07/03/2008

Eels

Conservatorio Giuseppe Verdi, Milano


“Mark Oliver Everett!”. Perentoria e solenne, una voce misteriosa riecheggia tra le mura del Conservatorio di Milano. “THIS is your life!”. Tuta da lavoro scura e cappellino da baseball calato sul volto, l’uomo chiamato E si guarda intorno perplesso nella penombra della sala. “It is? Weird…”, bofonchia tra l’incredulo e il sarcastico. Mr. E vs. God, atto primo: ha inizio la rappresentazione scenica di vita e miracoli di Mark Oliver Everett. Solo con la propria chitarra, il creatore degli Eels, come in ogni storia che si rispetti, comincia il racconto dal più classico degli incipit: il momento della nascita. “I was happy to be alive / In a magic world”. C’era una volta il figlio di un fisico quantico che sognava di suonare la batteria…

Nel 2005, E aveva rubato il cuore al pubblico milanese con l’incarnazione cameristica degli “Eels with strings”. Al suo ritorno nella penisola, aveva spiazzato tutti con il suo lato più spigoloso ed elettrico, autoproclamandosi “No strings attached”. Stavolta, E porta in scena con “An evening with Eels” una sorta di autobiografia in musica e parole, pronto a mettersi a nudo con la consueta sincerità ed autoironia. Ma le cose non vanno tutte per il verso giusto.
Il diario di E si apre già prima dell’inizio del concerto, quando viene proiettato il documentario della BBC “Parallel Worlds, Parallel Lives” dedicato al viaggio di Everett alla riscoperta della memoria del padre, brillante ed incompreso ideatore di una rivoluzionaria teoria scientifica sugli universi paralleli. Una parte del pubblico, tuttavia, sembra non riuscire minimamente a cogliere il senso del filmato e comincia a fischiare e rumoreggiare con un sorprendente sfoggio di ottusità: sorprendente soprattutto per qualcuno che, avendo deciso di partecipare ad un concerto degli Eels, dovrebbe avere quantomeno una certa predisposizione alle bizzarie di E ed alle sue confessioni familiari…

Si capisce subito, allora, che questa volta la perfetta alchimia tra pubblico e artista di tre anni fa non riuscirà a ripetersi. Mr. E inframmezza i brani con sketch umoristici e letture tratte dalla sua recente autobiografia, “Things The Grandchildren Should Know”, ma nessuna trovata sembra riuscire a coinvolgere davvero il pubblico.
Potrebbe apparire pretenzioso, questo voler deviare dal canone del concerto rock per dare spazio a narrazioni, immagini, scampoli di cabaret… Ma non è presunzione, quella di E: è piuttosto il bisogno di mettere ancora una volta al centro il racconto puro e semplice della propria esperienza di vita. La voce fuori campo, del resto, l’aveva annunciato da subito: “The following is a true story”… Quello che sembra mancare nella platea del Conservatorio è proprio il desiderio di mettersi in gioco a questo livello, di confrontarsi con un’esperienza umana: ogni tentativo di spingersi più in profondità finisce per essere sentito come la fastidiosa intrusione di un elemento estraneo alla musica. Non c’è troppo da stupirsi, allora, se alla fine del concerto E non degnerà neppure di un cenno i pochi fedelissimi rimasti ad aspettarlo infreddoliti nella speranza di un autografo del loro scorbutico beniamino…

