08/06/2016

Suuns

Monk, Roma


Fra la prestigiosa apparizione al Primavera Sound di Barcellona e quella in spiaggia al Beaches Brew di Marina di Ravenna, i Suuns approdano al Monk di Roma, nella data che chiude idealmente la stagione capitolina dei concerti al chiuso, prima dell'annunciata esplosione di date estive.
C'è molta curiosità per assistere alla performance di una band in costante crescita, che ha recentemente dato alle stampe il capitolo più complesso e ambizioso della propria discografia, "Hold/Still", accolto in maniera molto positiva dalla critica internazionale.

La sperimentazione sonora del quartetto di Montreal si mantiene su binari che fondono assieme in maniera naturalissima tappeti electro e chitarre acide, suonate in maniera semplice ma efficace, ancora più protagoniste nella dimensione live.
"Hold/Still" catalizza la scaletta, ma sono inevitabili un paio di ripescaggi dall'esordio "Zeroes QC" (l'accoppiata "Pie IX" / "Arena", che chiude la prima parte dello show) e tre da "Images du Futur", l'acclamato album del 2013 dei canadesi. Resta invece completamente trascurato il disco dello scorso anno condiviso con Jerusalem In My Heart.

Due chitarre, synth e batteria a disegnare suoni che triturano assieme il Thom Yorke solista, Deerhunter e Cymbals Eat Guitars, proiettando nel futuro visioni che coniugano in maniera perfetta beat electro e distorsioni elettriche.
Setlist breve ma intensa, e soprattutto omogenea, con le più solari composizioni del passato che si incastonano perfettamente nelle cupe architetture del lavoro recente.
In poco più di un'ora vengono concentrate tredici tracce, con il culmine raggiunto nell'unico bis, riservato a una versione fulminante, aggressiva, impregnata di stimmate noise di "Powers Of Ten".
Trance ipnotica, chitarristi ripiegati su se stessi, ritmi dance portati da una batteria metronomica, il synth a disegnare scenari avanguardistici, gonfiabili sul palco a formare la scritta SUUNS. Lo dicevano loro stessi nel secondo album: queste sono le immagini del futuro, che partono dalle sperimentazioni cubiste dei Radiohead per ricomporre una forma-canzone obliqua ma sempre accessibile.

Si parte spesso dal minimale per procedere con sovrapposizioni e stratificazioni. Il risultato è un portentoso mix di psichedelia, kraut, post-punk, noise, shoegaze, techno, per un suono moderno, avanguardistico, sperimentale.
I ragazzi non sono più una promessa, sono una scommessa ampiamente vinta. Una realtà ormai in grado di gareggiare con i giganti contemporanei, forti di un crossover sonoro che va facendosi sempre più personale e stimolante. Un trip perfetto, per ballare e viaggiare con la mente.