27/03/2011

Rhys Chatham + Ex Easter Island Head

Cafe Oto, Londra


Per finire un weekend servono sere di un certo tipo. Di quelle che, pur uscendo, non portino via il calore di casa dai vestiti, che non pretendano di cambiare volto alla malinconia della fine della festa, che non finiscano tardi o che non finiscano per niente.

La domenica sera nell'East End londinese ha gli odori di mercati chiusi sotto la pioggia e della benzina sulle scarpe. Poca gente per la strada e poca dietro le luci delle case. Dove finiscono tutti quando muore una settimana?

Gli Ex Easter Island Head, da Liverpool, hanno iniziato da poco il loro set quando entriamo nel caldo ambiente del Cafe Oto e ci perdiamo nella penombra tra divani e sedie da bar, tavolini e le luci dalla strada tranquilla che ne protegge il gioco di suoni.

Non è di certo un caso se un locale come questo - relativamente piccolo e più simile, appunto, a un café - ospita ormai da qualche mese il meglio dell'avanguardia britannica e non. L'atmosfera è dispersiva quanto basta, il bar è in fondo e il palco attira l'attenzione su di sé abbracciando col suono una struttura squadrata, scarna, oscura.

La musica degli Ex Easter nasce dalla percussione del corpo di chitarre elettriche attraverso dei battenti da timpano. Le occasionali intrusioni di strumenti a fiato completano un quadro musicale basato su ripetizioni melodiche, che alludono alle prime composizioni di Steve Reich ,ma più propriamente alle sperimentazioni di George Antheil (un classico esempio è ovviamente il suo "Ballet Mécanique") o a quelle di un Colin McPhee senza però gli splendidi ricorsi all'etnomusicologia.

La percussione sui corpi delle chitarre dall'accordatura atipica e la lezione avanguardista tengono in piedi un set di un'ora scarsa entro cui convergono manifestazioni di un'apolidia di genere, di un casuale ricorso ai dettami di un minimalismo empirico, prima che musicale, in cui la sperimentazione si piega alla melodia - vero e proprio filo rosso dell'esibizione - relegando l'ascoltatore a uno spaesamento onirico in cui entra guidato dalle ripetizioni e dai benefici del drone.

Il risultato finale è un esempio di musicalità astratta, viscerale e ancora immatura sotto il profilo compositivo ma certamente fertile e interessante.

 

Rhys Chatham, invece, ignora cosa sia una domenica. Dall'alto di chi ha sempre seguito i dettami dell'ispirazione, d'altronde c'è da aspettarselo. Da un tavolo tra i tanti prende posto sul piccolo palco un uomo dall'enorme stazza fragile. Sistema il suo computer ("it's just an expensive stopwatch" dirà, riferendosi al fatto che l'unica funzione dell'oggetto in questione sarà semplicemente quella di dirgli quanto tempo è trascorso dall'inizio del brano), il tempo di congratularsi con l'ensemble di Liverpool, di fare i conti con una finta partenza e l'estemporanea, brillante "23 February 2011" ha inizio.

La struttura è semplicemente un loop sul quale Chatham stende singole note di tromba, che vanno a sommarsi, a coprirsi, a stridere creando un complesso dinamico che cambia di direzione ogniqualvolta le note basse o quelle alte iniziano a prevalere disegnando nuovi intrecci su tessuti sonori a loro volta dinamici per effetto di precedenti sovrapposizioni.

Vengono alla mente l'interpretazione di Chatham di "The Tortoise, His Drems And Journeys" di La Monte Young o le parabole di un'estetica rock applicata a un sentire che, a voler essere noiosi, si potrebbe definire totalista: fragile nell'equilibrio, ma imponente nella realizzazione.

 

Il silenzio torna per pochi minuti - il tempo di riavviare il costoso cronometro e di chiacchierare ancora col pubblico - ed è un'altra recente composizione a sviluppare, in maniera seppur meno avvincente, le cromature dell'opera precedente. Il titolo non lascia spazio a molte domande: "29 February 2011" si muove sulle linee tracciate poco prima spingendosi ancora più in là con le soluzioni atonali, con l'avvicendamento di note prolungate alte e basse, ma restando comunque nei parametri vitali entro cui sembra muoversi il Chatham di inizio millennio.

L'ultima fugace composizione è per chitarra. "Con un'accordatura del tutto speciale", dice lui. E lo si vede stringere e allentare le corde in maniera del tutto casuale il cui risultato è un punk di un paio di minuti stranamente tutto in maggiore.

Veder morire una domenica dona un senso di gioia e rivalsa. Ha il sapore della lieve pioggia, delle poche auto in giro, della città deserta, di Pirro e delle sue vittorie.

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