felice. Sarà un cammino che percorrerò per il resto della mia vita.

Ascoltando le tue tracce evinco sempre una voglia netta di zigzagare, ondeggiare senza mai perdere di vista una linea retta. Eppure nel tuo ultimo album si avvertono partiture a volte più frammentate e “lerce”. Sei d’accordo? Chi sono i tuoi fari in ambito più sperimentale? 
Tendenzialmente sì, ritrovo quello che hai detto! Diciamo che ogni lavoro è diverso dall’altro. Più vado avanti, più sperimento cose nuove e più mi accorgo che il mio suono si evolve in qualcosa di nuovo. Credo che sia normale, no? I miei punti di riferimento? Ne ho diversi: Aphex Twin, Flying Lotus, Mika Vainio, Drexciya, Boards of Canada, Portishead, Brian Eno, giusto per citarne alcuni che seguo da più di un decennio.

Spesso le tue performance si accompagnano a dei visual in 3D dei The29nov. Quanto conta per te la spinta visiva e come curi questo lato dei tuoi set?
I visuals sono ormai parte integrante delle mie performance, soprattutto se mi esibisco in un live set, li ritengo fondamentali per garantire uno show completo. Di solito collaboro con Sebastian dei The29nov e Stanislav Glazov di Licht Pfad. Con loro due ho un gran feeling, mi conoscono bene e riescono a interpretare perfettamente quello che la mia musica vuole esprimere.

Hai fondato l'ottima Out Electronic Recordings con Andrea Santoro nel lontano 2010. Come procede e cosa è cambiato nell'ambiente da allora?
Sono cambiate le tendenze, e tutta la gente che le segue. Vediamo molta gente fare la sua apparizione sulla scena e scomparire in un paio di anni o cambiare totalmente identità musicale. Credo che se si vuol portare avanti una label che lasci il segno, gli ingredienti fondamentali siano la costanza, la coerenza e la passione. Per quanto ci riguarda procede alla grande, abbiamo delle belle novità per il 2018.

Quale strumentazione utilizzi mediamente? Quali sono le “macchine” a cui sei più legato e quelle che invece vorresti approfondire?
Mi sento a mio agio con i synth e le drum machine che posseggo, ovvero: Prophet 12, Moog Sub 37, Juno 60, Roland System 8, Access Virus Ti, Acid Lab Miami, Analog Rhythm. Nelle mie composizioni utilizzo anche diversi tipi di Droning e registratori ambientali. Come sequencer utilizzo Ableton Live da dieci anni e lo conosco come le mie tasche. Suono il basso da oltre tre anni, sono arrivato a un livello più che soddisfacente ma sento di poter ancora migliorare. Quello in cui sento di avrei bisogno di un approfondimento sono i sistemi Modulari. Capita spesso di andare a trovare degli amici in studio che hanno dei bei sistemi e vorrei approfondire molto di più la mia conoscenza al riguardo. Prima o poi succederà!

Il tuo amatissimo Salento, Berlino e New York. Questi tre mondi diversissimi tra loro come hanno influenzato la tua musica e la tua scrittura? 
Il Salento è la mia terra i cui suoni fanno parte della mia identità sonora; rappresenta il mio contenitore, il punto di ritorno dopo ogni viaggio. Berlino è il posto dove ho fondato la mia label, dove vivono molti dei produttori che stampo ed è una città che ha contribuito tanto alla mia formazione artistica e culturale. New York è una città magica, piena di luci e di vitalità. Ci vado ogni anno da circa sei anni e ho imparato a conoscerla molto bene. Ho conosciuto tanta gente lì, di culture ed etnie diverse, che ha influenzato il mio modo di pensare e le mie prospettive. Anche se la scena clubbing non è particolarmente fervida come a Berlino, ci sono dei party che si contraddistinguono e dove suono sistematicamente, come Industries Of Machines e Sheik’n’Beik.

“Heaven Inside Your Frequencies” è un album diverso dal precedente, al netto dell’aspetto concettuale di partenza. E’ suddiviso in due parti, ed è intrinsecamente legato al tuo primo saggio, che riprende lo stesso titolo e riguarda il potere delle frequenze in vari ambiti, teoretici e pratici. Nel disco c’è una connessione netta tra musica e natura. Personalmente, la trovo ben riuscita e oltremodo stimolante. Potresti parlarci di questa particolare sinergia? Potresti spiegarci maggiormente cosa significa per te l’interazione con l'utente del club ai fini di un approfondimento dei benefici del suono e delle frequenze? 
Come ho detto in precedenza la musica o il suono in generale ha il potere di ampliare comunicazione, relazione ed empatia tra le persone e di trasmettere un messaggio in maniera più potente di qualsiasi altro mezzo. Questo avviene perché noi esseri umani siamo fatti del 90% di liquido e quindi le vibrazioni che ci attraversano ci scuotono profondamente. Ora, immaginate tutti gli stimoli a cui siamo sottoposti durante un party in un club. Se i parametri con i quali viene suonata la musica (e quindi altezza, ritmo, intensità, tonalità, dinamica, volume ecc.) sono affidati in mano al primo "selecta" di turno, il messaggio che verrà trasmesso agli utenti sarà il risultato di una combinazione di fattori casuali. Ma se chi suona conosce la musica e la seleziona in base ai parametri elencati sopra, il pubblico può riuscire ad entrare in empatia con il performer (che attraverso il linguaggio del corpo può contribuire ad accentuare questo processo di rispecchiamento) e rispecchiarsi nel suo viaggio e provare delle emozioni molto intense.

