18/05/2011

Selecter + Thee Oh Sees

Circolo degli Artisti, Roma


Forse l'abbinamento non è stato dei migliori. E dico forse, perché al di là dei (pre)giudizi da incasellamento - che potevano essere più che giustificabili se consideriamo una serata come quella del 18 maggio al Circolo degli Artisti di Roma, in cui ai "freschi" Thee Oh Sees seguivano gli "scafati" The Selecter - la strana schizofrenia stilistica organizzativa ha trovato, come al solito, una soluzione più che soddisfacente nell'esibizione effettiva. Perché era proprio uno iato quasi irrecuperabile a separare il 2 tone-ska della storica band inglese (Coventry per la precisione) dallo psycho-garage degli statunitensi (San Francisco) Thee Oh Sees. La tensione da delusione a priori era quindi alle stelle, soprattutto in relazione al fatto che non tutti erano lì per entrambi.

 

Fortunatamente la band di John Dwyer - chitarrista calcante non da poco le scene dell'underground americano - è stata abile nel far dimenticare sin da subito le contraddizioni di tale scelta ordinativa. Il loro garage-rock dilatato, che non sarà certamente accostabile a quello dei 13th Floor Elevators né a quello dei Seeds o degli Electric Prunes (tutt'al più ai Count Five o ai Troggs, per sottrazione), riporta direttamente a un modo di suonare il rock vicinissimo ai suoi veri esordi punk, ovvero a quei sixties documentati in raccolte come "Nuggets" o "Back From The Grave". E questo, naturalmente, solo se scrutinato in maniera riduttiva, perché in realtà i Thee Oh Sees detengono tutta la consapevolezza di chi conosce a memoria quel periodo storico e lo ha masticato a sufficienza per poi riproporlo secondo un'estetica lo-fi perfettamente cosciente dell'attuale verbo alternative. Un'operazione filologica, di sicuro, ma molto vicina negli esiti all'intensità originaria. Con tanto di aggiornamenti relativi.

 

E dal vivo non potevano fare una piega - di conseguenza - vista la fermezza con cui il quartetto infieriva sui propri strumenti, a cominciare quindi dalle chitarre di Dwyer, che praticamente ricoprivano da sole gran parte del sound "totale" della band, seguite immediatamente dalla batteria indomita di Mike Shoun, un vero e proprio mattone nel wall of sound complessivo, che trovava poi nella voce e nel tamburello di Brigid Dawson (a sormontare delle tastiere inutilizzate) la giusta controparte femminile, cesellatura ideale assieme al basso ostinato di Petey Dammit per le asperità del gruppo. Capolavoro di questa pratica crudelmente scanzonata è stata la loro versione (per l'occasione) di "Warm Slime", la traccia che ha dato il titolo all'album del 2010, nella quale si è manifestata tutta la loro anima freak e ossessivo-spastica, da esternare con un'improvvisazione centrale in cui ha trovato spazio, oltre alla vena più psichedelica già presenza costante dell'esibizione, un assolo di batteria assolutamente non fuori luogo con tanto di microfoni aggiunti ad hoc.

 

Se la sala non era dunque già piena per i Thee Oh Sees, ha sicuramente raggiunto il collasso con l'ingresso dei The Selecter, i quali hanno subito mutato l'ambiente circostante in una dancehall imparentata probabilmente più con una strana atmosfera new wave britannica che con quelle reggae attuali, forse per la presenza massiccia di skinhead (o meglio, come i loro stessi cori hanno più volte sottolineato, Rude Boys). Questa strana cesura stilistica è risultata tuttavia meno brusca di quanto ci si potesse aspettare: perché tutto sommato la band inglese ha suonato davvero bene, nonostante gli iniziali preconcetti di genere. Ed era pur sempre uno stesso spirito spassoso ad accomunare le attitudini comunque differenti delle due formazioni.  In occasione di questo reunion tour la band ha quindi riproposto in larga parte brani tratti dal suo album-capolavoro "Too Much Pressare", mostrando per la serata al Circolo tutta la perizia tecnica dovuta chiaramente alla loro (più che) trentennale esperienza - unita all'energia che solo in un concerto di questo tipo poteva venir fuori.       

D'altronde, erano loro l'attrazione principale della serata, e in un certo senso la serata gli apparteneva. È il tempo a stabilire delle priorità, a volte, anche se mai come oggi una certa abitudine dell'underground - e non solo - porta i musicisti al camaleontismo costante (in senso buono), dando così forma alle loro diverse anime attraverso numerosi progetti paralleli corrispondenti. È questo il caso dei Thee Oh Sees. E un punto a favore per i Selecter.  

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