22/11/2013

Unknown Mortal Orchestra

Mattatoio Culture Club, Carpi


Piazza dei Martiri a Carpi è grande, grandissima: arrivi in centro e ti si presenta una distesa, fredda e deserta, con i lunghi portici a ponente e il castello di dirimpetto e, verso nord, il duomo, che alle otto di sera non si vede un'anima; il Mattatoio non è in quella piazza, ma in una parallela proprio dietro il Palazzo dei Pio (il Castello di prima); divide l'affitto con una facciata della Sagra - come chiamano qui la chiesa più antica della città - e possiede un'anima gotica di base: sarà per il primo freddo o per quell'aria secca o per l'albero già spoglio all'ingresso di dicembre. 

Alle ventidue i primi, giovani olandesi aprono il trittico serale: sono i Mozes And The Firstborn. I quattro "disperati" sono delle mele acerbe che riesci comunque a mandar giù fino in fondo, sputando il torsolo e ammicando a te stesso che qualcosa in più si possa fare, ma che di polpa saporita ce ne sia eccome. Eseguono, loro: propongono pezzi estratti dall'esordio, in cui spiccano per trasporto (con accenni dal pubblico) "I Got Skills" e l'apertura "Bloodsucker", proposta in una versione "disagiata" e meno trainante, con un Melle Dielesen da sguardo fisso nel vuoto e una quadratura comunque sorprendente per una band embrionale, già di passaggio in italia qualche mese fa. Leggeri e diretti i Mozes And The Firstborn promettono miglioramenti su lungo periodo, forse soddisfando anche chi, come il sottoscritto, li aspettava un po' più come "scappati di casa" che come figli del simenoniano Kees Popinga da Groninga. 
Prendo respiro e anche una birra, girovago, parlo con gente e mi ritrovo con i Brothers In Law che attaccano la canonica "Lose Control", nel ballatoio del dentro-fuori, nei sogni vividi dei nostrani. E lo spettacolo è di egregia qualità - "Go Ahead" e "She's Gone Too Far" su tutte - ammettendo, comunque, che la linea sonora dei Brothers In Law non sia la meglio consequenziale con quella dei successivi headliner della serata; ma il contesto lo permetteva e sapere che oltre alla doppietta ci fossero anche i marchigiani, ecco, ha dato spinta maggiore alla personale gita fuori porta. 

Il momento giunge quindi, l'attesa esaurisce e Ruban Nielson si presenta sul palchetto del lungo "sgabuzzino", stipato di cristiani dal palco alla toilette; lo accompagnano Portrait al basso e Geare alla batteria che indossa il consueto copricapo peloso, una sorta di colbacco non colbacco. Già sento nell'aria un vociare postumo, che lamenta una location inadatta per un artista di questo calibro, che sarebbe stato preferibile organizzare l'evento in uno spazio più ampio; ecco la mia a riguardo: non credo. Il Mattatoio è stata una scelta adatta e azzeccata per valorizzare l'essere di Unknown Mortal Orchestra, la musica che compone e l'umanità a bassa fedeltà che ha dimostrato anche in questo esordio nella nostra penisola. Lo spettacolo è stato tale per il contatto diretto con l'artista, per lo scambio emotivo nitido e visibile tra Ruban e pubblico, non replicabile in una realtà probabilmente più "comoda", ma di certo meno sincera. 
La somma dei fatti sta nella capacità della band di mollare le briglie dei presenti, proponendo una scaletta interessante e miscellanea tra primo e secondo disco: dalla partenza in sordina con "From The Sun" (bello l'ingresso corale della band al minuto e mezzo) ai movimenti beat sixties di "How Can U Love Me" (entusiasmante la jam a metà e nella coda), proseguendo con la psichedelia lisergica di "Monki" per finire con gli ideali abbracci felici di "Ffunny Ffrend". E' chiaro che lo spettacolo non termini così in fretta e il protagonista ritorni in scena proponendo l'acclamata "Swim And Sleep (Like A Shark)" in versione "Blue Record", solo voce e chitarra; proprio lo strumento a corde è il cuore di Unknown Mortal Orchestra che si dimostra un ottimo strumentista - l'influsso jazz del padre qualcosa conta - con qualche strappo nelle pezze vocali, improvvisando per tutto il concerto, divertendosi e compiacendosi, credo di poter dire con candida sincerità. Come quando il sorriso è ampio, prima di intonare, paradossalmente, "So Good At Being In Trouble" e chiudere la serata con una lunga e scombinata "Boy Witch", tra applausi, ringraziamenti e "gimme five" schiacciati tra le prime linee e il protagonista della terra dei Kiwi.

La fanatica ricerca sonora lo-fi di Unknown Mortal Orchestra, che su disco rappresentava certamente un valore aggiunto, è affievolita in versione live, integrata invece da una carica analogica da vecchi tempi, che si palpa faticosamente nel presente della musica live, sia che si parli di underground che di mainstream. Improvvisare significa avere coraggio e divertirsi a giocare, cosa che Ruban Nielson, memore anche del proprio passato, sa fare molto bene.

Foto di Eleonora Premoli