Bachi da Pietra

Bachi da Pietra

Blues scarnificato dal sottosuolo

Ci sono molte strade per uscire fuori dagli anni Novanta. Giovanni Succi e Bruno Dorella scelsero nel 2004 una via sotterranea, fatta di sangue e metallo, di larve e terra, di fossili e ruggine. Riviviamo il loro percorso, dal doloroso blues minimale degli esordi, alla collaborazione con i Massimo Volume, sino alle imprevedibili esplosioni stoner di "Quintale"

di Claudio Lancia

Ci sono molte strade percorribili per uscire fuori dagli anni Novanta e dai suoni indie che caratterizzarono la prima parte del nuovo millennio. Una coppia di straordinari musicisti italiani scelse nel 2004 una via sotterranea, un percorso fatto di sangue e metallo, di larve e terra, di fossili e ruggine.
Giovanni Succi (voce, chitarre e basso) proveniva dall’esperienza Madrigali Magri, il batterista Bruno Dorella si apprestava a diventare una colonna della scena alternativa nazionale, ex Wolfango, poi con Ronin ed in coppia con Stefania Pedretti negli sperimentalismi firmati OvO.
Insieme progettarono l’avventura Bachi da Pietra, condensando scarni aromi rock-blues in traiettorie noir e minimaliste.

Nel 2005 l’esordio Tornare nella terra venne registrato nella cripta della chiesa di Sant’Ippolito a Nizza Monferrato, utilizzando tecniche particolari, in grado di conferire alle scarne sonorità il giusto apporto di profondità e ruvidezza. La proposta era singolare e colpì l’attenzione: un blues metropolitano, lento, scuro, quasi narcolettico, sofferto, primordiale, a tratti inquietante, dove il duo si cimentava in un lavoro per sottrazione, affidandosi a suoni ridotti all’osso, immersi in litri di alcool, ed a parole spesso dure e maledette, sovente appena sussurrate.
Il drumming è essenziale, solo cassa, rullante e qualche utensile, la chitarra è quasi sempre lasciata in secondo piano, a disegnare uno scenario senza speranza, senza luce, senza vie d’uscita.Un tornare alla terra mesto e arido, con storie che scandagliano la psiche, in titoli che sanno di sabbia e caldo (“Verme”, “Zolle”, “Solare”), con accenni appena più canonicamente “rock” espressi in “Prostituisciti”, posta appena prima dell’epilogo “Stirpe confusa”.Un esordio con idee chiare e con un progetto ben preciso da perseguire, che segnò l’inizio del sodalizio con la Wallace Records di Mirko Spino.

Nel 2007 non si fece attendere troppo la conferma: Non io perfezionò gli istinti sperimentali annunciati dall’esordio di due anni prima. Insofferenza e depressione permeano anche questo secondo capitolo, malessere e dolore sono dentro ogni solco, per un disco che si mantiene su binari claustrofobici, dove lo spazio interno risulta devastato da inquietudini e turbamenti.
Un blues cubista e futuristico, martoriato e scarnificato, essenziale e catramoso, con dentro tutto il male di vivere del mondo raccolto in flash iperrealistici, dove il nichilismo è sempre pronto a trionfare. Suoni serrati, implosi, nei quali l'incedere lento è metafora di un calvario tanto doloroso quanto inevitabile. Squarci di sereno soltanto nella conclusiva “Ofelia” dove si inneggia comunque alla fine. Questa volta si tratta di una co-produzione fra Wallace Records e la milanese Die Schachtel.

Ma è nel 2008 che i Bachi da Pietra si affermano come realtà di riferimento nel panorama alternativo nazionale, cosa che avviene in corrispondenza con la pubblicazione di Tarlo terzo. Tutti sanno oramai cosa attendersi dalla band, che consolida la propria fama diventando un marchio di fabbrica riconoscibile ed apprezzato. L’incipit spetta alla melmosa “Servo”, monologo declamato che fissa subito il mood dell’intero lavoro. Le ritmiche transitano dallo slow core (con tanto di coda post rock) di “Seme nero” al samba scheletrico di “Mestiere che paghi per fare”, dalla folktronica nudità di “Per la scala del solaio” alla iper ritmata “I suoi brillanti anni Ottanta”, dall’inarticolato trip-hop politico ed antimilitarista di “F.B.D.” agli smorti accordi risonanti di “Andata”, fino al consueto blues scarnificato di “Lina” e “Lui verrà”, interpretata in chiave waitsiana.
Tarlo terzo consolida la fama del duo attraverso undici tracce cerebrali, tormentate, dall’incedere drammatico, tetro ed oscuro, sviluppate lentamente attraverso microvariazioni. Si nota un’evoluzione musicale che lascia per il momento intatta la scheletricità delle strutture. Con questo lavoro si chiude la trilogia iniziale dei Bachi da Pietra: è il momento di tirare una linea, e questa assume le sembianze di un inusuale disco dal vivo.

