28/06/2019

Kraftwerk

Teatro Romano, Ostia Antica


Viviamo in tristi tempi di sovranismo musicale, in cui le classifiche sono monopolizzate da artisti italiani (scarsi) e persino festival un tempo ricchi di stelle internazionali si sono ormai convertiti a un più abbordabile "Italia First", che consente forse persino di incassare di più (spendendo sicuramente meno). In questo deprimente scenario, che affligge anche la rassegna in questione (Rock in Roma), brilla come una cometa la doppia apparizione dell’astronave Kraftwerk tra le rovine del Teatro Romano di Ostia Antica. E a suonare la sveglia agli impresari affetti da sindrome autarchica, provvedono anche le cifre: migliaia di persone gremiscono la pietra color sabbia dell'anfiteatro d’età augustea. Più che sold-out, al punto che la straripante audience si riverserà in buona parte a ridosso del palco.
Prima dell’inizio, c’è tempo per una clamorosa lite al femminile alle mie spalle (“Qui non si può passare”, “Mi hai spinta, ti faccio un c… così”), che per pochissimo non finisce a ceffoni. “Folklore italico”, avranno probabilmente pensato gli inappuntabili tecnici del suono tedeschi nei paraggi. Oltre al folklore, però, c’è da segnalare la totale improvvisazione con cui verrà gestita la security: d’accordo l’invasione del sottopalco, ma il continuo sciamare di persone davanti agli spalti e sopra i gradini per tutta la durata del concerto disturberà non poco la visione ai presenti, precludendola del tutto agli sventurati disabili alloggiati nelle prime file. E a nulla serviranno le continue recriminazioni. “In questi casi succede così”, sarà la più esaustiva spiegazione ottenuta dagli addetti. Ma veniamo al concerto.

Kraftwerk live a Ostia Antica

Mentre il tramonto ancora arrossa i capitelli a lato del palco, alle 21.05 con – manco a dirlo – teutonica puntualità, i simbionti di Düsseldorf irrompono in scena, inguainati nelle loro ormai proverbiali tutine spaziali (poligoni bianchi su sfondo nero), per prendere posto dietro alle quattro console illuminate dai colori dei led. Rimasti riconducibili al solo membro fondatore Ralf Hütter - con i fidati Fritz Hilpert, Henning Schmitz e Falk Grieffenhagen (video-manipolatore, salito a bordo 7 anni fa) a supporto del comandante - i Kraftwerk proseguono ormai esclusivamente in formato live la loro gloriosa epopea, centellinando qualche uscita discografica celebrativa di tanto in tanto (come il cofanetto “The Catalogue 3-D”, pubblicato nel 2017, con i loro 8 dischi in versione ridotta e completamente risuonati). In questa occasione ripropongono lo show in 3D sulla falsariga di quello portato nella Capitale all'Auditorium 5 anni fa. L’effetto, invece, è un po’ quello descritto in occasione del concerto degli Air, sempre qui a Ostia Antica, nel 2017: l’elettronica algida e futurista sul fondale sabbioso delle antiche rovine, i synth robotici laddove si suonava la cetra. Con l’aggiunta degli occhialini in 3D che sembrano trasformare il pubblico nella platea di un blockbuster cinematografico (prodotto, naturalmente, dai King Klang Studios).
Si parte sparati con “Numbers”: codici verde elettrico a brillare sugli schermi, con le tastiere che pompano beat. Dal sistema decimale a quello binario di “Computer World”, ode al modernariato cibernetico con la sequela di vetusti calcolatori, Commodore e Amiga che accompagna la scansione robotica dei synth. “Sono l’operatore con il mio calcolatore”, gigioneggia in italiano Hütter, ma senza mai perdere il suo teutonico aplomb. Quindi, è la volta degli elettrocardiogrammi pulsanti, effigi di un incondizionato “Computer Love”.

Kraftwerk live a Ostia Antica

I primi veri colpi al cuore, però, arrivano dalla saga dell'Uomo-Macchina. La fiaba fantascientifica in rosso e nero del 1978 parte sulle geniali scale pentatoniche di accordi della title track (“The Man-Machine”) con immancabili scritte orizzontali a scalare sullo schermo, per proseguire a bordo della navicella spaziale di “Spacelab”, sempiterna melodia pastorale dell'era cosmica, con il suo corredo di fanciullesca iconografia sci-fi (astronavi da Spazio 1999, mappe terrestri da Google Earth e dischi volanti in rotta su Roma), per crogiolarsi poi in tutto il fascino romantico delle dive vezzose e imbellettate di “The Model” (capolavoro e pietra fondante del synth-pop) il cui bianco e nero contrasta con i colori sgargianti delle insegne luminose in diffrazione della successiva “Neon Lights”, sempre ipnotica come i suoi bagliori da lavalamp (e chi non ha sognato una notte all'Hotel Cristallo deve avere un cuore di silicio). Canzoni che restano un trattato di storia delle tastiere, con la grazia fatata dei loro suoni retrofuturisti, retaggio di una golden age della fantascienza in cui – come ricorda Eddy Cilìa - “era possibile immaginare tempi a venire prosperi e ordinati, fatti di città linde, immensi spazi verdi, autostrade a otto corsie regolate da giganteschi cervelli elettronici”.

