Stuart A. Staples

L'abbandono e le sue canzoni

intervista di Magda Di Genova

Incontriamo Stuart Ashton Staples all'indomani dell'uscita del suo secondo disco da solista, "Leaving Songs"...

Ho avuto un’impressione piuttosto cupa leggendo la press release di "Leaving Songs". Sembra quasi che non ti sia divertito molto a lavorare su questo disco.
...In realtà mi sono divertito... probabilmente mi aspettavo un disco “più semplice” di quello che, poi, ne è venuto fuori. All’inizio le canzoni erano tutte molto più scarne e volevo da loro qualcosa “di più”. Quando ho cominciato a lavorarci, è diventato tutto... non “più complicato”... semplicemente chiedevo di più ad ogni canzone e ho aggiunto molti arrangiamenti.
Quindi, da qualcosa di “molto semplice”, mi sono ritrovato inaspettatamente con qualcosa di “molto complicato”.
È per questo che hai cominciato a lavorarci a Nashville e poi sei tornato a Londra?
Sì. Ho cominciato a lavorare sulle canzoni con alcuni musicisti che mi piacciono molto quando ero a Nashville e pensavo di registrare lì perché sentivo un’urgenza di incidere con questi musicisti queste canzoni e pensavo che ne venisse fuori un disco immediato, ma quando sono tornato a Londra mi sono reso conto che quello che avevo inciso - la voce, le chitarre, la batteria - erano solo le basi del disco e che sentivo che ognuna delle canzoni dovesse dare di più, quindi mi sono messo a lavorare e cercare di capire quale forma dare al disco.
Perché volevi registrare questo disco a Nashville e non nel tuo studio in Inghilterra? Sarebbe stato più “comodo”.
Ho passato almeno un anno in studio per alcune “Lucky Dog Recordings” e avevo bisogno di allontanarmi, di viaggiare un po’ e Mark Nevers (che ha registrato le voci nel disco) mi ha sempre incoraggiato ad andare lì, me lo ero ripromesso per anni e mi ero reso conto che questa era l’occasione adatta.

Per "Leaving Songs" hai lavorato con tantissimi musicisti. Come sei arrivato a voler tanta gente a lavorare insieme a te.
La verità è che tendo a lavorare con un gruppo di musicisti che conosco, che mi piacciono, con cui so di cosa parlare, dai quali so cosa aspettarmi, che so porteranno molta pazienza con me e che mi aiuteranno a raggiungere i traguardi che mi sono prefisso.
Quando leggo tanti nomi di musicisti in un disco, penso sempre che siano tutti gli amici che passano a fare un saluto veloce in studio e poi si ritrovano con uno strumento in mano.
In un certo senso è stato così. Penso che... invecchiando e vivendo in parti diverse d’Europa, tendo a incontrare tutte le persone che conosco anche quando lavoro, quindi è anche un modo per fare musica e divertirsi con gli amici.

Leaving Songs. Cosa o chi stai abbandonando?
Non ho intitolato il disco "Leaving Songs" fino a quando non era terminato: prima non c’era un titolo.
Ho scritto le canzoni velocemente ed era una cosa che non facevo da molto tempo. Avevo bisogno di comunicare e di capire alcune cose e, alla fine, mi sono reso conto di essere nel bel mezzo di un cambiamento. A volte arrivi a un momento, nella vita, in cui riesci a intravedere il futuro e accettarlo e andare avanti per quella via, o cercare di prendere altre decisioni e cambiare quello che ti aspetta.
Ecco, tutte le canzoni subiscono quella prospettiva, si trattava di capire quanto ero coraggioso nel prendere determinate decisioni.
Ora come ora, non sono sicuro verso cosa io stia andando in contro, sarà il tempo a dirlo.

Spero non ti dia fastidio che ti ponga delle domande a proposito dei Tindersticks .
Assolutamente! Prego.
Nella tradizione musicale inglese c’è sempre stata una forte componente orchestrale. Mi sembra che, con i Tindersticks, questa sia stata ri-elaborata nello spirito degli anni 90, mentre per la maggiore andavano suoni ben diversi, come il grunge o il britpop.
Andare contro-corrente è stata una scelta ponderata?