L’occasione si presenta grazie ad un progetto sperimentale ideato e proposto da Francesco Donadello dei Giardini di Mirò, riguardante la registrazione live di due inediti e di alcuni bachi mutanti: brani che, esecuzione dopo esecuzione, hanno assunto forme diverse rispetto alle versioni precedentemente pubblicate. Queste tracce di insetti, frutto di riprese sonore raccolte all'interno del Teatro Dimora l'Arboreto di Mondaino il 19 luglio 2009, saranno per sempre immortalate dentro Insect Tracks. Dalla registrazione analogica su nastro all’incisione del solco sul vinile per mezzo di un tornio meccanico, tutta la catena di produzione è realizzata con i più evoluti mezzi della tecnologia monofonica degli anni Cinquanta. Il risultato finale è composto anzitutto da un disco dal vivo formato 33 giri, canonicamente suddiviso in un Lato A (con le riprese avvenute durante il giorno, senza ospiti) e un Lato B (con le registrazioni serali, avvenute in presenza del pubblico).
Accanto al vinile c’è un Dvd realizzato sotto la minuziosa regia di Luigi Conte, il quale consente di avvicinarsi fisicamente al fosco ermetismo, a tratti inquietante, dei Bachi. Le immagini sono il riassunto della bella giornata trascorsa in teatro, con il resoconto di parte dell'esibizione, e tutto il procedimento di montaggio audio, avvenuto con sistemi assolutamente artigianali. L'andamento di Insect Tracks è claustrofobico, basso e batteria sono in primo piano, le dinamiche vanno dal piano al mezzoforte senza mai esplodere davvero, le sfumature restano sempre in rigoroso bianco e nero,  delineando un blues urbano che procede al rallentatore, un post rock cerebrale ed emotivo, il cui incedere lento è metafora di un calvario tanto doloroso quanto inevitabile.

Quasi in contemporanea arriva il quarto lavoro in studio dei Bachi: l’attesissimo Quarzo segna un primo importante passo verso soluzioni più piene, come ben rappresentato da brani come “Bignami” e “Dragamine”. Il blues urbano vira verso un primo step di normalizzazione, pur conservando un’aura fosca ed inquieta. La strumentale “Muta” è sublimazione del blues, “Morse” insinua chitarre vogliose di dissonanze, “Notte delle blatte” si pone greve e waitsiana, “Orologeria” ha un’andatura quasi jazzy, “Fine pena” è la conclusione meditativa e crepuscolare.
Quarzo perde la forte caratterizzazione della trilogia iniziale, ed in alcuni tratti tende inevitabilmente a ripetere soluzioni già percorse, mostrandosi pericolosamente monocorde, ma riesce nell’intento di richiamare l’attenzione su una maggiore fetta di pubblico, per via delle soluzioni lievemente più accomodanti. Resta comunque un lavoro apprezzabile, che consente ai Bachi di assurgere al ruolo di primi attori nella scena indipendente italiana, ma è chiaro che dopo cinque lavori emerga la necessità di inserire alcune variazioni sul tema.

La prima occasione è offerta da uno Split Ep condiviso con i Massimo Volume, pubblicato il 15 aprile 2011 per La Tempesta, nel quale ognuna delle due band rielabora un brano dei colleghi, ma soprattutto propone un prezioso inedito. Ovvio che il momento più atteso sia la nuova composizione dei Massimo Volume, da poco rientrati in pista con l’ottimo “Cattive Abitudini”: “Un altro domani” è l’ennesima sublime proposta di Clementi e soci, che poi rileggono “Morse”, ingentilendola con il proprio personale approccio.
I Bachi da Pietra optano per un percorso difficile ma appagante: prima scarnificano e scartavetrano senza demeritare l’intoccabile instant classicLitio”, poi propongono la traccia più sorprendente dell’Ep, una “Stige 11” inaspettatamente abrasiva, che lascia presagire nuove coordinate sonore per il duo. Mai si erano ascoltati dei Bachi così aggressivi e diretti, ed a meno di due anni di distanza arriveranno conferme altrettanto inaspettate.