Nel saggio affronti anche la fruizione del suono nell’attuale era digitale, e anche le teorie e le tecniche di applicazione primordiali, attuate dai primi teorici del genere. Potresti brevemente spiegarci cosa intendi per tutto questo e da dove nasce la tua esigenza di porre in auge questo tema così complesso eppure così tremendamente attuale?
L’esigenza di mettere a confronto la fruizione del suono nell’attuale era digitale rispetto all’applicazione primordiale nasce dalla volontà di mettere in risalto come i nostri antenati ponevano molta più attenzione al potere comunicativo e benefico del suono rispetto ad oggi, nonostante avessero l’1% delle possibilità che abbiamo noi oggi. Il problema dei nostri giorni è che c’è una saturazione assoluta, in quanto possiamo ascoltare musica ovunque e in qualsiasi momento: nelle radio che diffondono migliaia di canzoni, nelle televisioni, sia quelle musicali sia quelle tradizionali, dove videoclip ed esibizioni non mancano mai, nella pubblicità, dove è diventata spesso dominante. E poi nei supermercati, negli ascensori, nei negozi, nelle automobili, creando una sorta di colonna sonora costante, che spesso diventa irriconoscibile melassa, ritmo senza senso, rumore di fondo; per questo motivo la gente non presta più la dovuta attenzione all’ascolto. Invece, con la tecnologia che abbiamo noi oggi a disposizione, ritengo che sia molto riduttivo utilizzare la musica a livello così inflazionato e senza prestare attenzione a selezionarla in base a specifici parametri. Negli ultimi anni fortunatamente questa tendenza sta cambiando e sono nate diverse realtà che utilizzano suoni e musica con criterio in ambito terapeutico ma anche nel settore comunicativo.

La Puglia comincia seriamente a partorire un’interessante scena elettronica tutta sua, composta da tanti bravi producer spesso inopportunamente nascosti nel sottobosco techno nostrano o costretti a evadere nelle diverse capitali europee con lo scopo di raggiungere una maggiore considerazione. E’ una situazione complessa ma che sta cominciando a risolversi, e l’appoggio di rassegne fantastiche come Velvet mi sembra uno dei migliori punti di partenza, e modi, per risollevare la faccenda o quantomeno diffondere luce nel territorio. Qual è la tua personale opinione su questa piccola grande sfida?
Credo che come hai detto tu la scena elettronica pugliese sia piena di grandi talenti. Il problema è la frammentazione. Guardando realtà come Detroit o Berlino, il fattore vincente che ha fatto riconoscere la loro scena a livello globale è stata l’unione e la collaborazione verso la definizione di un unico suono originale e tipico di quella realtà. C’è bisogno quindi di unirci e collaborare il più possibile tra di noi e sicuramente l’appoggio di rassegne come Velvet contribuisce a creare punti di incontro e delle conseguenti collaborazioni, valorizzando inoltre gli artisti locali che meritano di esprimersi.

Quali sono i tuoi programmi per il futuro? Chi, tra le tante nuovissime leve che conosci e segui, senti di consigliare al grande pubblico? 
Nei prossimi mesi continuerò a presentare il mio album in giro, dopo Berlino e Lecce andrò a Milano, Roma, Bologna e New York. Nel frattempo continuo il mio lavoro di musicoterapeuta e di label owner preparandomi per le prossime uscite. Visto che stavamo parlando della scena pugliese, ti faccio qui i nomi degli artisti che stimo e che bisognerebbe tenere d’occhio per la loro qualità musicale: Distant Echoes, Buck e la Substrato Records, Kaelan aka 2030, Haiku, Hydergine, 3kz, Z.I.P.P.O, Alfredo Mazzilli, Dona aka Dj Plant Texture, Marcello Napoletano, Robert Crash, Dan Mela e Okee Ru. Oltre ai nomi della scena pugliese, vi suggerirei di tenere d’occhio i Mørk, ovvero Francesco Devincenti ed Emanuele Pertoldi. Sono davvero in gamba e hanno un sound davvero personale – il primo album di Pregnant Void, sub label di Out-ER, è siglato da loro. 

Discografia

Heaven Inside Your Frequencies(Out-ER, 2017)7,5
Detachment (Sheik 'N' Beik, 2016)7
Pietra miliare
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