11/06/2004

Television

Bataclan, Parigi (Francia)


Sono passati dodici anni dall’ultimo disco e dall’ultimo tour dei Television. Altri quattordici dalla loro fatica precedente. Ben ventisette dal mitico “Marquee Moon”, disco che diede loro la paternità della new wave ed un posto assicurato nella storia della musica leggera. Tom Verlaine e compagni non conobbero un enorme successo allora e non lo conoscono oggi, nonostante il loro culto sia così diffuso fra i vecchi intenditori di musica. Vecchi, sì, perché il Bataclan è popolato dai ventenni del ’77, più qualche giovane adepto. Non siamo in tanti: il vuoto della sala verso le 6 del pomeriggio, quando di solito molti già entrano, è quasi preoccupante. Sembra che il mondo si stia dimenticando di questo gruppo, o che quantomeno preferisca fare altro piuttosto che ritrovare una band fondamentale per gli sviluppi della musica leggera degli ultimi venticinque anni. Peggio per loro: anche se questo non sarà il concerto memorabile che avrebbe potuto essere, non è affatto ovvio che tutti gli assenti abbiano un’altra occasione di vedere i Television. Questo fatto, unito alla possibilità di vedere e sentire “Marquee Moon”, dovrebbe bastare a qualificare questa serata con l’aggettivo di “storica”.

Ad anticipare il gruppo, una cantante che pensa bene di non farci sapere chi è o come si chiama. “Vista la qualità della sua esibizione, è una scelta azzeccatissima”, penso io. Eppure c’è qualcosa che non quadra, mi sembra di averla già vista da qualche parte. Dopo un certo rimuginare arrivo anche alla soluzione, che mi lascia esterrefatto. E’ Julie Delpy, l’attrice! Adesso ha deciso di cantare. Visto che ormai non è più di moda concentrarsi su ciò che si sa fare meglio (e se ha cominciato come attrice un motivo ci sarà…), inghiottisco il boccone amaro. Non fa nulla, almeno potrò dire di aver visto dal vero una brava attrice (e sottolineo attrice).
Lentamente la sala si riempie, anche se il “tutto esaurito” resta un miraggio.

Poco dopo, accolti da molti applausi e da qualche idiota che evidentemente trova più divertente ascoltare la propria voce che il gruppo per cui ha pagato, i Television si trovano subito a dover affrontare un inconveniente. Un amplificatore non funziona, e l’imbarazzo sul palco è evidente. Verlaine, carismatico ma non certo animale da palco, sembra spaesato e neanche si sogna di intrattenere il pubblico in attesa. Risolto il problema, i quattro si producono subito in una virtuosa esecuzione di “The Dream’s Dream”, la canzone che chiudeva “Adventure”. La lunga intro, ma tutto il pezzo in generale, è dominata dalle due chitarre. Una vecchia Fender Jazzmaster quella di Verlaine, una Stratocaster quella di Richard Lloyd, incredibilmente somigliante a un David Gilmour versione magra. Buon inizio. Stupiscono anche la voce inaspettatamente giovanile di Verlaine e il mestiere della sezione ritmica, composta come sempre da Fred Smith al basso e Billy Ficca alla batteria, un po’ attempati ma ancora capaci. Tuttavia manca qualcosa di non ben definibile, e non lo si trova neanche nella successiva “1880 Or So”, dal disco omonimo del ’92.

Una versione esplosiva di “Venus”, prima proposta da “Marquee Moon”, ci fa aprire gli occhi: fra pubblico e band passa un’elettricità completamente diversa. Quest’energia alimenta, in un circolo virtuoso, sia chi sta sopra sia chi sta sotto al palco, ma indica impietosamente la differenza con tutto il resto, quanto abbiamo già sentito come ciò che sentiremo in seguito. E’ il caso di “Call Mr. Lee”, pallidissima nel confronto, sebbene di per sé godibile, ma anche del primo inedito della serata, probabilmente intitolato “Stax”, come la famosa etichetta soul. La prima è simpatica, e vanta un assolo davvero niente male, ma sembra davvero troppo “vecchio stile”. La seconda recupera interessanti atmosfere new wave e paranoiche grazie soprattutto a un Verlaine che strilla e ripete una sorta di ossessiva invettiva autistica. Rimane però un certo senso di insoddisfazione, sebbene tutto sia molto gradevole…