A metà gennaio 2013 arriva il quinto album in studio, in grado di segnare una svolta epocale nel sound della band. Quintale suona come un tuono impetuoso, disegnando scenari di inedita e tumultuosa elettricità. Quintale (il titolo non è certo frutto del caso) è il disco più pesante mai realizzato dai Bachi da Pietra, quello che li sdogana dal minimalismo inquietante dei primi lavori, proponendoli come attori più canonicamente rock, grazie ad una forza e ad un impatto sonoro fin qui inimmaginabili. Suoni possenti e granitici caratterizzano praticamente tutte le tracce, a partire dalla forza stoner della sequenza da knock out “Paolo il tarlo” / “Sangue”, e dall’incedere metal di “Coleotttero”. Ma la cosa ancor più sconvolgente è la presenza di un paio di soluzioni inaspettatamente orecchiabili, come “Fessura” e soprattutto “Dio del suolo”, straordinaria ballata cristallina, di quelle che possono valere una carriera, e che in un mondo perfetto non sfigurerebbero nelle heavy rotation dei maggiori network. Per non parlare dell’ingegnosa “Enigma”, candidata al ruolo di nuovo inno della scena indipendente nazionale. Solo nella versione digitale è stata inclusa “Baratto”, simpatica (ed in parte amara) rivendicazione del giusto compenso per chi decide di fare della musica la propria attività prevalente.
I sostenitori di lungo corso dei Bachi da Pietra potrebbero avere da ridire sulla svolta “rock” di Succi e Dorella, soprattutto per le presenza di qualche episodio più furbetto, qualcuno li accuserà di normalizzazione,  di certo è innegabile come con Quintale si presentino meno singolari e meno caratterizzati rispetto al passato. Ma il nuovo progetto appare senz’altro maturo, ben indirizzato e completamente a fuoco, con la produzione dell’esperto Giulio “Ragno” Favero, che si diletta anche alla chitarra in un paio di situazioni. Altro gradito ospite è il sax di Arrington de Dionysio degli Old Time Relijun, che arricchisce ulteriormente di suoni un lavoro tra i più riusciti di casa nostra del 2013.

Il 2013 si chiude con la pubblicazione dell’Ep Festivalbug, contenente due tracce provenienti dalle session di Quintale (“Tito Balestra” e “Maddalena”, in realtà piuttosto dissimili dal resto del materiale registrato), più “Baratto Resoconto Esatto”, una sorta di risposta a “Baratto”. L’Ep viene distribuito in free download, ma per chi volesse avere una copia fisica, esiste una limited edition in vinile serigrafato.

Un secondo Ep, Habemus Baco (Wallace, 2015), celebra il decennale d'attività del duo dando sfogo alle derive metal del predecessore, purtroppo rivelando anche intenzioni commercialotte. Si distingue comunque "Amiamo la guerra", dagli interessanti droni a uragano e una batteria tremebonda. Una cartolina del loro recente stile bombastico che mette nostalgia per i loro esordi sottovoce (vedi anche no. 47 "Dieci piccoli italiani").

A settembre 2015 grazie ad una collaborazione La Tempesta/Wallace/Tannen, esce Necroide, che completa la svolta metal del duo. Il doloroso blues minimale che caratterizzava gli esordi dei Bachi da Pietra è oramai soltanto un lontano ricordo: il duo è uscito dal sottosuolo, si è liberato di larve, terriccio, fossili e ruggine, ed ha acquisito una portentosa forza dirompente. Le traiettorie noir ed essenziali, il lavoro operato per sottrazione che si faceva narcolettico, lento, scuro, sofferto, primordiale, a tratti inquietante, diviene oggi una sarabanda metal infarcita di portentosi riff. Il sepolcro si schiude, non più solo insetti e vermi, ma carne viva, sudata, agitata, esaltata da un nuovo ritmo, impetuoso, tumultuoso, profondamente elettrico, una svolta più canonicamente rock che viene confermata in qusti solchi. E’ una “Danza macabra” tesa a schiudere i “Cofani funebri” e far resuscitare tutta la storia che finora era rimasta “Sepolta viva”. Oggi i Bachi da Pietra voltano pagina in maniera definitiva, suonando con vigore e gridando al mondo “Black Metal il mio folk”.
Assistiamo al consolidamento del processo evolutivo che ora partorisce titoli imprevisti come “Tarli mai” e persino divertenti e geniali come “Slayer & The Family Stone”. Succi è stupefacente nel passare da un registro vocale all’altro, muovendosi senza problemi fra un falsetto e uno scream, le chitarre macinano alla grande, il drumming è a dir poco granitico. La nuova veste funziona, magari le scelte sonore risultano più “già sentite” rispetto al malessere che trasudava dai primi dischi, decisamente più personali e particolari, ma è una trasmutazione necessaria, per evitare di ripetere sé stessi all’infinito, e confermarsi protagonisti musicalmente singolari all’interno del panorama indipendente italiano. Non tutti gradiranno, e non sempre il gain del distorsore può rivelarsi direttamente proporzionale alla qualità espressa, ma fra martelli pneumatici inarrestabili (“Fascite Necroide” e “Feccia rozza” sono metal sin nel midollo) e “ballad” di grandissimo valore aggiunto (“Virus del male”), Necroide saprà dare ancora tante soddisfazioni sia ai due protagonisti, sia ai fan che non possiamo non prevedere in costante crescita, a seguito della svolta decisamente più fruibile nel sound della band. E’ tutto un trionfo di riff rock anni 80 (“Voodooviking”), e nonostante qualche momento prescindibile (avremmo evitato quel vocoder su “Apocalinsect”, che vuole essere una sorta di esperimento soul metal), queste nuove undici tracce si impongono come altro significativo tassello all’interno di un percorso artistico che va facendosi sempre più “esplosivo”.

