12/07/2008

Siouxsie

Teatro Romano, Ostia Antica (Roma)


E’ una strana popolazione quella che si raduna tra le rovine di Ostia Antica in una calda notte di mezza estate. Punkster fuori tempo massimo, darkettoni irriducibili, stagionati voyeur (s’intravede anche l’inconfondibile barba di Paolo Zaccagnini), più una piccola folla di curiosi. Tutti riuniti per partecipare a un rito voodoo anch’esso decisamente fuori stagione, officiato da una cinquantunenne signora inglese dai trascorsi un po’ turbolenti.
Insomma, eccoci qui per la notte delle streghe più improbabile degli ultimi anni.

La storia recente di Susan Janet Dallion è tutta una sequela di separazioni. Sciolti da tempo i Banshees, chiusa l’esperienza collaterale dei Creatures, lasciato il marito (lo storico batterista Budgie), è rimasta solo lei, Siouxsie, ex-regina e icona suprema della dark-wave, reduce dalla prima esperienza tutta al singolare in trent’anni di carriera, quel “Mantaray” che era passato un anno fa senza lasciare particolari tracce. Ma è proprio da qui che si riparte, per un concerto che suonerà più come una celebrazione che come un tentativo di rilancio.

Il colpo d’occhio del Teatro di Ostia Antica è notevole, così come la macchia nera che si allunga sulla pietra color sabbia. Esistono ancora i dark? Almeno per stasera pare proprio di sì, e hanno anche molta più voglia di divertirsi del solito. Non può essere diversamente, del resto, perché la Siouxsie di oggi non ha quasi più nulla di quella ieratica e sdegnosa sacerdotessa delle tenebre che imperversava negli anni 80, e neanche di quell’algida torturatrice di pelli di tamburo incrociata nel tour dei Creatures del 1999. Fin dall’ingresso sul palco, scopriamo una Siouxsie nuova, addirittura autoironica, che non insulta più il pubblico – come da galateo punk – ma gioca a stuzzicarlo e sedurlo.

Stretta in una tutina/ona spaziale che, più di Ziggy Stardust, ricorda la Dee D. Jackson di “Meteor Man”, l’ex dark-star dà vita a uno show di grande impatto scenico, senza risparmiarsi balli, mimiche teatrali e perfino spaccate in aria alla Heather Parisi (!).
Fin dall’attacco di “They Follow You” – primo di una lunga serie di brani da “Mantaray” – si avverte però qual è il vero problema: la voce. Persa gran parte della sua proverbiale potenza, Siouxsie si avventura raramente sui registri alti, e intona quasi ogni nota con uno stucchevole glissando dal basso. A complicare le cose provvede anche un’amplificazione non ottimale, che tarda a mettere il giusto “effetto” sulla voce: la fase finale sarà migliore anche per questo.

I pezzi di “Mantaray” – in bilico tra crooning morboso e rock un po’ laccato – non scaldano il pubblico. Fanno eccezione una potente esecuzione del singolo “Into A Swan”, teso e metallico, e la galoppata delirante di “One Mile Below”. Le belle scenografie, con luci basse e drappi scuri agitati dal vento a scoprire le rovine, contribuiscono efficacemente allo show.
Ma Siouxsie ha in serbo alcune generose sorprese. Ecco allora la doppietta bansheeChristine”-“Happy House” a scatenare le danze in platea, con la cover della beatlesianaDear Prudence” a completare la celebrazione. “Siete contenti?” chiosa con un sorriso compiaciuto.
E’ però nella seconda parte del concerto che si scatenerà il delirio.

Siouxsie torna sul palco con un turbante in testa per asciugarsi il sudore che le devasta il mascherone. E spara le sue cartucce migliori. Il rimbombo del basso di “Israel” è un tuono nella notte di Ostia: il pubblico impazzisce e si accalca sotto il palcoscenico, il superclassico dei Banshees riesce a essere ancora un pugno nello stomaco, anche se intonato con tonalità un po’ più controllate. Poi, “Arabian Knights”, una delle melodie più memorabili del dark-punk: atmosfere arcane e suggestioni mediorientali scandite da continue variazioni di ritmo che sfociano in un galoppo forsennato. Poi, Siouxsie addirittura si trasforma in juke-box: “Che cosa volete?”. Alla fine decide lei e il teatro romano esplode sui rintocchi cinesi di “Hong Kong Garden”, il primissimo singolo, scelto perché “è il suo compleanno”: trent’anni ben portati per l’immortale filastrocca che lanciò i Banshees.
A suggellare l’epico commiato arriva l’altra scarica di adrenalina di “Spellbound”, l’ouverture di “Ju-Ju”, che risplende ancora in tutta la sua potenza. “The Banshees have those beautiful guitars...” ricorda Siouxsie con una punta di nostalgia, e il pensiero non può non andare al grande John McGeogh, scomparso di recente.

Alla fine, nonostante tutto, resta l’impressione piacevole di aver condiviso ricordi ed emozioni con una stella un po’ decaduta, disposta a mettersi in gioco e a celebrarsi con simpatia. Non esattamente quello che ti aspetteresti dall’ex groupie dei Sex Pistols che aveva fatto della sua scontrosità una specie di leggenda... ma il rock, si sa, riserva sempre qualche sorpresa. E poi, quando la rivedremo più, tutta insieme, la strana umanità incontrata stasera a Ostia Antica?