No. Ci siamo concentrati su quello che eravamo. Non ci siamo mai posti il problema su come dovessimo suonare: si procedeva per piccoli passi. Per il primo disco ascoltavamo le canzoni e ci dicevamo: “Ok, mettiamoci un sacco di violini”; per il secondo disco: “Ok, abbiamo bisogno di un’orchestra” e quando siamo arrivati a "Curtains" quello di registrare un disco che fosse più che orchestrato era diventato un sentimento naturale. Ricordo bene che registrare "Curtains" era un po’ come vivere un sogno.
Non si tratta di scelte, ma di maturazione.
Ultimamente stanno uscendo molto gruppi inglesi e tantissimi di loro ottengono un successo, secondo me, un po’ immotivato. Ti è mai capitato provare un po’ di rimpianto? Erano molte le canzoni dei Tindersticks che combinavano sperimentazione e orecchiabilità e che avevano tutte le qualità per diventare molto popolari.
No! (sorride) Ottieni quello che desideri!
No, non provo alcun rimpianto: non abbiamo mai cercato di essere tremendamente popolari. Il mainstream non fa per noi.
Conosco diverse persone che hanno raggiunto un successo considerevole e... è come accendere un fiammifero: all’inizio fa una fiamma potente, ma poi brucia tutto e si spegne.
Bisogna tenere sempre a fuoco tutto ciò di cui ci si deve guardare, altrimenti arrivi a un punto in cui, poi, non sai più cosa devi fare.
Personalmente, sono molto più interessato a raggiungere un suono sempre più maturo.

I Tindersticks hanno lavorato diverse volte con la regista francese Claire Denis. Pensi che lavorare sui suoi film abbia influenzato in qualche modo il vostro percorso musicale?
Assolutamente sì!
La prima volta che abbiamo lavorato insieme a lei ha cambiato totalmente il mio approccio su come si lavora su un disco e lo ha fatto in un modo che solo questo tipo di collaborazione poteva fare. Sai, non si tratta più di una storia astratta, ma di un tipo di storia che ha un inizio, una fine e un determinato cammino, dove ogni passo porta a un altro passo. Non si tratta mai di una “sequenza di canzoni”.
Come avete lavorato alle varie colonne sonore?
Cominci ad avere un “tessuto” su quello che devi fare nel momento in cui ricevi la sceneggiatura ed è un sentimento immediato quello che provi che, però, non emerge fino a quando le melodie sono state completamente scritte.
Immagino che lavorare sulla colonna sonora di un film “crudo” come "Trouble Every Day" sia stato molto diverso dal lavorare alla colonna sonora di un film “leggero” come "Nenette et Boni".
Ho lavorato a tre film di Claire e per ognuno dei tre film c’erano un’idea e un approccio totalmente diversi.
Con "Nenette et Boni" ci siamo concentrati su di un tipo di musica molto “miscelata” per dare alla colonna un senso di allegria.
"Trouble Every Day" era molto più profondo, più intimista: c’è questo personaggio, nel film (un fantastico Vincent Gallo, ndr) che richiede degli arrangiamenti molto orchestrali. Abbiamo registrato tutta la colonna sonora in un solo giorno, abbiamo lavorato sugli arrangiamenti per un mese, poi abbiamo registrato con l’orchestra in un solo giorno. Sono state delle esperienze molto intense.
L’ultimo film di Claire su cui ho lavorato da solista, "The Intruder", era un film ancora diverso perché non ha dato l’idea di una melodia... quindi l’idea della melodia in sé doveva essere completamente abbandonata e sono state usate delle serie di loop e tempi in levare.
Sicuramente tre esperienze molto diverse tra loro.
Mi sembra di capire che occuparti di colonne sonore ti sia piaciuto e questo mi porta a pensare che lo rifarai presto.
Mi è capitato di lavorare su alcune colonne sonore nell’ultimo paio d’anni insieme a Dick, quindi, al momento, non mi sento molto motivato in questo senso: in questo periodo sono molto più motivato dalle mie idee. Sai, lavorare con Claire ti spinge a enfatizzare le idee e lo spirito di collaborazione e ora mi sento molto libero, libero di prendere decisioni e di essere parte di un processo. Per come funziona una colonna sonora, in questo momento non sono molto interessato a comporne una nuova. Se una proposta mi capitasse in questo periodo, potrei valutare l’idea se la trovassi veramente interessante, ma, a freddo, ho voglia di avere idee mie e lavorarci su, senza interferenze. Non mi interessa ora lavorare su un nuovo film.
Come hai lavorato, invece, su "4:48 Psychosis"? (Brano ispirato all’omonimo testo teatrale dell’autrice inglese Sarah Kane)
A dire il vero, è stata la prima volta che abbia prodotto qualcosa e non mi è piaciuto: c’era molta teatralità.
Quando ho letto per la prima volta il dramma, mi ha coinvolto moltissimo e volevo che il disco (Waiting For The Moon dei Tindersticks) procurasse nell’ascoltatore le stesse emozioni, lo stesso senso di oblio.
Sono convinto che tutto il disco sia stato influenzato da "4:48 Psychosis".
Non ne ero consapevole all’epoca, ma, pensandoci ora, lo percepisco molto bene. Forse adesso me la prendo un po’ con me stesso, forse avrei dovuto essere un po’ più... egoista e scrivere qualcosa che fosse un po’ più vero, un più completo.