Dopo un paio di brani in solitudine, ad accompagnare E per tutta la serata entra in campo il fido The Chet, che impreziosisce con i suoi intarsi di chitarra la melodia della vecchia “Strawberry Blonde”, ripescata per l’occasione dal cilindro delle b-side di E: una formula a due che ricongiunge le origini soliste di E con la storia decennale degli Eels in una veste intima ed aerea. Il connubio con The Chet, che dura ormai dai tempi di “Shootenanny!”, ha raggiunto una complicità tale da non far rimpiangere la vecchia collaborazione con l’ex-batterista Butch. Ed anche se il fascino degli “Eels with strings” resta difficile da eguagliare, The Chet si conferma non solo come un validissimo polistrumentista, capace di alternarsi tra chitarra, batteria, pianoforte, sega, pedal steel e organo, ma anche come una perfetta spalla per gli intermezzi brillanti di E.
Sull’onda di “Useless Trinkets”, E sfodera rarità come “I Want To Protect You” e la splendida “Fucker”, che nonostante sia rimasta a lungo inedita è da sempre uno dei brani più amati dai fan degli Eels. Nel corso della serata, il disco da cui E attinge maggiormente è il capolavoro “Electro-Shock Blues”, da un’inattesa “Ant Farm” al tintinnare di celesta di “Last Stop: This Town”, fino ad una “Elizabeth On The Bathroom Floor” resa ancora più spettrale dal pianto della sega.
“Souljacker Part I” si trasforma in un blues lunare, percorso dai fraseggi acidi della chitarra di The Chet e dalle grida aspre di E. Le potenti rese per chitarra e batteria di “My Beloved Monster” e “Novocaine For The Soul”, di solito trasfigurate nelle maniere più improbabili, suonano invece sorprendentemente fedeli alle versioni originali.

Mr. E gioca ancora una volta con i cliché della rockstar, leggendo una serie di parodistiche lettere di fan e una raccolta di recensioni che esaltano sistematicamente solo le performance di The Chet… Poi affida al suo compare la lettura di due brani di “Things The Grandchildren Should Know”, in cui E racconta prima il suo surreale incontro a Los Angeles con l’attrice Angie Dickinson e poi l’episodio che ha ispirato “Last Stop: This Town”, quando la padrona di casa gli riferì di avere visto il fantasma di una giovane ragazza aggirarsi nel suo appartamento ed E immaginò che lo spirito della sorella Elizabeth potesse tornare per salutarlo un’ultima volta.
A trascinare è soprattutto un’esplosiva “Flyswatter”, con E e The Chet a scambiarsi di posto tra pianoforte e batteria nel bel mezzo del brano, permettendo a Mr. E di riesumare il suo passato da batterista provetto con uno scalpitante assolo. “Bus Stop Boxer” acquista nuova drammaticità grazie ad un emozionante accompagnamento pianistico, mentre The Chet dimostra di cavarsela egregiamente anche nei panni del cantante, accompagnato alla batteria da E in una cover nientemeno che di “Good Times, Bad Times” dei Led Zeppelin

Al ritorno sul palco per i bis, una scarna e delicata “P.S. You Rock My World” porta a compimento la parabola esistenziale di E nel modo più semplice e concreto: “Maybe it’s time to live”, mormora E con la sua voce intrisa di polvere, e le sue parole suonano cariche di una verità in cui è facile riconoscere la corrispondenza al cuore. “Le circostanze più dure che ho attraversato”, riflette E nella propria autobiografia, “mi hanno reso più facile apprezzare veramente tutte le grandi cose nella mia vita”.
La voce del deus ex machina che risuona nella sala, ora, ha perso il suo tono minaccioso. “Mark Oliver Everett! You’ve done good, kid!”.

(12/03/2008)

Setlist

1. A Magic World
2. Ugly Love
3. Strawberry Blonde
4. Ant Farm
5. Fucker
6. Souljacker Part I
7. Elizabeth On The Bathroom Floor
8. Climbing To The Moon
9. My Beloved Monster
10. I Like Birds
11. Jeannie’s Diary
12. In The Yard, Behind The Church
13. Last Stop: This Town
14. I Want To Protect You
15. Flyswatter
16. Bus Stop Boxer
17. Novocaine For The Soul
18. Good Times, Bad Times (Led Zeppelin)
19. Somebody Loves You
20. Souljacker Part II

encores

21. I’m Going To Stop Pretending That I Didn’t Break Your Heart
22. P.S. You Rock My World

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