Baustelle

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Adolescenze inquiete in provincia cronica

Dai racconti adolescenziali del "Sussidiario" alle imponenti orchestrazioni di "Fantasma" il trio toscano ha gradualmente complicato la propria proposta, per poi fare ritorno verso il synth-pop colorato nei due volumi de "L'amore e la violenza". Storia di un modern chansonnier e della band che da sempre lo accompagna

di Claudio Lancia e Veronica Rosi

Adolescenze inquiete

I Baustelle si formano a metà degli anni 90 nella zona di Montepulciano (Siena), come classica formazione di studenti universitari che condividono la passione per la musica. L'anima del gruppo, colui che scrive le canzoni nonché l'aspirante frontman, è Francesco Bianconi, talentuoso ragazzo toscano con la passione per i grandi compositori pop degli anni 60 (Burt Bacharach, Phil Spector, ma anche Serge Gainsbourg, George Brassens e Jacques Brel, per non parlare degli italiani Fabrizio De André, Piero Ciampi e Armando Trovajoli). Gli altri membri sono Rachele Bastreghi (tastiere e voce femminile), Fabrizio Massara (arrangiatore elettronico e tastierista), e Claudio Brasini (chitarra). La sezione ritmica muterà continuamente durante il percorso del gruppo.

Dopo i primo canonici Ep di diffusione carbonara, nel 2000 i Baustelle autoproducono assieme ad Amerigo Verardi il primo album, Sussidiario Illustrato Della Giovinezza, scritto da Bianconi e arrangiato insieme al resto della band. Come il titolo tradisce, si tratta di una sorta di concept che raccoglie canzoni espressive di un'adolescenza romantica, tormentata, spiritosa e tutta italiana. Da subito sono chiare le potenzialità del gruppo: il grande talento compositivo di Bianconi si esprime in ottime canzoni pop, capaci di essere coinvolgenti, aggressive e intensamente romantiche, sommandosi a una liricità incentrata su testi borghesi, visionari e bizzarri, densi di riferimenti e citazioni, e alla notevole interpretazione delle voci impostate di Bianconi e della Bastreghi.
I loro duetti piacciono così tanto che la fama dei Baustelle fa il giro del paese con il solo passaparola, e il "Sussidiario" (premiato come Miglior Debutto dell'anno dalla rivista Mucchio Selvaggio) diventa un disco di culto per una generazione che non si ritrova più nelle classifiche nazionali, ma cerca nella musica indipendente i nuovi miti. Il "Sussidiario" è un album incredibilmente fresco, ispirato, ricco tanto di idee geniali come "La Canzone Del Parco", "Cinecittà", o "Il Musichiere 99", quanto di potenziali singoli rockeggianti come "Le Vacanze dell'83", "Gomma" o "La Canzone del Riformatorio". Gli scarsi mezzi di produzione conferiscono un suono lo-fi, spolverato di elettronica retrò, la cui spontaneità fa letteralmente innamorare ascoltatori e critici, anche se i Baustelle rimangono per il momento un fenomeno esclusivamente underground.

Il successivo La Moda Del Lento arriva nel 2003, in un momento in cui il gruppo risulta slegato, complici difficoltà economiche e inquietudini per il futuro. I Baustelle riescono comunque a farsi produrre dalla Bmg un disco dall'artwork accattivante e dai suoni sintetici. Meno chitarre elettriche, più sottigliezze elettroniche e atmosfere cinematografiche retrò, fatte di moog e theremin, per un pop assai più raffinato, che Bianconi definisce come "un bel frullato di Kraftwerk, disco-music, Celentano, Blondie, Piero Ciampi e Trovajoli". Rispetto al "Sussidiario" il secondo atto della loro avventura appare meno spontaneo, ma più ricercato. La Moda Del Lento vanta pezzi ambiziosi, come "Beethoven o Chopin" e "Mademoiselle Boyfriend", senza peraltro rinunciare alle melodie catchy di "Arriva Lo Ye-Ye", "Rèclame" o "La Canzone di Alain Delon", che resteranno fra i punti di forza della formazione.
La Moda Del Lento va ricordato, oltre che per i testi di Bianconi, per i contributi compositivi di tutta la band, e per il gran lavoro sui suoni svolto da Massara in un disco che si permette persino lunghe parti strumentali, come nella sopraffina "Love Affair". Il chiaro intento dei Baustelle è quello di uscire dall'ambito indie prendendo a modello il pop melodico italiano più tradizionale, senza rinunciare a un suono che resta molto personale. Si conferma l’aspirazione di Bianconi per la perfezione classica, il suo amore per il classicismo e la smisurata passione per il cinema e la letteratura. Buono il riscontro da parte della critica, mentre il gruppo dimostra di sapersi evolvere, di non ripetersi e di avere enormi potenzialità. Il successo di massa resta ancora un miraggio.

Major e primi successi

Le cose cambiano quando a fare un'offerta a Bianconi e compagni è la Warner Records: forte di un budget che gli consente di produrre un disco come ha sempre desiderato, Bianconi registra La Malavita a Torino, servendosi di un'orchestra sinfonica e moderne tecnologie di mixaggio e filtraggio dei suoni. Il risultato è nulla di più lontano dal ruvido "Sussidiario", e il vecchio pubblico che sotto la doccia canticchia ancora "Le Vacanze dell'83" si ritrova con un disco maturo, serio, e soprattutto con un singolo che passa alla radio. I Baustelle si inseriscono nella tradizione melodica italiana con un pop chitarristico saturo, e iniziano a riscuotere i primi riscontri commerciali. Il prezzo è la dipartita di Massara, rimasto senz'altro in ombra in questo terzo lavoro, e forse anche di parte dei vecchi fan. Ma il marchio di qualità Baustelle non manca e il talento di Bianconi regala ottime canzoni come "I provinciali", "La guerra è finita" e "Un Romantico A Milano", che resteranno fra i loro classici più amati dal pubblico. Lontano dalla romantica naturalezza del Sussidiario e dalle sofisticatezze elettropop de La Moda Del Lento, La Malavita è, secondo Bianconi, il miglior disco dei Baustelle. Nonostante canzoni non sempre indimenticabili e una produzione che appesantisce molto gli arrangiamenti, sarà comunque considerato da alcuni un mezzo passo falso, del resto l'intera carriera dei Baustelle sarà sempre costellata da stuoli di dettrattori.

