Yasmine Hamdan

Con il cuore a Beirut

intervista di Giuliano Delli Paoli

Yasmine Hamdan è tra le più importanti musiciste libanesi degli ultimi vent’anni. Ha esordito nel lontano 1999 nel duo Soap Kills in compagnia dell’omonimo amico Zeid Hamdan, dando vita a una serie di album fondamentali per l’evoluzione della musica pop araba. L’ingresso di soluzioni elettroniche vicine al trip-hop, unite al legame intrinseco con la tradizione mediorientale ha caratterizzato gran parte della sua prima carriera, fino allo scioglimento del duo e all’esperienza nel progetto Y.A.S. assieme al produttore franco afghano Mirwais, già all’attivo con star del calibro di Madonna. Nel 2013, la cantautrice ha finalmente deciso di mettersi in proprio, pubblicando il bellissimo esordio solista “Ya Nass”, in collaborazione con Marc Collin del duo francese Nouvelle Vague. A renderla poi nota anche nel Vecchio Continente, è il cameo nel film di Jim Jarmusch “Solo gli amanti sopravvivono”, nel quale Yasmine si esibisce in un locale di Tangeri con la suadente “Hal” contenuta, per l’appunto, nel suo primo Lp. Dopo aver girato il mondo in compagnia del marito, l’illustre regista palestinese Elia Suleiman, Yasmine Hamdan ha trovato la propria dimora a Parigi e ha da poco pubblicato anche il suo secondo album, “Al Jamilat”. L’abbiamo raggiunta in vista della sua lunga tournée, per farci raccontare un po' della sua lunga storia e dei suoi progetti.

Sono trascorsi quattro anni dal tuo ultimo album, "Ya Nass". Come hai passato questo tempo, quanto e in cosa ti senti cambiata?
Sono sempre molto impegnata con la musica, la promozione dell'album, la lunga tournée e tanti altri progetti che mi catturano continuamente. Quasi non riesco ad accorgermi degli anni che sono passati. Potrebbero essere due, tre, quattro. La mia mente non si sofferma molto su questo. Sono continuamente sorpresa dall'evolversi della vita, delle cose. Ho camminato, viaggiato, lavorato molto, adesso invece sono molto impegnata nella promozione di "Al Jamilat" e ho davvero poco tempo per lavorare. Quando devo comporre musica, ho bisogno di rilassarmi, e di tanta solitudine. Ho iniziato a lavorare a questo nuovo album nel 2015. E sono stati due anni vissuti alla continua ricerca di nuove canzoni, nuove cose da esplorare. Avrei potuto realizzarlo lo scorso anno perché a settembre era già pronto, ma ho avuto bisogno di altro tempo per metterlo a punto, perfezionarlo e mettere tutto assieme. E così è uscito nel 2017. Per la creazione di questo disco mi ha influenzato tantissimo l’esperienza acquisita nella passata tournée, aver suonato e collaborato con tanti musicisti. E’ tutto molto più accurato, preciso. Ed era quello che cercavo per questa nuova avventura.

La tua musica è un mix di tradizione araba e sonorità moderne. Ad esempio, in "Al Jamilat" troviamo brani come “Choubi” e “Ta3ala” in cui sento molto questa fusione. Come nascono queste due canzoni?
Sono molto influenzata dalla musica araba, e dalla musica elettronica in generale; quando ho iniziato a lavorare per questo disco, ho fatto una profonda ricerca; per “Choubi”, ad esempio, ho lasciato decantare questo groove che avevo nella testa ispirato a sonorità e tendenze proprie degli anni Ottanta, ed è una delle poche canzoni che ho ritoccato diverse volte in studio assieme alla band. Ci sono state molte trasformazioni prima della stesura definitiva. “Ta3Ala”, invece, ha un groove kuwaitiano. Io amo la musica del Kuwait e ho vissuto per diverso tempo in Kuwait. Poi ho chiesto un parere a un mio amico compositore messicano, che mi ha aiutato ad assemblare il tutto e a renderlo moderno. Ho cominciato quindi a lavorare intorno al groove che si era formato, arricchendolo di elementi folcloristici, mescolandoli a loro volta in un nuovo ambiente.

