14/05/2012

Magnetic Fields

Passionkirsche, Berlino


Sapere di dover assistere per la prima volta ad un live di un gruppo che si segue da un sacco di tempo è uno stimolo ancora maggiore del solito a porsi delle domande che troveranno risposta solo durante il concerto. Che tipo di suono adotterà la band dal vivo, tra i diversi che ci ha fatto ascoltare nel corso della carriera? La setlist sarà equilibrata tra i diversi periodi o ci sarà un disco in particolare da cui attingeranno maggiormente? Stephin Merritt si comporterà da leader dispotico e si atteggerà come se gli altri musicisti siano un mero contorno? Suoneranno e basta oppure si dedicheranno almeno un po' anche ad instaurare un rapporto con il pubblico? Pensieri come questi mi rimbalzano in testa mentre mi sto recando alla Passionkirsche, location situata alla periferia di Kreuzberg, uno dei distretti più noti di Berlino. E poi, cos'è questa Passionkirsche, è davvero una chiesa o ne ha solo il nome?

L'ultima domanda è quella che ha la risposta più immediata, ovviamente. Si tratta, in effetti, di una chiesa, per la precisione evangelica, con tanto di panche per accomodarsi proprio come durante una Santa Messa e con spazio per il pubblico anche su un soppalco; non manca il bar che vende bevande analcoliche e anche bottigliette di birra. Non ci sono certo decorazioni pompose e addobbi di grande sfarzo, ma la veste sacrale del luogo nel suo complesso è indubbia e appare stridere non tanto con lo stile musicale dei Magnetic Fields, ma piuttosto con lo spirito che ha sempre caratterizzato le diverse proposte di questo progetto. Forse, proprio per questo, Merritt si lancia immediatamente in piccoli discorsi basati sul nonsense in relazione al posto in cui lui e la sua band devono suonare e non solo. "Visto che è la terza volta che suono in questa chiesa, stavolta vi farò ascoltare canzoni che nessuno di voi ha mai sentito, questo set è composto esclusivamente da materiale nuovo e inedito". Ovviamente sta scherzando e parte una serie di punzecchiature altrettanto ironiche con Claudia Gonson. "Mi è stato detto che non mi è permesso di salire sul pulpito... ancora una volta. Pare che sia un gesto poco rispettoso. Certo, Rufus Wainwright quando ha suonato qui è uscito tutto nudo ma lì invece non c'è stato alcun problema...". Queste e tante altre frasette pronunciate da Merritt e dalle sue fide scudiere, la citata Claudia Gonson e Shirley Simms, servono proprio a creare quel senso di leggerezza, non solo musicale ma di pensiero, che da sempre accompagna la musica dei Magnetic Fields. Il pop deve servire anche a intrattenere, con gusto, con raffinatezza e senza superficialità, certo, ma la voglia di non essere banali non può occupare un ruolo più importante rispetto alla necessità di dare vibrazioni positive all'ascoltatore. Questo è sempre stato il messaggio che i Magnetic Fields hanno lanciato tra le righe delle proprie canzoni e l'atteggiamento dei musicisti sul palco non può che rispecchiare la suddetta convinzione di fondo.

La chiesa con il suo silenzio è comunque perfetta per la strumentazione con cui si allinea il quintetto. Da sinistra a destra guardando il palco: Shirley Simms al piano, Claudia Gonson alla chitarra acustica, Jon Woo all'altra chitarra acustica, Sam Davol al violoncello e Stephin Merritt al synth, usato con molta parsimonia. È un'impostazione che ricorda molto da vicino buona parte di "69 Love Songs", è il suono con cui i Magnetic Fields hanno fatto parlare di sé in tutto il mondo, molto più che con quello synth-oriented degli anni Novanta, ripreso in forma diversa nell'ultimo disco, o con le gentili dilatazioni elettriche alla Jesus & Mary Chain del gioiello "Distortion". Si può avere la coscienza critica più sviluppata del mondo, ma essere in un luogo del genere ad ascoltare dal vivo una band così importante mentre si propone nel modo in cui essa è identificata con maggior immediatezza, non può che emozionare. Chi se ne importa se non c'è nulla di imprevedibile, anche perché poi non è nemmeno del tutto vero, visto che in scaletta ci sono anche canzoni che su disco hanno un suono totalmente diverso. Gli amanti dell'analisi a tutti i costi, coloro che ai sentimenti lasciano poco spazio, sono così accontentati nel riascoltare brani come "Drive On, Driver", "Swinging London" e i tre dell'ultimo disco in una veste sonora molto lontana da come dette canzoni sono conosciute. Poi, quando invece le canzoni suonano così come le si è già ascoltate decine di volte nel corso degli anni, sognando di essere presenti, un giorno, ad una loro esecuzione dal vivo, i sussulti, i fremiti, i sospiri prendono necessariamente il sopravvento.

Anche perché i cinque fanno tutto accoppiando una spiccata sensibilità interpretativa a una naturalezza fuori dal comune. L'emblema della disarmante spontaneità con cui questo live tocca tutte le corde più intime di ognuno dei presenti è una Shirley Simms che quando deve usare una sola mano, con l'altra si mette a posto i capelli, il tutto mentre sta cantando ovviamente, e ogni gesto ha una leggiadria quasi angelica, la stessa del suo timbro vocale e del suo tocco sui tasti bianchi e neri. Ogni musicista gioca un ruolo fondamentale nell'ottenimento di una bellezza sonora tanto semplice quanto abbagliante e l'amalgama è semplicemente perfetto. E il fatto che i Magnetic Fields siano davvero una band è anche dimostrato dal fatto che Merritt fa presentare i brani in diverse occasioni alla Gonson e alla Simms, brani scritti da lui, lo ricordiamo, ma dei quali le due donne sembrano conoscere alla perfezione ogni significato più recondito. Naturalmente, entrambe hanno assorbito totalmente anche il particolare sense of humour di Merritt, che è tutt'altro che leader sul palco, ma si pone come un quinto della band, niente di più e niente di meno.

La scaletta la potete leggere da soli nella parte sinistra di questa pagina. C'è poco da commentare: ogni fan dei Magnetic Fields ha un rapporto privilegiato con "69 Love Songs", perché, se anche non fosse il lavoro con cui ha conosciuto la band, è quasi sicuramente quello che ama di più. È quindi ovvio che faccia estremamente piacere la presenza di così tante canzoni tratte da quell'opera e anche qui Merritt e i suoi mostrano che l'elemento per il quale hanno maggior considerazione è il godimento del pubblico. E di godimento ce n'è stato. Tantissimo.

Foto di Stefano Formiconi

Setlist

  1. I Die
  2. A Chicken With Its Head Cut Off
  3. Your Girlfriend's Face
  4. Reno Dakota
  5. Come Back From San Francisco
  6. No One Will Ever Love You
  7. I've Run Away To Join The Fairies
  8. Plant White Roses
  9. Drive On, Driver
  10. My Husband's Pied-A-Terre
  11. Time Enough For Rocking When We're Old
  12. The Horrible Party
  13. Smoke And Mirrors
  14. Goin' Back To The Country
  15. Andrew In Drag
  16. Quick!
  17. Busby Berkeley Dreams
  18. Boa Constrictor
  19. The Book Of Love
  20. Fear Of Trains
  21. You Must Be Out Of Your Mind
  22. Grand Canyon
  23. Swinging London
  24. It's Only Time
  25. Smile! No One Cares How You Feel


Encore

  1. All My Little Words
  2. Forever And A Day

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