Nel febbraio 2008 esce, di nuovo per la Warner, Amen, che conferma il new deal dei Baustelle verso un pop d'autore, con arrangiamenti importanti e produzione elaborata. E' il disco che afferma la band definitivamente e ne rappresenta un altro tassello nel percorso di maturazione, al prezzo di perdere per strada un altro membro (il batterista Claudio Chiari), divenendo così un trio. Il livello compositivo è ancor più alto rispetto a La Malavita, e vi troviamo l'inconfondibile zampata art-pop-rock di Francesco Bianconi, con il singolo di successo "Charlie fa surf", ma anche la seconda voce Rachele Bastreghi che contribuisce con "L'areoplano" e "Dark Room", avvicinando ancor più i Baustelle alla tradizione melodica pop del belpaese. Nonostante i numerosi riempitivi e qualche momento da dimenticare ("L'uomo del secolo") il disco è movimentato, ricco di singoli accattivanti e potenziali candidati ad un ipotetico "best of" della band ("Baudelaire", "Antropophagus", "Colombo").
Amen amplia a dismisura la fama dei Baustelle, che si aggiudicano anche la Targa Tenco per il Miglior disco dell'anno. Nel frattempo sono in molti a riconoscere a Francesco Bianconi le doti di eccellente compositore, tanto che decide di scrivere la hit "Bruci la città" per Irene Grandi. In futuro metterà la penna su altri successi firmati per Paola Turci, Noemi, Anna Oxa, di nuovo Irene Grandi ("La cometa di Halley" sarà propostra sul palco di Sanremo nel 2010), Chiara (a Sanremo 2013 con "Il futuro che sarà"), Musica Nuda. 

Il desiderio di Bianconi di scrivere una colonna sonora si realizza con Giulia non esce la sera (2009) di Giuseppe Piccioni, pellicola drammatica con Valeria Golino e Valerio Mastrandrea. Si tratta di una colonna sonora principalmente strumentale, fatta di brevi movimenti per quartetto d'archi, sulla scia della moderna tendenza minimal-classicista.
Sbucano un paio di canzoni dei Baustelle, prestate da Amen, ed esce come singolo “Piangi Roma”, una ballata melodica eseguita dall'inedito duetto Francesco Bianconi - Valeria Golino. Sul testo decadente, nostalgico e vagamente felliniano di Bianconi, la Golino stupisce per l'interpretazione à-la Jane Birkin. Il brano si aggiudicherà il Nastro d'Argento come miglior canzone originale.

Fra misticismo e fantasmi: la maturità compositiva dei Baustelle

I mistici dell'Occidente
(2010), prodotto dall’irlandese Pat McCarthy e per la prima volta da Bianconi stesso, presenta un'orecchiabilità diversa rispetto al passato, in certi casi inconfutabilmente anglosassone, con arrangiamenti sempre più tesi all’internazionalismo e alla fruibilità per le masse. Un solenne organo fa da preludio a “L’indaco”, accorato incipit di memoria vagamente floydiana; un’ideale introduzione tematica a “San Francesco”, che irrompe con un riff distorto, seguito dall'immancabile sezione d’archi. E’ invece un arpeggio di chitarra in stile troubadour a sorreggere le strofe della title track, tratta da un saggio filosofico di Elémire Zolla. La rinnegazione della realtà come salvezza dal mondo civile, ridotto senza mezze misure a un “mucchio di coglioni”, è il paradigma centrale del ritornello orchestrato in pompa magna.
All’atmosfera bucolica de “Le rane”, amara riflessione sulla perdita dell’innocenza, segue il singolo di lancio “Gli spietati”: una melodia facile, pronta a entrare in testa per restarci. La tragica ballata “Follonica”, uno degli episodi più riusciti dell’album, dipinge un paesaggio degradato dell’Italia centrale, assieme allo squallore di un amore alla deriva. Superata la prima metà dell’Lp emergono pezzi più prevedibili (“La canzone della rivoluzione”) o privi di mordente (“Groupies”). Il timbro vocale di Bianconi si ispira apertamente a De André, al quale da tempo ha smesso di invidiare solamente il ciuffo, e raggiunge il massimo dell'intimità nelle liriche de “Il sottoscritto”. I mistici dell'Occidente rappresenta un altro tassello nel percorso di progressiva complicazione sia musicale che testuale del trio di Montepulciano.

A dicembre 2011, a seguito dello sblocco di certe beghe contrattuali, viene finalmente ristampato l'album d'esordio Sussidiario illustrato della giovinezza, da tempo introvabile. La ristampa appare in una duplice veste: la prima identica all'originale, la seconda in formato deluxe, in un cofanetto speciale iper curato, con tanto di illustrazioni firmate da Alessandro Baronciani. Per l'occasione viene allestito un fortunato tour celebrativo, incentrato sulle canzoni del "Sussidiario", e viene pubblicata una nuova versione di "Gomma", con relativo videoclip, che ottiene una buona programmazione radiofonica.
Due anni più tardi toccherà anche all'altro disco oramai introvabile dei Baustelle, La moda del lento, ritornare sugi scaffali, grazie ad una nuova tiratura finalmente autorizzata. 

