Yann Tiersen

Yann Tiersen

Minimalismo per cuori folk

Yann Tiersen è uno dei più importanti e prolifici compositori della nostra epoca. Abile polistrumentista di formazione classica e con interessi in ambito rock ed elettronico, passa dalle composizioni classic-folk in chiave minimalista delle origini al successo planetario delle colonne sonore, smarcandosi infine dagli esordi per assecondare le recenti pulsioni sperimentali

di Fabio Guastalla

Studi classici, anima rock, piglio avanguardistico: la musica di Yann Tiersen si nutre da sempre dell'armonioso incontro di ambiti agli antipodi, traducendoli man mano in un sound nel quale la tradizione delle origini va a braccetto con la sperimentazione degli anni più recenti, abbracciando le lezioni di maestri quali Eric Satie, Nino Rota e Philip Glass. Ed è in virtù di tale commistione tra atmosfere incantate – spesso prese in prestito dal cinema - e avamposti sonori (sintetici, linguistici, eccetera) che il compositore bretone si staglia tra i più importanti compositori della nostra epoca.

La lunga ascesa

De l'endroit où je suis
on voit des bras de mer
qui s'allongent puis renoncent
a mordre dans la terre...
[“Les bras de mer”, Le Phare]

 

Yann Tiersen nasce il 23 giugno 1970 a Brest, cittadina bretone affacciata sull'Atlantico, da genitori di origini belghe e norvegesi. Il destino da musicista, però, si compie a Rennes, laddove il giovanissimo Yann (ha appena sei anni) inizia a frequentare scuole di musica e successivamente il locale conservatorio, nel quale si rivela enfant prodige al pianoforte e al violino. Avviato a una carriera da direttore d'orchestra già scritta, a quattordici anni scopre il rock, ed è come una rivoluzione copernicana: “Ho iniziato con il post-punk – dirà in un'intervista rilasciata a OndaRock – Stooges e Joy Division mi hanno insegnato, da ragazzo, che quel che conta non è la tecnica”. Alle corde e ai tasti si affiancano ineluttabilmente i campionatori, e il giovane Tiersen diviene un polistrumentista richiestissimo anche nelle tante band che fioriscono nella dinamica capitale della Bretagna. Si cimenta così in formazioni che guardano a David Bowie, ai Roxy Music o al kraut-rock, lezioni utilissime per ciò che sarà negli anni a venire.

Quasi fosse un disegno predestinato, verso l'inizio degli anni Novanta a Tiersen viene chiesto di comporre le musiche che accompagnano due distinte opere visive: si tratta dell'adattamento teatrale della pellicola “Freaks” del 1932 e della versione teatrale de “Le tambourin de soie” di Yukio Mishima.
Le due colonne sonore confluiscono nel 1995 nel disco di debutto La Valse des Monstres, pubblicato in sole mille copie da Sine Terra Firma. La prima parte dell'album ospita i dieci brani di “Freaks”, la seconda quelli de “Le tambourin de soie”, più una manciata di pezzi originali.
Con tocco minimale, Tiersen mette per la prima volta a punto – invero ancora timidamente - un insieme di brani che, slegati dalla forma-canzone, partono dalla classica e dalla musica tradizionale alla ricerca di soluzioni più moderne ed estroverse. L'opera si apre sui fraseggi per pianoforte, violino e clavicembalo del “Mouvement introductif”. La successiva “La Valse des Monstres” è un sognante valzer per fisarmonica, mentre “Frida” e “Ballendai” muovono sui solitari rintocchi di toy piano e “Quimper 94” si colora di forti accenti folkloristici. I due clavicembali di “Comptine d'été n. 17” sanno di interludio medievale (vi sarà più avanti una seconda versione per toy piano), mentre “Cléo au Trapeze” rivela l'amore di Tiersen per le composizioni di Nino Rota. “La Valse des Monstres” torna per la seconda volta, stavolta come esercizio per toy piano, mentre con “Le Banquet” si assiste al secondo magheggio generato dalla fisarmonica: è qui, tra le pieghe di un'ariosa epicità che sembra provenire da un passato indefinito (o dalle onde dell'oceano), che sgorga prorompente il talento del compositore bretone.
Anche “Le tambourin de soie” ha il suo “Mouvement introductif”, una sorta di catarsi dalle tenebre a linee via via più ariose. “La rue” è un breve fraseggio fra quattro violini che tornano anche in “Iwaichi” e “Hanako”, stavolta accompagnati da toy piano e carillon. L'atmosfera generale è più cupa, e tale resta nella più strutturata (e raffinata) “La plaisanterie”, laddove clavicembalo, violino e fisarmonica offrono ulteriore profondità alla materia. Il finale è caratterizzato dai tocchi di clavicembalo e pianoforte della veloce e insipida “Le compteur” e dalla sparuta chiosa dell'ultimo “Mouvement introductif”.

