05/11/2012

Micah P. Hinson

Circolo degli Artisti, Roma


Con la sfacciataggine ormonale di un brufolo ormai maturo, Micah Paul Hinson esplode in un concerto dalla durata indefinita e indefinibile di fronte al pubblico accorso numeroso per la data capitolina. Indefinita e indefinibile perché, dopo quasi due ore di un suo live per sola chitarra e voce, sfido chiunque a non perdere un minimo quelle coordinate spazio-temporali che ci legano al Mondo. Ne sanno sicuramente qualcosa, in modo opposto e contrario, le due ragazze alla mia destra e alla mia sinistra. Alla mia destra, una ragazza poco più che ventenne canta a memoria quasi tutte le sue canzoni, sguardo perso in alto, in direzione del palco; è un piacere vederla sorridere quando Micah apporta delle lievi o sostanziali modifiche ai testi da lei memorizzati. Alla mia sinistra, la ragazza che ogni critico musicale non vorrebbe mai incontrare a un concerto. Una studentessa universitaria fuori sede, accorsa assai probabilmente per l'iconografica foto di Micah che appare sui manifesti, dopo sole cinque canzoni inizia a borbottare qualsivoglia castroneria sulla giornata appena trascorsa rivolta al temerario ragazzo che si è portata dietro. In entrambe i casi, è come se il Tempo si fosse fermato. E' come se il Tempo fosse scandito da Micah P. Hinson.

Micah P. Hinson - Foto di Massimo MonacelliLocale stracolmo, dicevamo, anche di molti turisti americani orgogliosi della stoica ripresa del loro compatriota dopo il grave incidente che lo ha visto coinvolto un annetto fa a Barcellona, e grande vendita fuori delle locandine della serata. Un euro a poster, prezzo onesto. Peccato solo che l'amplificazione del Circolo non sia quella del Santa Cecilia, ma si fa orgogliosamente quel che si può. L'effetto è infatti ugualmente travolgente.
Lo show comincia e la sensazione è quella di avere a che fare con un novello Johnny Cash in versione hooligan. La migliore tradizione country-folk d'oltreoceano accordata sul registro dell'attualità: cosa che non stupisce affatto, infatti, sono scarni vocalizzi tendenti allo “screamo” che puntellano l'esibizione. Ovazione e coinvolgimento anche per i brani meno noti, quelli appartenuti agli Ep, come “The Beneath Rose” o “Presents The Surrending”. Dimostrazione lampante di una serata all'insegna più della buona musica che della volontà programmatica di promuovere un disco. Questo nonostante ogni tanto ci scappi anche un inedito, presentato dal ragazzo del Tennessee (senza titolo, come consuetudine in questi casi, ma con dovizia di particolari) come gradita anticipazione del nuovo disco, in uscita la prossima primavera. E se la mia impudente vicina di live ogni tanto se ne esce con un imbarazzante “Ma sembra mio fratello che sta recitando le pòesie!” o qualcuno - esausto - inizia a fischiare dal fondo alla logorrea del menestrello Hinson, ci pensa lui a mettere i puntini sulle i con un suburbano quanto laconico “If you don't like my song, get the fuck out!”. Chapeau.

Micah P. Hinson - Foto di Massimo MonacelliIl sismometro che misura il livello di eccitazione sotto palco ovviamente si impenna quando decolla “The Micah P. Hinson And The Red Empire Orchestra”. Anche se un certo fomento accompagna l'esecuzione di quasi ognuna delle canzoni che, a risentirle dal vivo, confermano la sua innata capacità di scrittura e la piena confidenzialità con il proprio essere artista ancora prima che trentunenne di Memphis. In tutto fa un'ora e quaranta di concerto, un po' di bis, e tutti a casa. Ma ancora imbambolati e appagati. Per motivi opposti, sia la ragazza alla mia sinistra che quella alla mia destra, sorridono. Niente male. Soprattutto per un tipetto mingherlino che a vederlo da lontano sembra la copia freak di Chester Bennington dei Lìnkin Park.

Foto di Massimo Monacelli