La seconda parte del 2012 viene dedicata alla scrittura e alle registrazioni (parte eseguite a Montepulciano e parte in Polonia) del nuovo album della band, che a dicembre viene anticipato dal singolo "La morte (non esiste più)". L'attesissimo disco, pubblicato il 29 gennaio 2013, si intitola Fantasma e si presenta come il loro lavoro più ambizioso. Lo slancio di Bianconi verso una perfezione pop densa di classicismo raggiunge qui il suo apice. Un disco organizzato come un film, con tanto di titoli di testa e di coda, interpretabile al tempo stesso come la sua colonna sonora immaginaria, dal taglio profondamente sinfonico, densa di esoterismo, di sonorità spettrali, di citazioni letterarie e cinematografiche. Tutto è intriso di quel maledettismo figlio di Baudelaire e della “Spoon River Anthology” di Edgar Lee Masters, la percezione dei fantasmi come specchi riflettenti il nostro io, e la conclusione che spesso i più temibili spettri siamo proprio noi stessi. Ma non c’è soltanto scuro pessimismo cosmico, le argomentazioni sono grevi soltanto in apparenza: bastano pochi approfondimenti per comprendere quanto in queste liriche a trionfare siano la speranza, l’amore, la vita. Persino in “La morte (non esiste più)”, il prezioso instant classic che ha anticipato di qualche settimana la pubblicazione dell’album, il protagonista trova conforto in una visione pura, ultraterrena dell’amore, riuscendo così ad allontanare la paura di morire.
Nell’incipit del disco si richiama il tema scritto da Ennio Morricone per “L’uccello dalle piume di cristallo”, film di Dario Argento del 1970. Altrove vengono ripresi Gustav Mahler, Igor Stravinsky, molta musica e letteratura del Novecento, dando vita a intermezzi barocchi grazie all’apporto della Film Harmony Orchestra di Breslavia, registrata direttamente in Polonia, dove il passo è stato breve per riesumare la storia di Olivier Messiaen. “Il finale” è un omaggio al fantasma del celebre compositore francese: arrestato durante la seconda Guerra Mondiale ed internato presso il campo di Gorlitz, scrisse un tema per trio che gli fu consentito nel 1941 di eseguire nello spiazzale della prigione, in condizioni meteo proibitive e con strumenti di fortuna. Il trio di Montepulciano produce musica dal forte impatto emotivo, si nutre di immagini fantasmatiche tramutando in slanci poetici le situazioni più disparate, come nelle improvvise apparizioni di “Diorama”, una storia che riguarda fantasmi molto particolari: istanti fissati per sempre, momenti definitivamente immutabili, con i Baustelle che riescono a illuminare attraverso splendidi versi le cose perdute e ormai fossilizzate.

Il Cimitero Monumentale di Milano ispira invece “Monumentale”, uno dei momenti più intensi dell’album, dove l’algida e apparentemente distaccata Rachele Bastreghi prende il centro della scena: qui sono i fantasmi che animano le mute tombe di un cimitero a suggerire la storia, interferenze misteriose che ci collegano inevitabilmente al passato. I fantasmi possono essere celati nel nostro abisso interiore (“Cristina”, l’episodio più spumeggiante) oppure essere raffigurazioni di noi stessi in momenti che abbiamo vissuto nel passato (la toccante “Il futuro”, che racconta tutta la disillusione di chi si trova a vivere le conseguenze di scelte importanti). Da notare la ricerca sui titoli (“Nessun muore”, “Primo principio di estinzione”, “Secondo principio di estinzione”), incentrati sulla costruzione del saldissimo fil rouge che lega assieme l’intera tracklist. Non mancano riferimenti alla situazione politica contingente, espressi con un “non li voteremo più” cantato ne “L’estinzione della razza umana” o in un velato cenno a qualcuno (Berlusconi?) che appalta la Rai nel testo di “Nessuno”, e sferzate sulla società che ancora oggi non sempre accetta la diversità (“La natura”).
E ancora fantasmi di cari martoriati che ci perseguiteranno per sempre (“Contà l’inverni” nella quale Bianconi coglie l’occasione per cimentarsi con il dialetto romanesco), improvvisi risvegli ritmati (“Maya colpisce ancora”), riflessioni finali sulla ricerca del bene nell’orrore e dell’eterno nell’età (“Radioattività”). Le partiture orchestrali sono state scritte da Enrico Gabrielli, un musicista che già con i Calibro 35 persegue da anni un’operazione filologica sulle musiche da film, in quel caso i poliziotteschi degli anni Settanta. Il disco è stato registrato per gran parte nei saloni della Fortezza Medicea di Montepulciano e in altri luoghi della cittadina in provincia di Siena, paese d’origine della band. Un lavoro profondamente classico ma al tempo stesso avanguardistico, che impone in maniera definitiva i Baustelle come una delle band italiane più significative del nuovo millennio.

Fantasma è stato un disco importante, persino “ingombrante”, un lavoro che ha certificato la profondità, lo spessore della scrittura dei Baustelle, in grado di produrre un concept con un peso specifico d’altri tempi, una di quelle pietre angolari destinate a restare, dense di significati e riferimenti incrociati, come ben pochi saprebbero fare oggi.
Quel disco è stato portato per mesi in tour lungo la penisola, con a supporto un’intera orchestra diretta proprio da Enrico Gabrielli. Durante quei concerti, oltre ai brani di Fantasma, sono state riforgiate canzoni estratte dai dischi precedenti: alcune con il trascorrere degli anni hanno in parte modificato il proprio aspetto, sono proprio queste a creare l’ossatura della prima emissione dal vivo del gruppo di Montepulciano.