Luke Smith, Leo Abrahams, Shahzad Ismaily, Steve Shelley: nomi importanti che hanno contribuito ad "Al Jamilat". Potresti raccontarci del tuo rapporto con loro e in che modo hanno contribuito al disco?
Ogni musicista che ha collaborato a questo disco è parte integrante del contesto, del processo. Ho avuto la fortuna di avere accanto a me musicisti di grande spessore, ciascuno dotato di grande personalità. Avevo undici demo, ai quali poi aggiungere di volta in volta nuovi elementi, e ognuno di loro mi ha fornito in qualche modo del materiale prezioso, degli spunti che poi ho inserito nell’album, che tra l'altro ho registrato per la prima volta a New York; poi sono tornata a Parigi e ho iniziato a modificare le varie parti avendo tra le mani tanto nuovo materiale con cui lavorare. Ogni musicista è stato importante, ciascuno con la propria particolarità, con il proprio tratto distintivo. Tutti hanno reinterpretato meravigliosamente la musica che ho proposto.

Cosa conservi dell'esperienza musicale e artistica avuta con Zeid Hamdan e Mirwais?
Sono una persona fortunata. In ogni mio progetto ho sempre lavorato con persone fantastiche. Soap Kills ha rappresentato l’inizio di questa mia avventura. E’ da lì che ho capito di voler fare musica. E’ stata una rivelazione, ciò che ha aperto il mio cuore e la mia mente alla musica. Con Mirwais, invece, è stato completamente diverso, perché provenivo da un contesto più underground, mentre lui ha lavorato con musicisti famosi del calibro di Madonna. Certo, lui è un produttore eccezionale, vicino all’universo delle major, all’electro-pop, e ha contribuito a sciogliermi, a mettere in risalto me stessa, ciò che voglio. E così oggi sono arrivata alla Crammed, label indipendente molto attenta a tante differenti sonorità provenienti dal mondo, ed è stato come arrivare a casa, e questo è molto importante perché mi aiuta a crescere come artista e al contempo fa crescere anche il mio progetto. Ciò è accaduto da “Ya Nass” in poi e anche l’esperienza con Jarmusch sono stati magnifici e importanti. Mentre con “Al Jamilat” ho perfezionato ulteriormente la mia ricerca, rendendola più completa, traendo spunto dai molti viaggi che ho fatto in questi anni, inserendo svariati musicisti nel progetto. Solitamente non ho nulla di precostituito tra le mani. Mi lascio semplicemente trasportare dalle sensazioni che vivo in un preciso momento, e lascio che siano esse a condurmi verso nuovi territori. E in pratica è quello che è successo con “Al Jamilat”.

Al Jamilat è costruito intorno a una poesia del poeta Mahmoud Darwich. Puoi raccontarci di questa particolare ispirazione?
E’ un poema bellissimo, pieno di metafore. E’ una celebrazione della femminilità, della bellezza, ma anche della sua imperfezione. Ciò che volevo fare in questo disco è anche celebrare la femminilità, la forza delle donne. E mi sento davvero molto orgogliosa di questo. Viviamo in un mondo difficile, che ha bisogno tantissimo delle donne, in ogni settore della vita. In sostanza, mi sono sentita di complimentarmi con quello che fanno le donne, con la loro forza. E’ qualcosa che volevo fare. E che finalmente ho fatto.

Nella tua vita hai girato moltissime città, visto e conosciuto popoli e luoghi differenti. Hai avuto modo di interagire con diverse culture. Vedendo quello che accade oggi nel mondo, con il dramma delle guerre e dei rifugiati in fuga, sembra che i paesi europei abbiano smarrito la loro coscienza. Cresce soltanto la contaminazione da web, tramite social, fatta di finzione e illusione. Cosa pensi di questa situazione?
Io penso che questa sia una situazione globale, non soltanto europea. Spesso penso che viviamo tutti come dentro una palla da ping pong. La questione per me è che viviamo in un mondo estremamente stressante, in cui tutto è portato all’eccesso: troppo consumismo, troppa concorrenza, si vive solo per guadagnare sempre di più e consumare sempre di più. Non c’è più tempo per riflettere sulla realtà. Non c’è più quiete. Occorrerebbe risalire su livelli più esistenziali e filosofici, piuttosto che restare soltanto su piani economici e politici. Ultimamente poi le persone si lasciano trasportare troppo in fretta dalle tante informazioni che arrivano, e così si alimentano discorsi populisti. Ci sono molti leader politici che sfruttano la tensione tra i popoli, la paura, la discordanza tra i vari gruppi. Ed è questa la tendenza di oggi. E sono stufa di questo. Vorrei che le persone fossero più consapevoli di quello che sta accadendo realmente e iniziassero a porsi contro questa deriva.

