03/07/2016

Beyoncé

Wembley Stadium, Londra


"Non ho più l'età per fare queste cose"; è quello che mi ripeto continuamente mentre faccio un'ora abbondante di metropolitana per arrivare allo stadio di Wembley. Chi me l'ha fatto fare, davvero, di prendere il posto in piedi nella calca, quando potevo starmene comodamente seduto sugli spalti? Lo so io chi: è stato il mio amico scimunito che ha comprato i biglietti tramite app in un momento di euforia una sera che ero troppo ubriaco per rendermi conto di dove ci stava posizionando (e no, "guarda che se viene vicino le tocchi pure la mano" adesso non suona più come una scusa valida).
Tra l'altro pensavo di essere partito per tempo, e invece scopro presto che c'è già una fila paurosa tutto attorno allo stadio, e che i primi di fronte ai cancelli della mia sezione sono reduci da una nottata passata a dormire sul marciapiede col sacco a pelo. Il resto dell'enorme folla invece è vestito di tutto punto in marca Ivy Park - la nuova linea di abbigliamento sportivo - e di magliette con l'ormai celebre slogan "I woke up like this" (ma c'è anche chi sfoggia in testa coroncine di limoni...).
Cinque ore di attesa in piedi sotto il sole assieme al mio amico scimunito dunque non sono poi così malaccio, considerando come han passato la notte gli altri fanatici. E alla faccia loro, una volta entrati si trova facilmente posto addossati alla transenna sul lato sinistro del palco, un po' lontani e in tralice ma comunque in grado di poter vedere lo show anche senza bisogno dei maxi-schermi.

Il francese Dj Magnum intrattiene un po' la platea suonando la roba più populista possibile (Oasis, Robbie Williams). Poi montano sul palco Zara Larsson, ovvero una copia carbone di Rita Ora che canta la sua unica hit "Lush Life", mentre Jess Glynne si presenta con "Don't Be So Hard On Yourself" e "Hold My Hand", quest'ultima una vera ventata d'estate che è sempre piacevole ascoltare. "Ma Jess Glynne non è un po' troppo famosa per aprire i concerti di altri?", si chiede qualcuno dietro di me. Domanda stupida: indipendentemente da chi ti credi di essere, se Beyoncé Carter-Knowles ti chiede aprire il suo concerto, tu stai zitta e apri (e ringrazia pure).
Ed è proprio per questo che oggi siamo tutti qui ad assistere alla seconda serata sold-out nello stadio-simbolo della capitale inglese; un tempo il mondo dell'r&b era popolato da tante voci di gran successo, come Brandy, Ashanti, Monica e Mary J. Blige, e da fortunatissime girl-band come le TLC, le Eternal o le stesse Destiny's Child, che apparivano come fucine di floride carriere soliste. Invece non c'è stato cazzo che abbia tenuto, Beyoncé ha rispedito tutte a Voghera con un colpo di parrucca, monopolizzando e polarizzando la scena come pochissime altre hanno saputo fare nel suo campo. Anche la strafamosa e ben più radiofonica Rihanna sta facendo fatica a riempire le platee di alcune tappe del suo "Anti Tour", mentre la Sig.ra Carter vende (costosi) biglietti come il pane, e senza il bisogno di avere un singolo in classifica a fare da traino, o appoggiarsi al gigante dello streaming Spotify.
Ma quanto è veramente formidabile questa donna dal vivo?