Da tre date tenute nella capitale fra il 2013 e il 2014 in tre contesti diversi (Auditorium Parco della Musica, ex Mattatoio di Testaccio, Auditorium Conciliazione), con tre supporti orchestrali diversi (orchestra sinfonica, sezione fiati, quartetto d’archi), è stata estrapolata e assemblata la scaletta di Roma Live!, pubblicato a novembre 2015, che da Fantasma lascia emergere soltanto “Nessuno”, per lasciar volutamente spazio al resto della discografia. Quattordici tracce in tutto, con precedenza alle proposte più datate (anche da I mistici dell’occidente un solo brano), che se da una parte hanno il pregio di farci tornare ad assaporare un altro tipo di Baustelle, dall’altra non sempre riescono ad imporsi come le scelte migliori possibili.
Due le cover inserite: “Signora ricca di una certa età” e ”Col tempo”, entrambe ben innestate nel contesto del “Fantasma” live, un concept incentrato sul trascorrere inesorabile del tempo. La prima è la trasposizione di “A Lady Of A Certain Age” dei Divine Comedy, la seconda è la versione nella nostra lingua di “Avec le temps” di Leo Ferrè, già eseguita in passato da Patty Pravo. Si parte con “La guerra è finita”, uno dei primi veri successi dei Baustelle, ma il disco decolla soltanto verso metà scaletta, in corrispondenza dell’accoppiata “La canzone del parco” (sempre intensissima, qui beneficiaria di un riuscito trattamento anti età) / “Le rane”, con la bella coda strumentale dove trova giusta gloria la chitarra di Claudio Brasini. Particolarmente riuscite anche “L’aeroplano”, con la voce di Rachele Bastreghi in gran spolvero, e la conclusiva immancabile “Charlie fa surf”, il loro hit per antonomasia, qui in splendida nudità. Per il resto si vivacchia, fra una trascurabile “La moda del lento”, una sempre strappalacrime “Alfredo”, una trita e ritrita “Il corvo Joe”, che Bianconi non rinuncia mai ad eseguire. Roma Live!, a detta dello stesso trio toscano, chiude il primo tempo della carriera dei Baustelle, ricca di soddisfazioni e riconoscimenti: ora giù il sipario.

Nel frattempo Rachele Bastreghi concretizza il proprio esordito come solista, a seguito di un evento televisivo: la partecipazione a un episodio della fiction “Questo nostro amore 70”, nella quale ha interpretato una chanteuse francese di nome Marie, alle prese con “Mon petit ami du passé”, una canzone molto Serge Gainsbourg, resa con una teatralità vocale degna della Milva dei tempi d’oro. Ed è proprio nel misurato equilibrio fra pop d’autore italiano e chanson française che si regge Marie, edito su etichetta Warner, il primo capitolo in proprio della signora dei Baustelle, per la prima volta priva del trademark autorale di Francesco Bianconi.
La voce che fece vibrare tutti gli adolescenti italiani con “La canzone del parco” mette insieme sei tracce più uno strumentale, affidandosi anche ad un paio di cover ben fatte: “All’inferno assieme a te” è un brano del 1970 portato al successo da Patty Pravo, mentre “Cominciava così” è un pezzo del 1969 dell’Equipe 84, inizialmente pubblicato come lato B del singolo “Tutta mia la città”, e poi inserito nell’album “Casa mia” un paio d’anni più tardi. Ma è già l’iniziale “Senza essere” (scritta a quattro mani con il chitarrista dei Baustelle, Claudio Brasini) a caratterizzare l’atmosfera, con gli archi e il pianoforte grandi protagonisti. Non tarda a farsi notare, come già accaduto in “Fantasma”, tutta la devozione per il lavoro di Ennio Morricone, soprattutto in “Folle tempesta”, resa anche in versione strumentale in coda alla tracklist.
Marie è un disco elegante e mai sopra le righe, dove la disillusione per amori finiti prende spesso il centro della scena. E’ una prova che promuove a pieni voti la figura della Bastreghi fra le primedonne della canzone italiana contemporanea. Fra gli ottimi musicisti coinvolti, vanno segnalate almeno le presenze di Mauro Pagani, Fabio Rondanini (il batterista dei Calibro 35) e Sergio Carnevale dei Bluvertigo. Produce Giovanni Ferrario.