Ciò che manca a questi pezzi è messo in evidenza dalla famigerata “Little Johnny Jewel”, oggi finalmente rintracciabile sull’edizione rimasterizzata di “Marquee Moon”. E’ un (meritato) tripudio. La si riconosce subito, dal sensazionale giro di basso offerto come attacco. Poi la lunga intro, la canzone, un assolo dietro cui spellarsi le mani in applausi, la chitarra di Verlaine che sfarfalleggia prima del “BANG!” finale. Bellissima. Quando le canzoni sono queste, ci si dimentica del tempo che è passato e il museo delle cere diventa piuttosto una vera e propria macchina del tempo.
La tensione rimane la stessa per “Prove It”, un po’ allungata e divertentissima. Adesso il gruppo è in palla e ripaga l’entusiasmo del pubblico con interpretazioni sentite ed eccitanti.

Si inanella ancora un classico: “See No Evil” è potentissima, una vera scossa alle fondamenta del rock come all’epoca. Il famosissimo assolo è opera di Richard Lloyd, vero valore aggiunto nelle canzoni di “Marquee Moon”. Se Verlaine dà sempre fondo alle proprie capacità, Lloyd offre performance sensibilmente superiori nei brani tratti dall’opera prima.
Dopo questo apice il livello del concerto si abbassa notevolmente, fin quasi allo sbadiglio. Tutti sanno che a chiudere ci sarà “Marquee Moon”, e l’attesa non permette di godersi brani onesti ma niente più, nonostante Verlaine continui ad attorcigliarsi sulla sua chitarra.

“The Sea” non è affatto eccezionale. Sul finire, poi, si verifica un altro problema tecnico: si rompe una corda della chitarra di Verlaine. Una decina di minuti per cambiare una corda, specie per dei professionisti, sembrano un’eternità, e pensare che a un concerto del genere si possa impiegare così tanto per un’operazione così banale fa anche un po’ sorridere. Invece non solo in questo caso i dieci minuti servono tutti, ma alla fine il nostro opta per un cambio di chitarra. Fuori la Jazzmaster, dunque, dentro una Stratocaster identica a quella di Lloyd. Arriva l’accoppiata “The Rocket” e “Rhyme”, entrambe dall’ultimo lavoro di studio. Oneste, ma davvero niente di memorabile.

L’ultimo inedito della serata, la lunghissima “Persia”, è anche il migliore fra i pezzi sconosciuti proposti. Verlaine suona tenendo una pila da 9 volt nella mano destra prima, nella sinistra poi. Simpatici i toni orientaleggianti, sebbene già abbondantemente sentiti, un po’ meno la durata, ai limiti dell’estenuante, soprattutto perché si immagina facilmente cosa stia per arrivare…
Poi eccola, quella che tutti attendevano. Introdotta dal suo immortale riff, signori e signore, “Marquee Moon”, la canzone. Il Bataclan diventa un’unica massa urlante come era logico aspettarsi, e i Television danno il massimo. Sulla chitarra di Verlaine si formano pure i goccioloni della condensa mentre estrae dal cilindro grandi assoli e un virtuosismo incantatore, mai fine a se stesso. Quiete frammista a esplosioni improvvise compone il gran finale di un concerto che ha conosciuto alti e bassi in egual misura, anche se gli alti sono stati davvero di proporzioni smisurate.

Tom Verlaine saluta tutti con un timidissimo “good night” e sparisce seguito dagli altri. Rimane, però, quello strano senso di inadeguatezza ai capolavori (tutti dallo stesso disco) del resto del repertorio, così come quella singolare sensazione fra il “poteva essere meglio” e il “non poteva essere altrimenti”. D’altra parte sia Verlaine che il pubblico hanno dovuto fare i conti con l’ineluttabile verità. I Television sono stati una band geniale nel 1977. Oggi sono una band che è stata geniale nel 1977.