16/05/2019

Benjamin Clementine

Teatro Celebrazioni, Bologna


Rivedendo oggi Benjamin Clementine sul palco è impossibile non pensare alla buona sorte e allo straordinario percorso che lo hanno condotto sino a qui: la stoica emersione dal nulla (“Out of absolutely nothing I, Benjamin, I was born”), un epifanico esordio discografico, l’ancor più accecante rivelazione della performance dal vivo.
Da un punto di vista più personale, ancora non riesco a distogliere la mente dalle sensazioni di un difficile debutto milanese nell’aprile 2015 (se escludiamo l’apertura al concerto di Stromae di qualche mese prima), davanti a un pubblico decisamente irrispettoso e indegno di una tale messa a nudo, nonché di un affetto incondizionato per l’Italia dimostrato con una somma pazienza di fronte alla scarsa attenzione degli astanti, alfine inevitabilmente conquistati dal vortice Clementine.

Va da sé che ora il songwriter d’origine ghanese ritorni da vincitore ed eroe riverito dalle folle, ben contente di pagare un corposo biglietto per garantirsi il posto al Teatro Celebrazioni di Bologna. La platea sèguita a riempirsi col contagocce durante il support act del texano Beaven Waller, che riscalda il pianoforte mezza coda con una manciata di ballad malinconiche, pur attraversate da slanci degni di un musical di Broadway – impressione forse accentuata dallo sgargiante completo a righe rosse.

Un discreto ritardo sulla tabella di marcia sembra spazientire la sala giunta al completo, che poco dopo il saluto di Waller comincia ad applaudire e fischiare per chiamare sul palco i musicisti principali. Entra dapprima il Parisian String Quintet, formazione deluxe di questo tour in veste propriamente cameristica: con una delicata armonia viene introdotta “Winston Churchill’s Boy”, e Clementine fa il suo lento ingresso da dietro un sipario, di bianco vestito e con l’alta capigliatura avvolta sopra la testa; i piedi scalzi avanzano senza fretta verso il centro del proscenio, lo sguardo oscilla tra gli spalti come quello di un navigato chansonnier che rispolveri un repertorio ormai consolidato.
È questo, forse, il più lampante discrimine con gli irruenti esordi: Benjamin non è più solo contro tutti, schierato dietro il pianoforte e pervaso da una furia giovanile quasi perturbante, bensì ora si avvicina fisicamente e ricerca un dialogo emotivo alla pari con un pubblico già “suo”, al punto da invitarlo caldamente e in più occasioni a partecipare ai ritornelli con un coro. Insiste oltre misura su “Condolence” finché tutti non si uniscono al liberatorio verso finale, accompagnato complicemente dal romantico vibrato degli archi, e così anche nel primo finale con “Adios”, affilato manifesto del suo forzoso passaggio verso l’adultità (“The decision is mine/ So let the lesson be mine// ‘Cause the vision is mine”).

Rimane predominante l’impronta del primo album: in scaletta trovano posto ben otto brani sugli undici di “At Least For Now” – forse realmente destinato a divenire un classico di questi anni – mentre del successivo “I Tell A Fly” se ne contano soltanto quattro, quasi tutti curiosamente lasciati per ultimi come bis: tra questi, particolarmente intensi “God Save The Jungle” e “Better Sorry Than Asafe”, invero due degli episodi superiori di un Lp che non aveva mantenuto le alte aspettative createsi attorno alla potente figura artistica emersa due anni prima.
In aggiunta, a metà strada, il singolo “I Won’t Complain” viene anticipato da una dedica alla città di Bologna: Clementine e il suo gruppo avrebbero infatti passeggiato lungo la salita dei famosi portici che conducono al santuario di San Luca, appagati dalla vista panoramica ma stranamente, a quanto pare, non dal pranzo locale.

Di certo sono stati questi i gesti d’attenzione che, assieme all’affiatata performance dei sei musicisti, hanno indotto il pubblico a due spontanee standing ovation, segno di riconoscenza per una promessa mantenuta con stile, di una voce che segue ad affiorare dal profondo e ad attraversare la coscienza e la sensibilità di tanti affezionati ascoltatori. “Well must leave then, at once darling!/ Bon Voyage!”.