Un'esplosione pop

Il capitolo successivo firmato Baustelle prende il via il 21 ottobre 2016, quando viene rilasciato "Lili Marlene", brano regalato sul web ai fan, che non sarà compreso nel nuovo album L'amore e la violenza, pubblicato il 13 gennaio 2017. Nelle poche interviste che ne hanno anticipato la pubblicazione, Francesco Bianconi ha definito “ingombrante” l’eredità di “Fantasma”, che ha fatto scattare la vitale esigenza di un “ritorno alle origini”, di una repentina inversione di marcia che riportasse il loro suono alla freschezza e al ritmo degli esordi. La prima associazione che viene in mente ascoltando il singolo anticipatore, “Amanda Lear”, è con i suoni sintetici e sbarazzini de “La moda del lento”, un approccio distante anni luce dalla pretenziosità sinfonica e lirica raggiunta con “Fantasma”, una convinta sterzata verso una scrittura più “adolescenziale”, sì, ma che non intende rinunciare alla poetica “alta”, colta, ricercata, tipica del songwriting di Bianconi, oggi intento ad alternare drammatici temi d’attualità (l’idiozia di questi anni) con vivide istantanee che immortalano la quotidianità di ognuno di noi, mettendo in sequenza jihadisti e scambisti, attentati e discoteche, governi in bilico e dipendenze, guerre e sesso, violenza e amore. Per queste ragioni L’amore e la violenza (dieci tracce più due brevi intermezzi strumentali, “Love” e “Continental Stomp”) è un disco che spiazza, perché i Baustelle per la prima volta non cercano di spostare l'asticella in alto, verso lidi non ancora esplorati, ma preferiscono tornare indietro su territori già abilmente praticati in passato, mantenendo la ricerca ossessiva per la “canzone perfetta”, ma rischiando di far storcere il naso a quei fan che nel frattempo sono cresciuti assieme a loro e potrebbero non ritrovarsi più in certe architetture che tornano a farsi “giovanilistiche”.
I riferimenti restano grosso modo i medesimi del passato, quelli dove i Baustelle restano i primi della classe: tanto Battiato nel ritornello de “Il Vangelo di Giovanni” (a conferma dei consueti riferimenti mistico-religiosi), la scuola dei migliori chansonnier francesi in “Lepidoptera” e “Ragazzina”, i ritornelli che danno slancio alle canzoni in “La vita” e nell'emozionante “Betty”, l’irresistibile synth-pop di “Amanda Lear” e “L’era dell’acquario”, la sensuale vocalità d’antan di Rachele Bastreghi in “La musica sinfonica” ed “Eurofestival” (con il solo finale di Claudio Brasini), i mai sopiti ricordi d’infanzia riesumati nel tema di "Sandokan" campionato in “Basso e batteria”, con tanto di vocoder à-la Daft Punk. L’amore e la violenza è un disco “appiccicoso” (loro stessi lo hanno simpaticamente definito "oscenamente pop), immagino si saranno divertiti un mondo a scriverlo e a suonarlo, e ravviva il grande mistero della fortunata ricetta dei Baustelle: come ritrovarsi inesorabilmente a canticchiarli sotto la doccia anche se di solito non si gradiscono “musica leggera” e ritornelli troppo easy. Il baustellismo ha fatto proseliti, ma soltanto gli originali riescono a mantenere così bene in equilibrio impegno e disimpegno, e anche se questa volta oggettivamente non estraggono dal cilindro particolari colpi di genio, fanno centro attraverso un processo di semplificazione delle strutture, che sfronda tutto il superfluo per puntare dritto verso l’orecchiabilità, confezionando quella che potremmo definire “leggerezza di spessore”. Negli anni 80 (e perché no, nei 60) L’amore e la violenza sarebbe stata una raccolta di grandi successi, oggi è un lavoro che conferma con forza la volontà di Francesco Bianconi di rinnovare la grande tradizione cantautorale italiana, con buona pace dei tanti detrattori.

Il coloratissimo tour che ne consegue conferma la grande notorietà che la band ha oramai raggiunto, ulteriormente certificata dalla pubblicazione della biografia autorizzata L'amore e la violenza: una biografia dei Baustelle scritta da Federico Guglielmi, regista e voci fuori campo di un lavoro nel quale la storia viene raccontata dai diretti protagonisti: oltre ai membri ufficiali della formazione di Montepulciano, intervengono musicisti e addetti ai lavori che sono stati vicini alla band, ventiquattro persone in tutto che a vario titolo hanno contribuito significativamente alla vicenda artistica.

Ma di lì a poco è già il momento di aggiungere un nuovo tassello: il 2018 prevede la pubblicazione de L'amore e la violenza Vol. 2. Anche nel momento in cui i Baustelle definiscono i propri lavori come “oscenamente pop” o composti da “dodici nuovi pezzi facili”, anche quando l’involucro musicale contenente i testi di Francesco Bianconi vira verso il disimpegno, persino quando il trio si lascia trascinare da un’inedita urgenza compositiva, i loro progetti restano carichi di riferimenti, densi di citazioni, solo apparentemente semplici da decodificare. La fuga dalla sacralità monstre di un disco tanto impegnativo e ingombrante quale fu “Fantasma” non poteva esaurirsi nell’arco di un solo album: gli scintillii pop di matrice anni 80 de “L’amore e la violenza” trovano rapidamente, come mai prima d’ora, nell’arco di appena un anno, un brillante proseguimento nel Volume Secondo. L’idea del doppio sembrerebbe partire da lontano, visto che già durante lo scorso tour la formazione di Montepulciano presentò una nuova composizione annunciata con il titolo di “Veronica, n. 2”, una traccia che fa dell’immediatezza la propria cifra stilistica, che sa di primi Baustelle sin nel midollo, ancor più di quella “Caraibi” - risalente ai tempi del “Sussidiario” -  che finalmente trova collocazione proprio in questo disco. “Veronica” è il brano-ponte, quello con il compito di guidarci e introdurci all’interno di questo nuovo capitolo, un disco sull’amore e sull’assenza, di amori con le ossa rotte, che evolvono in separazioni, per poi trasformarsi in malinconie, e in rammarichi, fino a condurre i protagonisti all’intenzione di ricominciare da capo, pentendosi delle rotture causate o subite. Persino quando Rachele Bastreghi canta magistralmente “A proposito di lei” (applausi), uno dei tanti potenziali “classici” di questo album, lo fa con l’involontaria intenzione di recuperare una relazione, fino allo sfinimento, anche lì dove le possibilità appaiono ragionevolmente nulle, perché lui è troppo preso da un’altra (ma quanti uomini sanno trascrivere il punto di vista di una donna così bene quanto Bianconi?). Tutto questo accade in un brano dall’andatura sbarazzina, sì, perché sulle liriche dolenti, a tratti amare, che caratterizzano il Volume 2 de “L’amore e la violenza” si accendono tanto le luci del pop più canticchiabile (“Jesse James e Billy Kid”) quanto le urgenze “alt-rock” di “Tazebao” o il glorioso ritornello di “Lei malgrado te” (di nuovo applausi, ancor più fragorosi). La coloritura musicale ricerca quella luce che viene negata dalle liriche, in un gioco stilistico che affianca al synth-pop del volume precedente spunti che raggiungono approdi inattesi, vedi l’inserto rap della liberatoria “Perdere Giovanna” o la chitarra gilmouriana in coda alla più strutturata “Il minotauro di Borges”.
La chitarra, è lei la bentornata protagonista, pronta a riprendersi con compostezza il centro della scena, accanto ai muri di synth manovrati dalla band, e lo si evince subito, dai quasi cinque minuti dallo strumentale d’apertura, “Violenza”, dove ricordi di Morricone, Carpenter e Simonetti vengono arricchiti dall’elettricità degli amplificatori di Claudio Brasini. Strumentali che questa volta non assumono il ruolo di brevi riempitivi, bensì ambiscono ad essere riconosciuti come canzoni “vere”, come confermato più avanti dalla struggente e quasi glaciale “La musica elettronica”. Mai i Baustelle avevano impiegato così poco tempo per realizzare un disco, loro così perfezionisti e puntigliosi, sintomo di quanto il Volume 1 non fosse stato capace di contenere la straripante ispirazione del gruppo: c’era altro da dire, altro da far ascoltare, soltanto ora il progetto può soddisfare l’esigenza di totale compiutezza. Il minor tempo a disposizione per rifinire il tutto - non che con i Baustelle si possa mai parlare di attitudine punk, sia chiaro -  non ha comunque inficiato la cura che il gruppo ha sempre posto in ogni singolo dettaglio, sia testuale che musicale. Mai secondario l’aspetto testuale: è in quel campo che Bianconi si gioca le carte per aspirare al ruolo di modern chansonnier, per qualificarsi come uno dei musicisti della nostra epoca che meritino di essere tramandati ai posteri. Narrando il nobile sentimento dell’amore - ma alla sua maniera, senz’altro “alternativa” - in un nuovo “concept” libero dalle rime più scontate e dalle trattazioni trite e ritrite, elabora microcosmi dal fascino conturbante e sottilmente perverso, come avviene nel caso de “L’amore è negativo”, dove una relazione allo sfascio viene paragonata a un mondo senza pace (non una cosa nuova per lui: ricordate il parallelo amore-discarica in “Follonica”?), di nuovo applausi scroscianti. Bianconi è diabolico: ha architettato un meccanismo perfetto dove tutto aspira ad essere iconico, (pensate anche soltanto alle copertine o al ruolo di Rachele), perfezionando nel tempo uno stile che è divenuto un “classico”, assolutamente riconoscibile, persino quando Bianconi scrive conto terzi. Più che fuori dal tempo, le canzoni dei Baustelle sono senza tempo, viaggiano avvolte in una nuvola spazio-temporale che fonde i Pulp con la tradizione melodica italiana, le armonie degli anni 70 con la musica elettronica contemporanea, con i tanti riferimenti mistici che da sempre le arricchiscono. Nel secondo e definitivo capitolo de “L’amore e la violenza” i fan troveranno un nuovo pugno di sospirate canzoni da stringere forte al cuore, quelle stesse canzoni che alimenteranno lo scetticismo dilagante dei tanti inconvertibili detrattori.