Presto detto. Poco prima delle 20, il gigantesco cubo che troneggia in mezzo al palco inizia a ruotare su se stesso. Funge da schermo tridimensionale e da scenario, e all'occorrenza si schiude a metà o in più piccole finestrelle. La band, sempre tutta al femminile, è divisa in due, dal mio lato si vedono solo la tastierista e le tre coriste. Due stuoli di ballerine montano da destra e da sinistra, vestite di nero e coperte in volto da un largo cappello. Poi dal pavimento nel centro finalmente spunta Lei, vestita come le altre e sempre coperta in viso dalla falda del cappello. La mano che tiene il microfono sembra tremare dai nervi, come credo ci si possa aspettare nel momento in cui una sente l'assordante suono di uno stadio intero che urla in coro il suo nome di battesimo. Ma nel momento in cui alza gli occhi e scruta il suo pubblico ogni traccia di tensione scompare all'istante, mentre la bocca s'increspa in un sorriso. Parte "Formation", ed è subito parata in passerella per addentrarsi nel cuore della folla e raggiungere la penisola al centro dello stadio. Tripudio. Una pantera - lei - e diciannove gazzelle - le ballerine - che marciano in formazione come il più elegante squadrone militare mai visto.
In misura opinabile, ma comunque apparente, Beyoncé ha tutto quello che serve per comandare la più grande delle platee: l'ego, la disciplina di ferro e la professionalità di una Madonna, la scioltezza e la sinergia col corpo di ballo di una Janet Jackson, e la voce spassionata di una Whitney Houston la domenica mattina in chiesa. Che piaccia o che rimanga antipatica per quella sua statuaria perfezione, sul palco la sua energia è trascinante e magnetica, non si riesce proprio a toglierle gli occhi di dosso.

220x270mid_02Il "Formation World Tour" non è uno show visionario o particolamente complesso, come del resto non è visionaria né complessa la sua musica, ma è costruito di pancia e con un certo stile per dar risalto alla sua voce e alla sua presenza. Beyoncé la mattatrice va avanti per cinque atti + encore per quasi due ore di show senza alcun risparmio d'energia, trascinando uno stadio intero a cantare e ballare con lei. Sta di fatto che il numero di gente col telefono in mano è piuttosto basso rispetto alla media dei concerti cui assisto di solito, dopo aver fatto qualche foto e aver ripreso un paio di momenti-clou, gran parte del pubblico sembra intenzionato a gustarsi lo show coi propri occhi (il che, al giorno d'oggi, è un mezzo miracolo). Quindi sì, dal vivo la Sig.ra Carter è decisamente formidabile.

L'enfasi della scaletta pende sugli ultimi due album di studio, ovvero l'ottimo "Beyoncé" e l'acclamatissimo trionfo critico di "Lemonade" (che al momento sta totalizzando un esagerato 92 su Metacritic). Ma se - nell'opinione di chi vi scrive - tale "Lemonade" è stato fin troppo esaltato, dal vivo il tutto prende una forma più coinvolgente. La scaletta è un continuo tirare e distendere di tensione, tra energici balli tribali reminescenti delle sue radici africane, infuocato erotismo da palo e ballate cantate a pieni polmoni. I pezzi vengono spesso presentati legati tra loro in forma tematica, ma fortunatamente non in medley, il che rende il concerto molto più avvincente e degno di tale nome. Ma soprattutto è bello notare come - fuori dallo studio e dai filtri patinati dei suoi video - Beyoncé non sia solo il volto di uno dei brand più grossi del nuovo millennio, quanto piuttosto una donna in carne (tanta e soda) e ossa, che mette anima e cuore in quello che fa. La sua faccia fa un'espressione mista tra il divertito e il disgustato quando il pubblico si azzuffa per accaparrarsi una delle pezze madide di sudore che lei getta via, come se per qualche motivo il suo status di Diva le giungesse ancora nuovo. Sorride, parla e si lancia in qualche discorso accorato, incitando il proprio pubblico a urlare "I slay!" a più riprese.

Punto più emotivo dell'intero show è forse il quarto atto, dove Beyoncé rimane da sola a riempire il palco enorme. Il country di "Daddy Lessons" fa saltellare il pubblico, ma la magia si raggiunge con due delle migliori tracce tratte da "4"; "Love On Top" viene cantata interamente a cappella assieme al pubblico, un duetto che continua a salire di tono in tono con ogni ritornello. Poi, accovacciata in terra, canta una "1+1" col nodo in gola e il volto nascosto dalle treccine, mentre la voce le sgorga dai polmoni con una potenza che lascia tutti ammutoliti; quando rialza lo sguardo, le sue guance sono umide di lacrime (non si vede cipolla, e considerate le sue scarse doti di attrice c'è da credere che sia tutto vero).
Segue l'altrettanto possente versione di "The Beautiful Ones" di Prince, tributo che lei già presentava in concerto anni fa ma che oggi suona più consono che mai. E quando esce di scena per andarsi a cambiare, il cubo s'illumina di viola, il pubblico viene sommerso da coriandoli e dalle casse si diffonde la versione originale di "Purple Rain" - le piace vincere facile, insomma, ma è innegabile che ascoltare il pezzo-simbolo del Folletto intonato da uno stadio intero è un momento di emozione collettiva, che per un momento distoglie l'attenzione dalla Diva della serata.

