28/11/2010

Isobel Campbell & Mark Lanegan

Tunnel, Milano


Strade rigate di pioggia, binari ferroviari che corrono sopra le arcate dei ponti: l'autunno milanese, intorno al redivivo Tunnel, sembra lo scenario ideale per le ombre folk evocate dalla musica di Isobel Campbell e Mark Lanegan. Prima, però, la genealogia del cantautorato americano si perpetua attraverso la voce di Harper Simon, trentottenne figlio di Paul Simon, giunto di recente all'esordio discografico. Non è facile, per lui, catturare l'attenzione di una platea distratta, con l'unico ausilio di una chitarra acustica e di una voce gentile: Simon jr. ci prova con un paio di cover di facile presa, come "I'll Be Your Mirror" dei Velvet Underground e "This Is Where I Belong" dei Kinks. Anche se dal vivo le sfumature country-folk dei suoi brani autografi (da "Shooting Star" fino alla romantica "Berkeley Girl") sembrano farsi ancora più esili e timide, Harper si mostra sorpreso di ogni applauso che riesce a strappare.
Ma, come da copione, è solo quando sul palco si delinea il profilo tenebroso di Mark Lanegan che le ovazioni si accendono: abiti scuri da novello "Man In Black", si accosta impassibile al microfono aspettando che Isobel Campbell prenda posto sulla scena insieme ai quattro elementi della backing band. È su di lui che si concentrano le attese di una serata andata rapidamente sold out. Eppure, la vera protagonista è in realtà la bionda scozzese che gli sta accanto, lo sguardo abbassato sulla fibbia della cintura da cowgirl: sono merito suo, infatti, i brani dei tre dischi realizzati sino a oggi da questa strana coppia. Brani dalla caratura senza tempo, scritti con il senso di immedesimazione di chi nella tradizione americana ha ritrovato un pezzo di sé. Un ruolo, quello di Isobel Campbell, che sembra essersi fatto via via sempre più autonomo, tanto che nell'ultimo "Hawk" il posto di Lanegan è stato preso in un paio di occasioni da un songwriter dell'ultima generazione, Willy Mason.

Nella penombra di un fondale increspato, la voce eterea di Isobel e quella cavernosa di Mark si congiungono sul palpito soffuso di "We Die And See Beauty Reign". Poi, batteria e chitarra si fanno più vigorose per la tagliente "You Won't Let Me Down Again", che non avrebbe sfigurato tra le pagine del Lanegan solista di "Scraps At Midnight". I due rendono omaggio prima ai toni crepuscolari di Townes Van Zandt, con una tesa "Snake Song", e quindi a Jeffrey Lee Pierce dei Gun Club, con la rilettura in chiave western di "Free To Walk" recentemente inclusa nel tributo "We Are Only Riders".
Tra le volute d'organo di "Come Undone", Isobel Campbell siede al violoncello, lasciando fremere l'archetto: come ama ripetere, la voce di Mark le ricorda proprio quel suono profondo. "Io gli do luce e lui mi dà peso, altrimenti volerei via...". Più prosaicamente, Lanegan chiosa: "Siamo solo un ragazzo e una ragazza che cantano, niente di più e niente di meno". Il pensiero corre ovviamente alla coppia Lee Hazlewood / Nancy Sinatra, anche se le suggestioni che aleggiano su "Who Built The Road" sembrano richiamare piuttosto i duetti del Nick Cave di "Murder Ballads".
Nonostante l'inadeguatezza dell'impianto finisca per spezzare a tratti le atmosfere più raccolte, i chiaroscuri di brani come "Ballad Of The Broken Seas" e "The Circus Is Leaving Town" riescono ugualmente ad affascinare. Lanegan si ritira dietro le quinte per qualche minuto, lasciando il palcoscenico alla sola Isobel Campbell per le pennellate sognanti di "To Hell And Back Again" e "Saturday's Gone". A ricordare il passato di Isobel tra le fila dei Belle And Sebastian ci pensano poi la leggerezza pop di una "Honey Child What Can I Do?" con tanto di tamburello e la malinconica carola natalizia di "Time Of The Season".

Non dispensano sorrisi, i due, non interloquiscono con il pubblico. Ognuno nel proprio angolo di palco, concentrato solo sul proprio microfono, lasciando l'alchimia unicamente all'intreccio delle voci: solo un'esitazione sulla filastrocca di "(Do You Wanna) Come Walk With Me?" strappa uno scambio di occhiate divertite. Sulle note di "Back Burner", i sussurri di Isobel Campbell in un microfono vintage assumono un'intrigante sensualità, mentre "Salvation" si fa più asciutta che mai: "I went out in that bad old world to roam / And I was like a stranger coming home", mormora Lanegan con timbro fatale.
La seduzione di "Come On Over (Turn Me On)" riscalda la platea prima del finale, affidato all'incalzante blues di stampo dylaniano di "Get Behind Me". Il senso cupo di incompiutezza di "Revolver" ("Still missing something / You've never known what it was") introduce i bis, che riservano - secondo una scaletta consolidata - la ripresa di "Ramblin' Man" di Hank Williams, primo singolo del duo, contenuto in "Ballad Of The Broken Seas". Per il commiato, però, Lanegan va a scavare più indietro, nel proprio repertorio personale: dai tempi di "Bubblegum" giunge così il riff assillante di "Wedding Dress", supplica appassionata sul ciglio della perdizione: "Will you walk with me underground / And forgive all my sicknesses and my sorrows?". E come due amanti che si sono detti addio, Mark e Isobel si allontanano nell'oscurità, ciascuno per la propria strada.

Foto di Andrea Rocca

Setlist

1. We Die And See Beauty Reign
2. You Won't Let Me Down Again
3. Come Undone
4. Snake Song (T. Van Zandt)
5. Who Built The Road
6. Free To Walk (J. Lee Pierce)
7. Honey Child What Can I Do?
8. Ballad Of The Broken Seas
9. The Circus Is Leaving Town
10. To Hell And Back Again
11. Saturday's Gone
12. Back Burner
13. Time Of The Season
14. Salvation
15. Come On Over (Turn Me On)
16. Get Behind Me

encore

17. Revolver
18. (Do You Wanna) Come Walk With Me?
19. Ramblin' Man (H. Williams)
20. Wedding Dress

Isobel Campbell & Mark Lanegan su Ondarock

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