Mentre Bruno Dorella prosegue il proprio labirinto di collaborazioni, Giovanni Succi riesce a far decollare la propria carriera solista, che lo vede impegnato in una forma di cantautorato molto personale. Si impone all'attenzione del pubblico in particolare grazie a Con ghiaccio (2017) e Carne cruda a colazione (2019), entrambi editi da La Tempesta Dischi.
Nel 2020 Succi diviene anche autore principale e voce del progeto Apocalypse Lounge.

Visti i tempi, intitolare un nuovo album Reset (2021), accompagnando la scelta con altri indizi (passaggio all'etichetta Garrincha e l'innesto di Marcello Batelli – Non Voglio Che ClaraIl Teatro Degli Orrori – a “corde grosse e spippoli”, citando direttamente dalle informazione scritte dalla band) presupporrebbe un cambiamento significativo dal fronte Bachi da Pietra. Una realtà, quella dell'affiatato e sempre attivo duo Dorella – Succi (vedi i dischi solisti e attività in altri progetti paralleli) che pur rimanendo “legata alla terra” non ha disdegnato d'inserire negli anni alcune variazioni nell'intrigante percorso musicale. Dallo scarno ed etilico blues dei primi passi, allo stoner pesante un “Quintale”, fino a fare del black metal “Necroide” il proprio folk. Sempre nel nome del “rock n' roll”, ovviamente. Una fede rinnovata in “Reset”: non fatevi ingannare dal titolo da “Il rock è morto”: il messaggio all'interno è tutt'altro...

In Reset – dalla bella copertina medioevale, forse un lascito de “L'arte del selfie nel Medioevo” di Succi – l'incedere sonoro è meno greve, i suoni meno feroci. Ma ciò non toglie nulla alla carica e all'ispirazione, alla scrittura ironica e spietata di Succi. Nello zoo dei Bachi da Pietra gli insetti (presenti nel mantra finale di “Umani o quasi” e nelle sferragliate alla Queens Of The Stone Age di “Insect reset”) hanno imparato a convivere con qualche “Pesce veloce del Baltico”. Concepito “prima che il 2020 chiedesse il conto”, Reset è un'interessante riflessione sul ruolo del musicista, sulla sua attuale situazione. Un ragionamento in cui Succi inserisce i Bachi. Il processo ha il suo start con “Di che razza siamo noi” inaugurata dal “Chi vi credete che noi siamo / per le pietre che portiamo” (citazione/rivisitazione del verso di Battiato presente nel brano “Up Patriots To Arms”, a sua volta preso da “Come potete giudicar” dei Nomandi) e vede la conclusione con “Ciao Pubblico”, che ricorda “baratto@bachidapietra.com”, sarcastica traccia dell'edizione digitale di “Quintale”. Nel mezzo, il discorso si staglia nella liberatoria “Bestemmio l’universo” (“L’avrei fatto senza troppi casini, più commerciale più easy…”). Stimolante fare i conti con le novità: tra cui spicca “Meriterete”, la prima potenziale hit radiofonica del gruppo. I Bachi da Pietra, giunti al settimo disco, alleggeriscono l'involucro ma non toccano l'anima del progetto: non sembra esserci Reset capace di scalfirli.

Contributo di Alessio Belli per "Reset"


Bachi da Pietra

Discografia

Tornare nella terra (Wallace, 2005)

7

NonIo (Die Schachtel / Wallace, 2007)

7

Tarlo Terzo (Wallace, 2008)

6,5

Insect Tracks (Live, Boring Machines / Wallace, 2010)

6,5

Quarzo (Santeria / Wallace, 2010)

6,5

Massimo Volume / Bachi da Pietra (Ep, La Tempesta, 2011)

7,5

Quintale (La Tempesta, 2013)

8

Festivalbug (Ep, Corpoc, 2013)

6

Habemus Baco (Ep, Wallace, 2015)

5

Necroide (La Tempesta/Wallace/Tannen, 2015)

6,5

Reset(Garrincha, 2021)

7

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