I lavori solisti

Dopo l'ubriacatura synth-pop degli ultimi due dischi, nel 2020 Francesco Bianconi prende la prevedibile decisione di mettersi alla prova in solitaria. A metà ottobre pubblica Forever, un lavoro profondamente introspettivo, essenziale, solenne, colto, denso di spiritualità, romanticismo e morte, studiato per avere un suono classico, fuori dal tempo, dall'architettura drammatica e l'umore umbratile. Un disco puro, dalla personalità ben definita, inciso puntando tutto sul versante "artistico", mostrandosi oltremodo riluttante all'idea di inserire qualsiasi slancio "commerciale". Dieci tracce completamente private dell'apporto della batteria, che avrebbe potuto ammorbidire o far decollare alcuni frangenti, senza alcuna linea di basso, con la ritmica affidata ai soli movimenti degli archi del Balanescu Quartet o alle sublimi linee di pianoforte disegnate da Michele Fedrigotti e Thomas Bartlett. Un album realizzato con il prezioso contributo di Enrico Gabrielli ma senza le familiari chitarre di Claudio Brasini e persino senza l'iconica voce di Rachele Bastreghi.
Un progetto coraggioso, arricchito dalla presenza di importanti ospiti, che Francesco conosce bene, stima, e oggi può permettersi di invitare. Ospiti che conferiscono a "Forever" un taglio internazionale: Rufus Wainwright in "Andante", Kazu Makino in "Go!", Eleanor Friedberger in "The Strength", la cantante e attrice marocchina Hindi Zahra nel mantra "Fàika Llìl Wnhàr" donano una provvidenziale discontinuità al tono generale, proponendo molteplici motivi d'interesse. Ma il nucleo portante dell'album, prodotto da Amedeo Pace dei Blonde Redhead e registrato presso i Real World Studios di Bath, resta nelle tracce cantate da Francesco in solitudine. Anzi tutto le prime due, "Il bene", che richiama in maniera decisa "Nessuno", con pianoforte e violino a generare apoteosi emozionali, e "L'abisso", il vero colpo da maestro, con quell'enfasi orchestrale che arriva sino a strappare le lacrime. Ma la missione può dirsi compiuta anche nei sogni californiani raccontati in "Zuma Beach" e nella mezza crociata contro il sistema discografico lanciata durante lo svolgimento di "Certi uomini".

