17/07/2006

Bob Dylan

Teatro dei Templi, Paestum (Salerno)


Poco prima delle nove e trenta, un distinto signore di mezz’età vestito da politico sale sul piccolo palco di Paestum: "Signore e signori, un Mito nella Terra degli Dei. Una vera e propria Antichità Spettacolare". Povero, vecchio Bob Dylan, paragonato a un trapassato tempio greco.
Molta gente si chiede, in realtà, perché Dylan abbia scelto di fare questo tipo di tournèe, con concerti molto frequenti e spesso in piccoli teatri. Chi lo conosce bene, tuttavia, e, soprattutto, chi ha compreso davvero il messaggio della sua musica da quarant’anni, sa che non desidera fare altro. Una volta Carole Childs ha detto: "Andrà avanti finché ce la farà. Fa il suo mestiere. Fa il suo lavoro. E’ la sua arte. La sua anima da trovatore. E’ questo che facevano i trovatori e gli artisti del vaudeville. E gli artisti del varietà. Cioè, intrattenere il pubblico".
A 65 anni suonati, forse, Bob Dylan comincia a non farcela più, chino sul suo organo perché non riesce a imbracciare la chitarra.
Una voce altisonante annuncia: "Per favore, spegnete i vostri telefoni cellulari e, soprattutto, le vostre macchine fotografiche altrimenti il concerto non inizierà".
Il "Mito nella Terra degli Dei" si presenta in silenzio, sistemandosi di profilo verso il pubblico, tanto che, a momenti, non lo si riesce nemmeno a vedere. Forse non riesce più a sopportare i lampi accecanti di una fotografia.
Alcuni spettatori mormorano: "Che cafone! Non ha nemmeno salutato". In realtà, molti di loro sono qui giusto per vedere un’ "Antichità spettacolare", senza nemmeno sapere che Bob Dylan non parla, se non attraverso le sue immortali canzoni.
Chi è, oggi, quest’uomo in completo azzurrino e cappello da cowboy che se ne sta silenzioso e introverso davanti a uno splendido tempio incorniciato da pini marittimi e cipressi colorati di un caldo viola? Chi è, oggi, Bob Dylan? Lo scapestrato seguace di Woody Guthrie o il cantautore di protesta? Il padre e marito di famiglia o il "Cristiano rinato"?
Tutte queste cose insieme e, probabilmente, nessuna di queste. Bob Dylan è, oggi, l’unica e sola guida turistica al museo di sé stesso. Beninteso, la migliore guida turistica possibile.
La sua inconfondibile voce nasale l’unica audio-guida per rivivere in due ore di concerto un pezzo di storia della musica popolare americana.

Oggi, come trent’anni fa, Dylan si è messo alla guida di una "Rivista del tuono rotolante rivisitata", un’allegra banda di ottimi musicisti vestiti tutti uguali che sembra uscita da un film di Altman. Il carrozzone del circo "Bob Dylan" è di nuovo in città.
Nemmeno il tempo di un applauso e già si comincia. Il suono all’interno dell’arena non è dei migliori e a farne le spese è, soprattutto, la sezione ritmica, ma la versione "elettrica" di "Maggie’s Farm" morde, travolgente. Dylan gracchia un po’, ma è soltanto una questione di allenamento, perché la sua voce migliorerà canzone dopo canzone nel prosieguo dello show.
Subito, comunque, molti degli spettatori presenti si accorgono di una cosa: le canzoni non sono esattamente uguali a quelle che ricordano. Una signora infreddolita ha bisogno del ritornello per comprendere che Bob sta suonando una versione particolarmente nervosa di "The Times They’re A Changin".
E’ evidente, così, il paragone con il lontano 1978, quando Bob sorprendeva (nuovamente) tutti stravolgendo i suoi classici al Budokan di Tokyo.
Dylan suona la carica ed ecco i primi piedi muoversi sullo scatenato western-rockabilly "Tweedle Dee and Tweedle Dum". Ma quello di stasera è un concerto all’insegna degli anni 60 e il bardo del Minnesota decide di rispolverare alcuni dei suoi leggendari tesori melodici. "Mr.Tambourine Man" si piega a una versione al limite dell’hard-rock, mentre scorrono tra lacrime e cori da stadio "It’s All Right Ma (I’m Only Bleeding)" e "Just Like A Woman".
Dopo il blues schizoide di "Stuck Inside Of Mobile With The Memphis Blues Again", tocca a uno dei capolavori assoluti di Dylan, "Desolation Row" che, purtroppo, perde molto del suo acustico fascino visionario con un arrangiamento elettrico poco convincente.
La prestazione vocale di Bob, tuttavia, si rivela, alla lunga, una delle migliori degli ultimi cinque anni.
Dylan gioca a rincorrersi tra le accelerazioni rock-blues di "Highway 61 Revisited" e "Watching The River Flow" e le malinconiche elegie di "Every Grain Of Sand" e "Girl From The North Country". Le stranianti versioni, tuttavia, non convincono del tutto, tant’è che ci vuole il rockabilly della Sun Records, "Summer Days", per far ballare tutti sotto al palco.

Il concerto è finito, apparentemente e alcune luci si accendono. Uno spettatore a momenti scoppia a piangere: "Ma non la fa 'Like a Rolling Stone'?".
E’ questione di momenti, perché il "Bob Dylan show" torna in scena per un bis che riesce, da solo, a risollevare tutti. L’antico suono mercuriale sembra rivivere nell’attacco della "canzone più famosa della storia", mentre "All Along The Watchtower" risuona potente come la versione di Jimi Hendrix.
Ultimo accordo, ultimo saluto mancato. Bob Dylan è scomparso dietro colonne doriche e corinzie. Chissà cosa si sono dette, le due antichità spettacolari.

Bob Dylan su Ondarock