Presto verrà pubblicato "Songs for the Young at Heart"? Mi illustri il progetto?
In realtà è un progetto messo in piedi da David (Boutler dei Tindersticks) nel quale sono stato coinvolto.
Si tratta di una raccolta di canzoni che risalgono alla nostra infanzia. Si tratta di un disco incentrato sulla perdita dell’infanzia.
Ci sono diversi cantanti che collaborano, artisti che abbiamo scelto e chiesto di cantare determinati brani. Ci sono Jarvis Cocker, Kurt Wagner, Cerys Matthews, Stuart Murdoch dei Belle & Sebastian ... Hanno tutti cantato dei brani che hanno a che fare con la nostra personale perdita dell’infanzia.
Ti sei divertito?
Mi sono divertito molto a prendere parte di questo progetto, a lavorare su questo disco e a cantarci. Per me è stata un’esperienza molto importante.

Ok, ci siamo, è il momento della domanda bastarda. (Stuart sorride divertito)
Mi sento molto motivata a porla perché un paio di giorni fa sono stata ad un concerto di Hugo Race e settimana scorsa ho intervistato Barry Adamson e trovo assurdo che loro, pur avendo lasciato i Bad Seeds tra il 1985 e il 1986, vengano tuttora presentatati come “ex membri dei Bad Seeds”...
Pensi che tra qualche anno qualcuno continuerà a presentarti come “l’ex cantante dei Tindersticks”?

(mentre ponevo la domanda abbiamo perso alcuni minuti a parlare di Barry Adamson nei Magazine e nei Visage, ma riportare le nostre considerazioni non mi sembra rilevante per questa intervista)
...Penso che serva a descrivere come il tuo lavoro sia nato e da dove arrivi...
Sai, devi anche considerare che c’è sempre la possibilità che l’anno prossimo esca un disco dei Tindersticks
Ho gli occhi talmente spalancati e un’espressione così sorpresa che Stuart tiene a precisare il concetto.
Ho detto che potrebbe anche darsi: la possibilità è remota, c’è, ma è remota. Tutto dipende da come si evolvono tante situazioni.
In effetti, il bisogno che avevo di produrre qualcosa al di fuori del gruppo è dipeso proprio dal fatto che, con i Tindersticks, pensavo di non riuscire a dare il meglio di me stesso. Ma questo potrebbe anche cambiare.

A questo punto cominciano i saluti. Fortunatamente spegnere il registratore è sempre l’ultima cosa che faccio...

Sai, ricordo molto bene la prima volta che ho sentito una canzone dei Tindersticks: vi ho visti suonare dal vivo in televisione... (Stuart sorride ancora, sempre più divertito)... mi ero appena trasferita a Londra...
Ah, eri a Londra. Pensavo avessi visto quella cosa assurda a Milano...
Avete suonato dal vivo in televisione a Milano? Davvero?
Sì, era un’apparizione televisiva... Ci hanno portati in questo studio, poi siamo andati nei camerini ed eravamo convintissimi che fosse un’apparizione stile Mtv, sai, entrare in scena e suonare qualcuna delle nostre canzoni, ma quando siamo entrati in scena... c’erano... abbiamo scoperto che si trattava di un programma per bambini: c’era questo centinaio di bambini seduti su dei gradini e per terra, tutto intorno a palco e noi ci dovevamo sedere in mezzo a loro per suonare al nostra canzone. È stata un’esperienza così surreale!

(Milano, 26 novembre 2006)

Discografia

Lucky Dog Recordings (Beggars Banquet, 2005)6,5
Leaving Songs (Beggars Banquet, 2006)7
Songs For The Young At Heart (with Dave Boulder, V2, 2007)6
Pietra miliare
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