Bianconi come al solito fa convivere riferimenti aulici e volgari: Schopenhauer e i Pixies, Babadook e il Leviatano, Casanova e Giovanna D'Arco, psicofarmaci e dottrine, il sangue e la fica, esprimendosi (caratteristica tutt'altro che comune in Italia) in un linguaggio multiforme, poliglotta, miscelando italiano, inglese e arabo. Le liriche vengono adagiate su orchestrazioni modern classical, composte con una sensibilità davvero rara, che si increspano per conferire la massima forza possibile ai finali e a quei ritornelli gloriosi, da sempre inconfondibile marchio di fabbrica dell'intero repertorio baustelliano. Gli stessi che in tanti hanno cercato di replicare senza mai neppure riuscire ad avvicinarcisi. I titoli di coda di questo nuovo film immaginario sono affidati alla strumentale title track, di impronta inequivocabilmente felliniana. Del resto le colonne sonore sono da sempre un chiodo fisso del musicista toscano.
Pur al netto di qualche ingenuità, e di qualche eccesso di verbosità (in un paio di circostanze per dire troppo si incarta con la metrica, effetto certamente voluto - stiamo parlando di un perfezionista cesellatore - ma non proprio riuscitissimo), Forever è il tassello che mancava per riconoscere a Bianconi, in maniera unanime e definitiva, l'elevata valenza artistica da sempre ricercata, e in qualche modo anche reclamata da lui stesso, pur se con educata discrezione. Fra i pochi della sua generazione destinati a restare, a lasciare una traccia indelebile, mostra - di nuovo - di sapersi muovere con disinvoltura su registri compositivi completamente diversi, alternando lavori "oscenamente pop" ad altri imperniati su orchestrazioni complesse e forbite. Dote rara, che lo ascrive fra i migliori cantautori italiani di sempre, accanto a De AndréFossatiTencoBattiato e pochissimi altri. Gli stessi ai quali - per sua stessa ammissione - si è sempre ispirato.

Passa un solo anno, concerti fermi, proibiti per decreto, ad aprile 2021 è il momento dalla seconda prova solista di Rachele: Psychodonna. Istantanee colte durante momenti di riflessione, fotogrammi che ritraggono una casalinga quotidianità, inizia così “Poi mi tiro su”, traccia dal coinvolgente crescendo che inaugura il disco, giunge a cinque anni da “Marie”. Pur se celata dietro il ben noto mix di malinconia e timidezza, la Bastreghi si conferma sensuale e trasgressiva, mostrando una determinante influenza nell’architettura della band madre: è Rachele l’anima giocosa, ritmata, folle dei Baustelle, e Psychodonna possiede la forza per modificare in maniera sostanziale la percezione che in molti hanno circa il suo reale ruolo all’interno del processo compositivo della band di Montepulciano. In queste nuove canzoni la Bastreghi ci prende per mano e ci conduce dentro una discoteca colorata, dove a vincere sono i temi della diversità, della libertà di espressione, dell’inclusione, del bisogno d’amore.
Il baustellismo killer lo troviamo, e forte, in brani come “Lei” e, ancor più, nel caldissimo abbraccio di “Come Harry Stanton”, ma a contraddistinguere l’intera opera provvedono soprattutto gli inserti di possente elettronica strategicamente posizionati per generare piccoli colpi di scena all’interno delle singole canzoni. Brani che esprimono non soltanto un brillante synth-pop (è il caso di “Penelope”) ma persino un discorso di ricerca, che arriva sino ai limiti dell’avanguardismo in episodi come la retro-futuristica “Not For Me”. C’è anche una cover d’autore, “Fatelo con me”, episodio elaborato da Ivano Fossati nel 1978 per la Anna Oxa punk degli esordi. L’attrice Silvia Calderoni ospite in “Penelope”, Meg e Chiara Mastroianni in “Due ragazze a Roma”, in più i collage di voci femminili assemblati nella title track e nell’intro della conclusiva “Resistenze”. Ci sono tante donne in Psychodonna, e a loro Rachele assegna tutte le parti cantate. Poi ci sono anche molti amici uomini, ai quali spetta il compito di dare un contributo suonando: Roberto Dell’EraColapesceFabio Rondanini e Marco Carusino, un gran bel parterre, più Mario Conte in cabina di regia, ad arrangiare e produrre il tutto.

E’ una data significativa quella concertata dal management di Francesco Bianconi per diffondere a sorpresa Accade: 28 gennaio, quattro giorni dall’edizione 2022 del Festival di Sanremo, kermesse musicale adattissima al suo songwriting. Potremmo interpretarla come una sorta di sfida, come un voler dimostrare che la migliore Italia canora si trovi qui fuori, e non fra le mura del Teatro Ariston. Album senza preavviso – dicevamo - pubblicato a ridosso di nuovi impegni discografici già annunciati, e poco più di un anno dopo “Forever”, seguito dall’appendice deluxe “Forever In Technicolor”: una bulimia creativa che lascia trasparire quanto il suo impegno extra Baustelle sia tutt’altro che uno sfizio estemporaneo. Un peccato, perché nonostante l’ottima fattura delle rispettive proposte soliste e i numerosi frangenti obiettivamente illuminati, Bianconi e Rachele Bastreghi quando incidono sotto lo stesso tetto risultano ben superiori alla somma di quanto riescono a produrre separati. Accade non fa che rafforzare questa sensazione: prendete ad esempio “I capolavori di Beethoven”, ripresa dal repertorio di Mario Venuti (che la incise assieme a Franco Battiato), e ditemi se tutto questo non lo avete già ascoltato, ma con una densità emotiva ben superiore, nel monumentale “Fantasma”. Una cover, come il resto della scaletta di “Accade”, nel quale Bianconi lascia entrare in punta di piedi anche tre composizioni da lui "regalate" in passato a Irene Grandi, che trasformò in grandi hit “La cometa di Halley” e “Bruci la città”, e Paola Turci, che interpretò una versione molto più ritmata di “Io sono”.
restyling studiati da Francesco vengono spogliati di tutto: nessuna chitarra, niente batteria, zero beat, per un disco di raffinato chamber-pop d’autore incentrato su voce, pianoforte e orchestra. Un lavoro compatto, un Bianconi confidenziale, bravo nell’individuare canzoni nelle quali immergersi a tal punto da farle apparire proprie. Le indossa a volte imitando le linee vocali degli originali, come succede per la rivisitazione de “L’odore delle rose” dei Diaframma di Federico Fiumani. Oppure si sostituisce al punto di vista femminile, come in “Domani è un altro giorno”, portata al successo da Ornella Vanoni nel 1971, a sua volta trasposizione in italiano di “The Wonders You Perform”, scritta l’anno precedente da Jerry Chesnut per Tammy Wynette. Altri rispettosi omaggi sono indirizzati a Francesco Guccini (“Ti ricordi quei giorni”) e alla coppia Ennio Morricone / Luciano Salce, che nel 1962 modellarono per Luigi Tenco “Quello che conta”. Due gli ospiti: Baby K nella già diffusa “Playa”, e l’amico Lucio Corsi, che dona slancio alle prime strofe di “Michel” di Claudio Lolli. Cantautorato colto, denso di storie e significati, svincolato dalle banalità di troppa trap e it-pop, un'opera "nuda", tenuta assieme da un Bianconi che sta realizzando il sogno primigenio di essere considerato il De Andrè della Generazione X (o Z, se a leggere sono i nativi digitali). Magari il suo “citazionismo a tutti i costi” inizia un tantino a mostrare la corda, ma a Francesco va riconosciuto il fatto di essere uno dei pochissimi musicisti della propria epoca ad aver dato vita a un sotto-genere avente vita propria: il baustellismo. Molte band hanno provato negli anni a mettersi in scia, quasi sempre tramontate anzi tempo; Francesco è ancora là, oramai maturo per assicurarsi un posto accanto ai migliori di sempre.