Kraftwerk live a Ostia Antica

A proposito di autostrade, non poteva mancare la consueta scorribanda in “Autobahn”, la suite che segnò uno spartiacque nella carriera dei düsseldorfiani (con buona pace dei pochi, noiosissimi detrattori). Saliamo così a bordo dei consueti catorci d'antan (un Maggiolone e una Mercedes) sulle note ariose e suadenti di quegli archi campionati che fecero epoca. E che tenerezza Hütter che smanetta a colpi di transistor per cambiare le stazioni radio...

Kraftwerk live a Ostia Antica

Poi, la scossa: il ronzio disturbante di “Geiger Counter”, preludio al sinistro rosario al vocoder delle apocalissi atomiche – da Chernobyl a Fukushima - che ormai da tempo nelle esecuzioni live introduce l'inno anti-nucleare per eccellenza: “Radioactivity”. Hutter sibila “mutation Dna”, e la mente corre alle immagini strazianti della serie Hbo sulla catastrofe sovietica, con tutto il suo carico di angoscia e radiazioni letali che la frase finale, scandita ossessivamente (“Stop Radioactivity”), cerca invano di spezzare.
Tempo di un drink all’“Electric Café” e di una (lunga) tappa al “Tour de France”, con i ciclisti ad ansimare sulle cime nebbiose dei Pirenei, ed ecco un altro dei momenti-clou: lo sferragliare delle rotaie, il fischio lacerante del “Trans-Europe Express”, quello dove capitava d'incontrare Iggy Pop e David Bowie: “Il suono di un treno in corsa è musica”, teorizzava Ralf Hütter, e vallo a spiegare a noi, che su quei synth cigolanti abbiamo costruito una vita musicale intera...

Kraftwerk live a Ostia Antica

Il treno, per i Kraftwerk, è la quintessenza del progresso, dell’avanzata tecnologica di un mondo occidentale che confidava di mettere il suo futuro nelle mani di droidi efficienti come calcolatori e tranquillizzanti come il bonario C1-P8 di “Guerre stellari”. Eppure i manichini inamidati in rosso e nero della asimoviana “The Robots” - con quei volti di un pallore cereo, il rossetto sulle labbra sottili e i capelli acconciati in modo uniforme alla Big Jim – inquietano, oggi come allora. Sicuramente più rassicurante la calcolatrice tascabile che affiora alle spalle dei quattro sulle note di “Mini Calculator”: ancora numeri, senza alcuna correlazione apparente: 9, 13, 48, 56.
Ma a scaldare l’atmosfera sono soprattutto le pulsazioni incessanti delle tastiere, in grado di convertire ciò che era proto-techno in techno aggiornata e avanzata, per la gioia dei (numerosi) spettatori più giovani. Perché – va ribadito – anche a 120 anni, i Kraftwerk resteranno più giovani di tanti loro emulatori nati-vecchi dei nostri giorni.
Peccato che sia altrettanto folta la pattuglia dei turisti del techno-pop, intenti ad aggirarsi senza pace per l’intero concerto, birra e telefonino in mano, a cercare e chiamare persone, o, peggio, a chiacchierare tra loro come se fossero capitati lì per caso. Abitudini, ahimè, tristemente note per chi frequenta i concerti a queste latitudini.

Kraftwerk live a Ostia Antica

Il finale è tutta un’accelerazione tra i battiti forsennati della tanzmusik di marca Kling Klang: “Aéro Dynamik”, con le tute dei quattro che si tingono di blu e verde elettrico, l’inno panelettronico di “Planet Of Visions” (“Detroit/ We're so electric/ Germany/ We're so electric”) - del resto si sa che “la techno sono George Clinton e i Kraftwerk chiusi insieme in ascensore” (Derrick May) - i fumetti alla SuperGulp di “Boom Boom Tschak” e, a chiudere, “Music Non Stop”, in un tripudio di chiavi di soprano e di violino, crome e biscrome che si rincorrono sullo schermo, come a voler asserire che in fondo la musica è una sola e parla un unico esperanto universale, che sia classica, elettronica, concreta, pop o quello che vi pare.
I tre assistenti di bordo lasciano via via il palco. Resta solo herr Hütter, 72 anni suonati, al comando della sua navicella spaziale. È un’ovazione “alla carriera” e lui se la gode tutta, inchinandosi più volte prima di congedarsi con un flemmatico “Ciao, buonasera, auf wiedersehen” (uniche parole rivolte al pubblico nell’intera serata), mentre “Musique non stop” prosegue, ostinata come un mantra.

Kraftwerk live a Ostia Antica

Ancora una volta, è stata un’esperienza audiovisiva totalizzante, un piacere per gli occhi, le orecchie, la mente e il cuore. E mentre si imbocca la via di casa, tra i ciottoli polverosi delle vestigia romane, ci rassicura la consapevolezza che la Centrale Elettrica di Düsseldorf sia ancora accesa, con la sua energia rinnovabile ad ogni epoca e generazione.