24/02/2014

Anna Calvi

Auditorium Parco della Musica, Roma


Il ritorno di Anna Calvi a Roma si tiene nella funzionale Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica. Il suo secondo album, “One Breath”, non ha raccolto le medesime lodi dell’omonimo esordio, ma col passare del tempo la musicista inglese ha visto aumentare esponenzialmente il proprio livello di notorietà. C’è pertanto molta attesa per vedere quanto l’artista saprà modificarsi rispetto al tour precedente, e quanto saranno efficaci dal vivo le composizioni più recenti.
La prima cosa che risalta agli occhi è la totale mancanza del colore rosso, che aveva sin qui caratterizzato la scena, una scelta estetica evidente già dalla grafica del disco. Anna si presenta in nero, pantaloni, camicetta, tacchi, e capelli che scendono a boccoli sulle spalle, rinunciando alla tenuta da ballerina di flamenco che la lanciò nell’immaginario collettivo come grande matador dei migliori live club internazionali.

Il centro della scena è tutto per lei, voce e chitarra; alle sua spalle si muovono i tre musicisti che la accompagnano, impegnati su batteria, tastiere e basso. Il concerto è emozionante, la voce a tratti inarrivabile, la tecnica chitarristica è efficace, tutti elementi assolutamente prevedibili e ben noti ai più.
Il bello è che ora la Calvi ha due buoni dischi in carniere, e può pescare il meglio da entrambi offrendo un set nel quale le canzoni sono tutte di livello. Infatti la scaletta è un vero e proprio best of di quanto finora inciso dalla cantante, la quale tralascia gli episodi più soporiferi per dare spazio al materiale più urgente e diretto.

Poco più di un’ora di rara intensità che parte sulle note di “Suzanne And I” e fino alla chiusura di “Love Won’t be Leaving” non concede attimi di tedio. La presenza della Calvi è magnetica, un corpicino minuto, che pare dover soccombere da un momento all’altro sotto il peso della Telecaster, ma che riesce ad attrarre su di sé tutta l’attenzione dei presenti, assorti in un silenzio liturgicamente rispettoso. Evidentemente timida, sembra dover implodere in sé stessa, per poi improvvisamente lanciarsi in brevi uragani sonici che colpiscono come frustate per poi ritrarsi repentinamente.
Costantemente a metà strada fra elettrico songwriting e western noir dal sapore desertico, Anna vince la sfida contro sé stessa, e si conferma compositrice e interprete di primissimo piano. Ovviamente non sfigura al cospetto di impegnative cover quali la “Surrender” che fu di Elvis (versione inglese della “Torna a Surriento”, un omaggio alle radici italiane?), la "Fire" di Springsteen e la “Jezebel” mutuata dal repertorio di Edith Piaf, epilogo di quei bis che hanno trovato in “Blackout” uno dei momenti più vivaci della serata.

Il pubblico però resta composto e seduto (la solita grande pecca dell’Auditorium, un immobilismo che solo National e Nick Cave recentemente sono riusciti a scardinare), fino a quando la signora decide di regalare alla platea romana un secondo bis imprevisto. La band resta in camerino e Anna, da sola, voce e chitarra ma mai disadorna, rientra in scena scatenando il pubblico che si getta finalmente sotto il palco. Esegue “No More Words”, da brividi, e poi finalmente sorride davanti agli applausi sinceri della folta platea.
La tensione finalmente è passata, la Calvi chiede al pubblico di suggerirle l’ultimo brano. Sarà l’hendrixiano “Foxy Lady”, sul quale, meglio che altrove, riuscirà a dimostrare tutta la propria tecnica chitarristica. Finisce così, in maniera trionfale, ed è evidente che siamo soltanto ai primi passi di un percorso che sarà molto importante. Quello di una piccola donna con dentro una grinta sovrumana.