04/12/2013

The Tallest Man On Earth

Magnolia, Milano


Scoprire che uno dei tuoi cantautori preferiti è diventato il beniamino di giovanotti e giovanotte alla moda non è scioccante come trovare una truppa di turisti sudati nel tuo angolo di mondo preferito – è straniante ma bello, soprattutto per la felicità che il pubblico milanese (e non solo, a giudicare dalle parlate che si orecchiano in giro) regala all’uomo più alto sulla Terra in una gelida serata dei primi di dicembre.
Dopo averlo visto ormai tre volte, sempre con un pubblico non insignificante ma mai numeroso ed entusiasta come stavolta, è già una sorpresa scoprire che il concerto al Magnolia è sold out (va ricordato che la capienza del Magnolia, con la nuova tensostruttura che connette lo spazio interno al "vecchio" palco esterno, è ora di diverse centinaia di persone)  – per buona parte grazie a persone fuori dal “circuito”, a vedere la coda di chi non ha, a dicembre, la tessera Arci. Che sia la volta buona?

Magari no – se c’è qualcuno su cui si sarebbe potuto scommettere (non più di pochi euro, però) per un successo di questo tipo, questo poteva tranquillamente essere Kristian Matsson. Il piccolo svedese ha un talento raro nel circuito folk più o meno indipendente, qualcosa che spesso sfugge a chi, magari, si sentirebbe di guardare Kristian dall’alto in basso, dall’alto di un’arte spenta ed elitaria: la capacità di creare qualcosa di popolare senza per questo essere indulgente, volitivamente “positivo” senza essere superficiale, etc. etc. Senza contare l’immenso istinto melodico, che gli ha permesso di coltivare una carriera di “questo” successo con un paio di strumenti: chitarra e voce.
È tutto questo che viene celebrato nella splendida serata milanese, costellata di facce felici e di cori timidi e appassionati (perché c’è pochissima gente venuta lì “per caso” o per moda, altra novità insperata – il silenzio e il trasporto collettivi si avvicendano con tempismo perfetto), che Matsson attrae a sé muovendosi con la solita plasticità emotiva sul palco, che non deve neanche ostentare ma che gli sfugge con naturalezza, dato l’evidente affetto del pubblico.

La folla è già avvolta da una fibrillazione composta ma percettibile, per come si fa coinvolgere dai canonici e assai poco sorprendenti fratelli Nordgren, celebrati ben oltre i loro meriti (si alternano fin troppo a lungo tra lenti rustici del Neil Young più elettrico e ballate blues rocamente sensuali alla moda di “Brothers”). Quando The Tallest Man On Earth irrompe sul palco afferrando la chitarra, muovendosela addosso con un amante, e ruggisce nel microfono “I wanna be the King of Spain!”, la coscienza di sé vacilla tra i repentini cambi di strumento (e di canzone) e ci si perde nel flusso delle canzoni di un Kristian stanco (questo è il suo penultimo concerto prima di uno stop di preparazione al nuovo disco) e commosso dal pubblico, che cerca di abbracciarlo a ogni interruzione.
Il concerto è di stampo prettamente celebrativo, le canzoni dell’ultimo “There’s No Leaving Now” si confondono senza prevalere su quelle ormai classiche, come “The Gardener”, “The Wild Hunt” (che chiude la prima parte del concerto) e “Won’t Be Found” (anche se, dalle richieste e dalle reazioni, andrebbero più o meno tutte bene); Matsson alterna brani ruspanti e ballate elettroacustiche in un programma ormai rodato, forse fin troppo, se uno si sente ancora “artista”.

Si tratta comunque di una lunga (un’ora e mezza alla fine) cavalcata trionfale, un crescendo di applausi e di ululati che culmina nell’abbraccio finale, letteralmente, dello svedese a qualcuno della prima fila; commosso, promette che tornerà presto con della nuova musica, tra inchini e saluti. E piace pensare che The Tallest Man On Earth sia uno dei pochi che riusciremo ad apprezzare dal vivo, con o senza un repertorio nuovo, anche tra dieci o vent’anni.