24/10/2013

Arborea

Tender Club, Firenze


La situazione dei parcheggi a Firenze è un autentico caos, figuriamoci poi quando la pulizia delle strade coinvolge un intero quartiere, attentando seriamente alla pazienza di chi è spasmodicamente alla ricerca di un posto. Indubbio che lo stesso valga anche per molte altre città italiane: se però il girare in tondo per una mezz'ora buona rischia di farti perdere uno dei concerti più attesi della stagione (per chi scrive, naturalmente), allora c'è sul serio di che infuriarsi.
Pericolo sventato di un soffio, fortunatamente: giusto il tempo di allungare il passo e di dirigersi in fretta e furia verso la Stazione di Santa Maria Novella, dietro la quale è situato il Tender Club (forte quest'anno di un calendario concertistico davvero invidiabile), per sentire attaccare, dieci minuti dopo, il più importante act di folk psichedelico degli ultimi anni, gli Arborea.

Un'attesa intima, assolutamente personale, quella per il loro live, non scevra comunque da una certa preoccupazione: la memoria di quanto avvenuto lo scorso Febbraio, nello stesso locale, durante l'esibizione della musa hawaiana Simone White (un pubblico irrispettoso fino all'inverosimile, richiamato com'era ovvio dalla gratuità dell'evento) non poteva non destare un minimo di apprensione, considerata anche la sottigliezza espressiva del duo, che nel silenzio circostante trova l'ambiente più adatto al suo incredibile trasporto evocativo.
Tutti timori che alla prova del nove non trovano alcun fondamento, per buona sorte: complice il giorno non particolarmente propizio all'uscita dei più (un Giovedì solcato da fitti nuvoloni in cielo), come anche la piccola somma da spendere per poter accedere al locale, il pubblico accorso non avrà superato la quarantina di persone in tutto, preservando così la mirabile alchimia del sound di Buck e Shanti Curran.

Difficile dire molto sui Ghost To Falco, band di Portland che ha aperto la serata. Da quel poco che si è potuto ascoltare, il terzetto statunitense è dedito ad un'interessante, quanto ancora irrisolta, convergenza di blues, folk e noise-rock, messa in mostra dal canto stentoreo del frontman. Un ascolto più ragionato dei loro lavori indubbiamente confermerà o smentirà queste fugaci impressioni. Giusto il tempo che il trio smonti la propria strumentazione e si ritiri in camerino, che fanno il proprio ingresso in sala i coniugi Curran, per la prima volta in Italia in un mini-tour di sei date che ha toccato Firenze alla sua quarta tappa.
Con una naturalezza e una semplicità che ben si addice all'andamento sobrio della loro musica, Buck, armato della sua chitarra elettrica, e Shanti, intervallandosi tra banjo e acustica, il tempo di accordare i propri strumenti e si proiettano senza indugi al di fuori di questo mondo, assorti nelle trascendenze estatiche della propria musica. Incentrati prevalentemente sui pezzi estratti dal loro ultimo, ottimo lavoro “Fortress Of The Sun” (giusto i primi due brani del concerto non sono stati pescati dal disco), i cinquanta minuti del live scorrono quindi tutti d'un fiato tra le contemplazioni paniche di “Daughters Of Man”, la magia senza tempo di “Cherry Tree Carol”, il rapimento di un traditional quale “When I Was On Horseback”, proposto, come di consueto nei loro spettacoli, totalmente a cappella.

Anche quando il pizzicare sulle corde dell'acustica cessa, e la chitarra elettrica ha terminato di insistere sull'ultimo accordo (un dialogo strumentale che rievoca i paesaggi silvestri dei primi Espers), l'incanto proprio non ne vuole sapere di spezzarsi. Anche negli stessi momenti di pausa, in cui Buck riaccorda il proprio strumento (un inconveniente che lo accompagna per tutta la durata del concerto) e Shanti intrattiene il pubblico, con aneddoti e curiosità riguardanti i loro brani, pare proprio non esserci alcuna colloquialità, alcuna differenza rispetto alle delicate volute della loro musica.
Anzi, nel vederla sorridere, nell'interagire con i pochi astanti, nel rivolgere i propri sguardi al compagno di una vita, il suo aspetto di driade contemporanea pare quasi accentuarsi, diventare un tutt'uno con la realtà. Ma in fin dei conti, al termine di questi cinquanta musica, è davvero importante distinguere i due piani?

Chi scrive si scusa per tutto questo insistere sull'aspetto prettamente fatato della breve puntata fiorentina degli Arborea. Obiettivamente però, è davvero impossibile prescinderne, anche in minima misura: privarsene significherebbe rinunciare ad un'esperienza sensoriale a suo modo unica, irreplicabile nella sua totalità su disco o su qualsiasi altro supporto preso in esame. Nella speranza che alla prima tournèe italiana del duo ne seguano presto di nuove, i coniugi Curran hanno comunque regalato un'ora scarsa tra le più coinvolgenti (se non proprio totalizzanti) dell'annata. Unico rammarico, il non essere riusciti ad ascoltare “After The Flood Only Love Remains” dalla viva voce dei due: sarebbe stato l'autentico coronamento della serata.