31/01/2015

Lawrence English + Rafael Anton Irisarri + John Chantler

HeK, Basilea


Se c'è qualcosa che chi scrive non dimenticherà mai, è la faccia di Lawrence English al sentirsi dire che qualcuno era stato capace di organizzarsi un week-end a Basilea solo per presenziare all'ultima serata di “Room40: 15”, mini-tour celebrativo per il quindicennale della sua etichetta. Un'etichetta che negli ultimi anni ha messo la sua firma su alcuni dei capisaldi della musica atmosferica contemporanea, l'unica ad oggi in grado di reggere il passo qualitativo di 12k. Un'etichetta che quest'avventura la meritava, come la meritavano senza ombra di dubbio i tre “festeggiati” con le loro performance complementari.

Sorpreso lui, e sorpresi noi alla sua sorpresa, nonché all'esiguo pubblico accorso a quel tempio autentico della contemporaneità elettronica che è l'HeK, Haus Der Elektronischen Künste, probabilmente il polo più vicino al Belpaese legato a questi suoni. Luogo che ospita, al piano superiore, una strepitosa mostra di Ryoji Ikeda, la prima con più installazioni montate contemporaneamente, una più incredibile dell'altra. Una cinquantina abbondante di persone si presenta con puntualità svizzera, trovando in veste di bigliettaio d'eccezione nientemeno che Lawrence stesso: “It's nice to stay here and talk with the people”, dice mentre ci invita gentilmente a entrare come suoi ospiti, ancora commosso dalla “traversata” in cui ci siamo imbarcati.
È il curioso finale di una giornata folle in quel della Svizzera, iniziata con il traumatico risveglio per prendere il treno alle 7.30, proseguita con la scoperta dell'improvviso indebolimento dell'euro con conseguente mazzata sul tasso di cambio, completata con una cena a base di pizza surgelata economica e squisita (e decisamente più cara) weissbier. E pronta a concludersi, giusto per completezza, con la seconda sveglia-killer del week-end, per il treno del ritorno alle 6.30. Ma questa doveva essere “un'altra storia”.

La trama principale del tutto però si aggira all'incirca sulla constatazione: “E quando mai mi ricapita di averli tutti insieme?” riferita al terzetto Lawrence English-John Chantler-Rafael Anton Irisarri, costituente la line-up di questa festicciola imperdibile. Che inizia, puntualissima, pochi minuti dopo lo scoccare delle 21: ed è l'ultimo nominato, il più “romantico” (nel senso meno qualunquista del termine) dei tre ad aprire le danze, con un set che torna a mostrare la sua ineguagliabile capacità di colpire al cuore, di rappresentare le emozioni più varie per mezzo di armoniche e droni. I quaranta minuti della sua performance sono incentrati in gran parte su variazioni da “Will Hear Heart Burn Anymore”, splendido gioiello in edizione di quaranta copie e venduto probabilmente solo al banchetto del merchandising delle serate. Un'impressione a pastello che evolve dai territori già esplorati con risultati eccezionali sull'ultimo “The Unintentional Sea”, dal quale eredita la tensione descrittiva aumentando la densità e la componente disturbata, sempre comunque dosata col contagocce, delle atmosfere. Un soundscape fatto di sfumature perpetue che convince anche quella parte del pubblico che sembra essere capitata lì quasi per caso.

Ed è proprio quest'ultima a risultare scossa dal breve set di John Chantler, braccio destro di English in casa Room40, che segna un distacco improvviso dalla melancolia immersiva e organica dello spagnolo verso l'espressionismo astratto. Mezz'ora scarsa che parte all'insegna del contatto fra suono e spazio, fra echi e riverberi su onde sonore brade - suoni che nella lunga chiacchierata successiva l'artista definirà “spassosissimi”. C'è chi apprezza disteso su cuscini, chi si tappa le orecchie e chi commenta estasiato paragonando il tutto all'esperienza del “cinema 4D”. Ed effettivamente Chantler riesce a trasformare il cubo nero dell'HeK in una sorta di sound-box dove ogni suono elaborato con gli effetti base sembra rimbalzare come una palla da flipper impazzita. Nella seconda parte, il mood pare acquietarsi per lasciare spazio a un fondale di inquietanti melodie da carillon arrugginito: ma in breve proprio da queste ultime si auto-generano una serie di bombe a mano, che scoppiano a ripetizione variata conducendo verso una brusca conclusione.

Dopo un quarto d'ora di rapida ripresa delle chiacchiere, è la volta del “piatto forte” per molti dei presenti: Lawrence English si presenta ringraziando i presenti e gli organizzatori, poi, dietro una credibile maschera di ironia, chiede al pubblico di farsi avanti per godere appieno del suo set. È la più lunga – si sfiora l'ora di durata – e la più variegata delle tre esibizioni, nonché la conferma dello status di indiscusso fuoriclasse dell'artista australiano. La partenza è affidata ad alcuni estratti del prossimo lavoro, “Viento”, una raccolta di field recordings interamente lavorate sul suono del vento, nonché la dimostrazione dell'interesse sviluppato da English per il concetto di impatto sonoro. Le folate aumentano d'intensità fino a introdurre una riconoscibile rielaborazione della quarta parte del capolavoro “Wilderness Of Mirrors”, le cui vibrazioni provocano una sorta di terremoto emotivo oltre che fisico. L'epos è raggiunto e subito spento, di colpo, per lasciare spazio a una fase più quieta in gran parte tratta dall'altro capolavoro, “A Colour For Autumn”, e dall'altrettanto splendido “The Peregrine”, a cui sarà affidata anche la rasserenante e dolcissima chiusura.

Ma nel mezzo c'è tanto spazio per saliscendi impressionanti, bordate di frequenze sacrali che mostrano quanto Tim Hecker e il suo “Virgins” abbiano rivoluzionato il concetto stesso di musica atmosferica e cali di tensione in cui l'eleganza e la sensibilità armonica di English si esprimono ai massimi livelli. Il pubblico è nell'estasi totale: c'è chi si lascia trascinare dalla corrente, chi prova a opporvisi, chi addirittura la asseconda, chi chiude gli occhi e dà spazio all'immaginazione.
Quando l'ultima nota sfuma lentamente nel silenzio, per molti è come svegliarsi da un sogno. Quanto segue è un'altra lunga chiacchierata in cui proseguiamo a parlare di qualsiasi cosa, prima con Chantler e poi con Irisarri e English: dai ristoranti locali alla burrata milanese, dalla recente vittoria della coalizione di sinistra in Australia a una possibilità di organizzare, in un futuro non troppo lontano, anche qui in Italia un combo simile. Conosciamo anche uno dei responsabili artistici dell'HeK, che ci chiede di tornare qualche volta a trovarli, ci dice che la settimana prossima sarà la volta di Terre Thaemlitz. Gli promettiamo che sì, prima o poi in questo piccolo paradiso ci torneremo.