220x270_20Ma a Queen B basta poco per riacchiapparla. L'avvio verso la conclusione alza l'energia; l'atto 5 parte con una "Crazy In Love" in due movimenti - il primo, lento e malato, si era già sentito sulla colonna sonora di "50 Shades Of Grey", mentre il secondo si lancia a tutto sax come ai vecchi tempi, mandando il pubblico in fibrillazione, mentre lei cavalca in passerella strizzata in un corpetto rosso sangue e quel culo di marmo che ondeggia paurosamente. "Naughty Girl" fa sempre effetto, con quel basso che fa tremare le ginocchia, mentre nell'encore la penisola è stata riempita da due dita d'acqua, lei e le ballerine ci danzano sopra scalze schizzando il pubblico sottostante in una pioggia che - in contrasto con la luce bianca - sembra argento vivo. "Freedom" - acclamatissimo pezzo di protesta rock concepito con Kendrick Lamar - e la celebre "Survivor" del periodo Destiny's Child scuotono le pareti dello stadio, mentre il gran finale si consuma con una "Halo" implorata a pieni polmoni.
"I'll never forget these shows", dice lei in preda all'emozione mentre esce una volta per tutte, e c'è da crederle, dal momento che almeno per quanto mi riguarda una performance del genere sarà impossibile da dimenticare.

Vedere Beyoncé dal vivo è un'esperienza che merita e trascende dalla considerazione che si può avere sulla sua musica. Il motivo sul perché abbia fatto piazza pulita della competizione adesso è chiaro: quante altre nel suo circuito possono imbarcarsi in un tour di stadi e portarlo avanti con tale passione, energia e controllo? Beyoncé può, perché oltre a essere una abile interprete del proprio tempo (mediaticamente parlando), sa anche come mettersi a nudo e cavalcare il palcoscenico con passione e innata maestria. È talmente sicura di sé che non si degna neanche di fare "Single Ladies", ovvero una (se non la) sua hit più celebre di sempre, ma del resto non ne ha bisogno, dal momento che ogni suo pezzo dal vivo sembra rendere al meglio - ci sorprendiamo tutti a recitare a memoria come un rosario gli strani versi del suo personalissimo kitchen sink drama "Drunk In Love" come se fosse una canzonetta pop. Surf-board.

Il 18 luglio il "Formation Tour" fa tappa a San Siro. Fossi in voi andrei a mettermi in fila da adesso.



Setlist

Act 1

- Intro -
1. Formation
2. Sorry
3. Irreplaceable
4. Bow Down
5. Run The World (Girls)

Act 2

- Superpower (Interlude) -
6. Mine
7. Baby Boy
8. Hold Up
9. Countdown
10. Me, Myslef And I
11. Running (Lose It All)
12. All Night

Act 3

- I Care/Ghost (Interlude) -
13. Don't Hurt Yourself
14. Ring The Alarm
15. Diva
16. ***Flawless
17. Feeling Myself
18. Yoncé
19. Drunk In Love
20. Rocket
21. Partition

Act 4

- Hip Hop Stars/Freakum Dress (Interlude) -
22. Daddy Lessons
23. Love On Top
24. 1+1
25. The Beautiful Ones

Act 5

- Purple Rain (Interlude) -
26. Crazy In Love
27. Naughty Girl
28. Party

Bis

- Die With You/Blue (Interlude) -
29. Freedom
30. Survivor
31. End Of Time
32. Halo
- Schoolin' Life (outro) -

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