Il ritorno

Il 2023 si apre con "Sali (canto dell'anma)", canzone presentata da Anna Oxa al Festival di Sanremo, con riscontri non eccezionali. Fra gli autori del brano figura Francesco Bianconi, che torna così a scrivere per un'interprete femminile, oramai una costante. Nella stessa edizione del Festival i Baustelle partecipano alla serata dei duetti, in coppia con i Coma Cose, presentando una propria versione di "Sarà perchè ti amo" dei Ricchi e Poveri.
Qualche giorno prima, proprio a inizio anno, i Baustelle avevano diffuso "Contro il mondo", singolo che anticipa la pubblicazione del nuovo album, intitolato Elvis, previsto per il mese fi aprile. Al concepimento di Elvis, il trio di Montepulciano arriva sostituendo integralmente la line up della  propria backing band: al posto dei rodati musicisti che li accompagnavano da tempo, entrano in campo Lorenzo Fornabaio (chitarre), Milo Scaglioni (basso), Alberto Bazzoli (tastiere), Giulia “Julie Ant” Formica (Batteria), più i fiati di Pietro Lupo Selvini, Giovanni Sgorbati e Alessandro Marzetti. 

La nuova formazione imprime un taglio decisamente più “rock” al sound, tanto che non si fatica a definire Elvis come il disco con più chitarre nella storia dei Baustelle. Del resto, optando per un titolo come questo, la band stessa sceglie di etichettare il proprio lavoro come rock'n'roll oriented. Prendete una traccia come “Betabloccanti Cimiteriali Blues” e vi stupirete di ascoltare un suono davvero rinnovato: una trascinante blues song, con fiati e chitarra pronti a rincorrersi nel solo finale. Un album – ma parliamo pur sempre di purissimo pop, sia chiaro - che si inserisce con grande tempismo nell’attuale riflusso sixties/seventies, protagonista non soltanto in campo musicale, ma anche in quello dell’abbigliamento e del cinema (qualcuno ha detto “Daisy Jones & The Six”?). Zero elettronica, tutto suonato come una vera rock band, come i Baustelle non facevano dai tempi di “Amen”.
Proprio “Amen” appare come il punto di riferimento più evidente: “Contro il mondo” è la nuova “Charlie fa surf”, “Los Angeles” in qualche modo richiama alla mente “Colombo”, anche se questa volta il brano che farà drizzare le orecchie a tutti i fan è “La nostra vita”, forte di uno di quei ritornelli killer che hanno contribuito a costruire un imitatissimo stile noto con il nome di “baustellismo”. Dentro Elvis c’è poi un nuovo omaggio a Milano, la città che li ha adottati, sempre così presente nelle loro canzoni, che stavolta diviene la “metafora dell’amore”. Nella scrittura di Elvis trovano spazio temi che puntualmente ritornano nella poetica di Bianconi, quali la giovinezza, la guerra, le diversità e il misticismo, quest’ultimo ricorrente in quasi tutti i testi e in un paio di passaggi strumentali, dall’accenno “natalizio” che governa l’incipit di “Andiamo ai rave” alla seconda parte de “Il regno dei cieli”. Distante tanto dalle orchestrazioni di "Fantasma", quanto dal synth-pop dei lavori più recenti, Elvis rappresenta un'opera di transizione che indica la via verso un nuovo capitolo nella storia dei Baustelle, sempre determinati a non restare fermi sulle proprie posizioni.


Contributi di Michele Palozzo ("I mistici dell'Occidente")

Baustelle

Discografia

BAUSTELLE
Sussidiario illustrato della giovinezza (Baracca&Burattini/ Edel, 2000)

8

La moda del lento (Bmg, 2003)

7,5

La malavita (Warner, 2005)

6,5

Amen (Warner, 2008)

7

Giulia non esce la sera OST (2009)

6

I mistici dell'Occidente (Atlantic, 2010)

6,5

Fantasma (Warner, 2013)

7,5

Roma Live! (live, Warner, 2015)

5

L'amore e la violenza (Warner, 2017)7
L'amore e la violenza Vol. 2 (Warner, 2018)6,5
Elvis (BMG, 2023)6,5
Baustelle - I Cani (split, 42 Records, 2023)
FRANCESCO BIANCONI
Forever (Ponderosa/BMG, 2020)7
Forever In Technicolor (Ponderosa/BMG, 2021)7
Accade (Ponderosa/BMG, 2022)6,5
RACHELE BASTREGHI
Marie (Warner, 2015)6
Psychodonna (Atlantic/Warner, 2021)7
Pietra miliare
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