Sei un'attrice, tuo marito è un grande regista, hai lavorato con Jarmusch. Che rapporto hai con la recitazione? Quando è nata questa passione?
Non mi sento un’attrice. Sono più una compositrice, una musicista e una cantante. Ho collaborato molto nel cinema e nel teatro, ma soltanto sotto l’aspetto musicale. Ho fatto delle piccole apparizioni, certo. E ho avuto il privilegio di apparire diverse volte in alcune pellicole, ma la mia inclinazione è ben altra, anche se nei video musicali cerco di non lasciarmi influenzare molto dalla camera da presa. La recitazione è molto difficile ed è qualcosa che mi appartiene poco. In musica è diverso. Pur svariando stilisticamente, resto sempre io.

Sei mai stata in Italia? Cosa pensi di questo paese? Che legame hai con esso?
Amo l’Italia, tuttavia non sono ancora riuscita a esibirmi nel vostro paese. Credo sia una delle nazioni più belle in assoluto. E’ un paese ricco di meravigliosi paesaggi, estremamente sofisticato ma allo stesso tempo molto aperto alle altre culture, un posto affascinante e caldo. Amo il cibo italiano, anche se devo stare sempre molto attenta al glutine. E per me questo è davvero un grosso problema, un vero dramma. Amo molto il cinema italiano, ho molti amici italiani ed è sempre un piacere incontrarli anche qui, a Parigi.

Come definiresti il Libano di oggi e cosa sogni per il tuo paese? Quanto ti manca Beirut?
Certo, mi manca Beirut. Ci torno spesso. Ho la mia famiglia lì, i miei amici. E’ il posto che porto nel mio cuore ovunque vada. Sono sempre molto felice di tornarci e rivedere i miei parenti, le mie vecchie amicizie. Lì puoi incontrare davvero le persone più genuine. C’è un clima fantastico, del cibo meraviglioso. Anche se ogni volta trovo parecchi problemi, parecchie disfunzioni sociali, e sono molto arrabbiata per la situazione politica e per il modo in cui la corruzione ha attecchito nella società. Ci sono troppe parti in gioco e c’è troppa divisione. E spero che le persone comincino a non accettare più tutto questo. Per me è sempre estremamente difficile parlare della mia terra e dei problemi che l’attanagliano. Lì c’è la mia vita, la mia famiglia. E c’è un equilibrio precario molto pericoloso che mi preoccupa sempre moltissimo.

In un’intervista per Musique ti sei definita come una donna che sa dove vuole andare, lasciando spazio per l'imprevisto. Viene da chiedermi: cosa dobbiamo aspettarci in futuro da Yasmine Hamdan? E cosa si aspetta Yasmine dal futuro?
Non è tanto cosa voglio, ma cosa mi aspetto. C’è una differenza sostanziale tra quello che ti aspetti e quello che invece vuoi, ciò in cui speri. Spero che la mia musica arrivi sempre a più persone, perché credo che con la musica si possano superare le barriere, le distanze. La musica è quel posto in cui le persone possono comunicare e incontrarsi. Io odio le barriere. E lotterò sempre affinché sia libera di esprimere me stessa senza alcuna catena. E lotterò sempre per cantare in arabo. Il linguaggio non è una barriera, bensì uno strumento per comunicare le emozioni e una determinata proposta artistica. Interagire poi con tante persone diverse, aprirsi a tanti altri mondi non può che arricchirci. Ciò che vorrei fare è continuare a dar vita a nuovi progetti. Amo ciò che faccio anche perché mi consente di viaggiare molto e di conseguenza di contaminarmi con il mondo. Interagire è importante. La contaminazione culturale è qualcosa di meraviglioso.

Discografia

Ya Nass(Crammed, 2012)7
Al Jamilat(Crammed, 2017)7.5
Pietra miliare
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