27/05/2015

Mew

Tunnel Club, Milano


Ingenuamente pensavo che per un fenomeno come i Mew ci fosse un'attesa di pubblico molto più ampia. Il tour di “No More Stories...” nel 2009 aveva lasciato a bocca asciutta l'Italia, prolungando un'attesa che ad oggi aveva raggiunto i sei anni. Una settimana prima della data unica a Milano, la venue del concerto viene spostata dai Magazzini Generali al più contenuto Tunnel Club, dove gli spettatori convenuti non superano la soglia di due centinaia. Se ci aggiungiamo che poche ore prima il gruppo spalla è stato costretto a dare forfait per problemi di produzione non risolvibili, la serata sembrava davvero partire sotto cattivi auspici.

Nonostante un lieve e malcelato disappunto della band – in particolare rimarcato due volte, con molta eleganza, dal chitarrista – non si può dire che le speranze dei fan siano state disattese. La più originale e talentuosa band danese (e non solo) in circolazione consegna un'esibizione impeccabile, scegliendo con cura i migliori momenti del recente “+ -” e le immancabili sensazioni di una carriera che definire brillante è un eufemismo.
Si va principalmente per doppiette, a cominciare da “Witness” e dal singolo di lancio “Satellites”, pezzo epico che ha stabilito un nuovo state of the art nel rock indipendente; più avanti non si faranno attendere anche “Water Slides” e la concitata “My Complications”, con una delle chitarre più elettrizzanti di quest'anno.
Dall'album precedente, invece, vengono subito recuperate la gemme “Beach”e una commovente “Silas The Magic Car”, oltre all'attesissima “Introducing Palace Players”, potente e precisa come su disco (sfatando così il mito di grande assente dalle loro setlist). L'impatto è vigoroso, pur con l'inevitabile dispersione nell'insieme di certe finezze d'arrangiamento, e la voce di Jonas non soffre di alcun cedimento.

In casi come questo l'assenza di grosse sorprese non è certo un problema: l'uno-due in rappresentanza di “The Glass Handed Kites” è ovviamente quello di “Special” e “The Zookeeper's Boy”, completato più oltre da “Apocalypso”. Stesso discorso per i capisaldi di “Frengers”: il riff secco e sincopato di “Am I Wry? No” è seguito da una “156” inizialmente trattenuta in modalità atmosferica, con l'ingresso della batteria soltanto dal ritornello in poi.
Un pre-finale dolcissimo con la sola coda di “Louise Louisa”, in mezzo alla quale riaffiora il coro di “The Zookeeper's Boy” affidato anche al pubblico. Troppo breve ma decisamente doveroso il bis di “Comforting Sounds”, il saluto ufficiale di questa ormai leggendaria formazione indie-pop.

L'ultima parola sulle sorti di questo concerto l'ha dunque avuta l'entusiasmo di un pubblico che poche volte ho visto così affezionato e rispettoso (eccezion fatta per l'urlatore di turno), e di rimando quello della band che in fin dei conti ha capito che tra gli esigui partecipanti, probabilmente, quasi nessuno era lì per caso. Per un motivo o per l'altro, credo ci ricorderemo a lungo di una simile occasione.