15/02/2019

Cloud Nothings

Monk, Roma


Capelli lunghi, cappellino in testa, forse qualche chilo in meno rispetto alle clip rintracciabili su YouTube: riconosciamo Dylan Baldi nelle nuove sembianze da giovane J Mascis soltanto quando inizia a cantare. Davanti a noi si stagliano tre visi da amorevoli nerd, sembrano capitati sul palco quasi per caso, basso e due chitarre, alle loro spalle c’è Jayson Gerycz, il batterista, faccia spiritata da serial-killer e movenze anfetaminiche. Non c’è mai un attimo per riprendere fiato durante un live act dei Cloud Nothings, che tagliano un paio di tracce rispetto alla scaletta-tipo che stanno presentando nel tour a supporto del recente acclamato “Last Building Burning”, ma poco male, perché i quattro di Cleveland, Ohio, hanno energia da vendere e filano dritti come treni.

La prima parte della scaletta è interamente dedicata proprio al loro lavoro del 2018 (stasera chissà perché non viene eseguita l’iniziale “On An Edge”), album del quale vanno evidentemente orgogliosi. In particolare “In Shame” e “The Echo Of The World” spiccano per (pre)potenza, mentre su “Dissolution” diluiscono ancor più che sul disco la parte centrale, dedicandosi a divagazioni noise. Baldi suona tutto il concerto senza alcun effetto, sfruttando esclusivamente la distorsione naturale del proprio Fender, scelta che fa perdere dinamicità al sound della band, molto più variegato e sfaccettato nelle versioni in studio dei brani eseguiti. La palla informe di suono che ne consegue viene gettata senza troppi complimenti in faccia al pubblico, che gradisce e non lesina applausi e il caro vecchio pogo a ridosso delle transenne.

La seconda parte del set, meno intransigente dal punto di vista sonico, è dedicata a qualche ripescaggio dai tre lavori precedenti, fra i quali spiccano la furia di “Psychic Trauma” e le linee cantate col pubblico sulla conclusiva “I’m Not Part Of Me”, sorta di piccolo inno underground, entrambe estratte da "Here And Nowhere Else".
La scaletta si presta a essere criticata, vista l'assenza di brani del calibro di “No Future/No Past” e “Up To The Surface”, secondo chi scrive i veri gioiellini nella discografia dei Cloud Nothings. Ma dopo cinque album, fra i quali gli ultimi quattro costituiscono un filotto fra i migliori realizzati nel nuovo millennio, materiale di ottima qualità in carniere i ragazzi ne hanno parecchio.

Giusto un paio di minuti di pausa e il quartetto torna sul palco per il lungo commiato finale, anche in questo caso con sezione centrale declinata verso atmosfere noise-shoegaze, con Baldi rivolto verso l’ampli alla ricerca del feedback definitivo: il brano è “Wasted Days”, la seconda traccia di “Attack On Memory”, l’album al quale i fan tuttora restano più affezionati, quello che li impose all’attenzione del circuito alternativo internazionale. Poi di corsa verso il banchetto del merchandising, dove purtroppo fa bella mostra il solo “Life Without Sound” (Disco del Mese di OndaRock nel mese di gennaio 2018), segno che nelle precedenti date il pubblico ha fatto incetta di tutto il resto. Accanto fa bella mostra il materiale dei Big Mountain County, formazione dal tiro psichedelico che aveva aperto la serata. Il tempo di un paio di autografi a ringraziamo Dylan Baldi, oltremodo simpatico una volta sceso dal palco, al quale abbiamo strappato un’intervista che leggerete su queste pagine nelle prossime settimane.

(Dylan Baldi è ritratto nella foto di Sabrina Vani)