yt10ok_02Del tutto a proprio agio nei panni di compositore, Yann Tiersen prosegue e amplia quanto abbozzato nel disco di esordio l'anno successivo, nel 1996, con il secondo album Rue des Cascades, registrato tra Nancy e Parigi.
Stilisticamente più solida nella materia e fluida nell'insieme, l'opera introduce un'importante novità: due brani, infatti, sono corredati dalla eterea voce di Claire Pichet. Si tratta della title track “Rue des Cascades”, composizione che poggia sul clavicembalo per aprirsi in un fraseggio finale tra piano, violino e fisarmonica, e di “Naomi”, il cui testo è estratto da “Hawl” di Allen Ginsberg.
È sorprendente rilevare come, a così breve distanza dai primi componimenti, l'asticella si sia vertiginosamente alzata.
L'apertura magica di “J'y suis jamais allé” sembra trasportata da un vento caldo in quel giro di fisarmonica che diverrà uno dei motivi più noti della colonna sonora di “Amélie Poulain”. L'opera è disseminata di stesure per pianoforte (le “Comptine d'été” numero 2 e 3, peraltro splendide, la veloce “Le vieux en veut encore”, l'allegra “Toujours là” e l'introspettiva “La pièce vide”), brani per solo violino (l'ennesimo “Mouvement introductif”, la “Comptine d'été n. 1”, la conclusiva “La vie quotidienne”) e ulteriori esplorazioni sonore: “Pas si simple” si apre sui tasti di una macchina da scrivere e irretisce nel suo moto circolare e cinematico le corde di un mandolino. “Déjà loin” introduce il banjo a mo' di preludio al vigoroso ingresso di violoncello e fisarmonica, ne “La chambre” è la chitarra a fungere da ospite in un brano dal gusto popolare.
E se “Soir de fete” si staglia per numero di strumenti sovraincisi (tutti rigorosamente da Tiersen stesso), nei brani “C'etait ici” e “La fenetre” - davvero notevole - è il violoncellista François-Xavier Schweyer ad affiancare in via eccezionale l'autore. Onirica ma possente, con i piedi piantati nella tradizione popolare eppure fuori dal tempo, vagamente malinconica e altrettanto allegra, la musica di Rue des Cascades segna il primo, netto passo avanti di una carriera che si appresta a spiccare il volo.

Ormai una celebrità negli angusti confini della Bretagna, Tiersen si prepara a conquistare l'intera Francia. Il 1998 vede il giovane compositore impegnato su tre fronti che si riveleranno tutti, a loro modo, vincenti. Escono infatti, in contemporanea o quasi, il terzo disco Le Phare, la colonna sonora del film “La vie revée des anges” e il mini-album Bästard-Tiersen, scritto a quattro mani con la rock band transalpina Bästard. La soundtrack del film ospita di nuovo il brano “Rue des Cascades” cantato da Claire Pichet e due composizioni inedite, “La plage” e “Le phare”, la prima delle quali non finirà nella pellicola, mentre la seconda fa parte delle sessioni del nuovo album, cui darà il nome pur non facendone parte.

yt12okLe Phare, terzo album in studio di Yann Tiersen, prende il nome dal faro più grande d'Europa, situato a protezione delle scogliere dell'Ile de Ouessant, al largo della costa bretone. È qui, tra maestosi panorami incontaminati e fasci di luce che illuminano lo scroscio delle onde nella notte, che il compositore troverà la dimensione ideale per la genesi dei suoi album più riusciti. Il rapporto tra terra e mare, solitudine e socialità permea l'opera in una sorta di catarsi dalla frenetica vita cittadina alla purificazione ai confini del mondo.
Le partiture folk-pop di “Monochrome”, magnifico brano cantato da Dominique A – nome di spicco della scena pop francese – aprono nuovi orizzonti al sound di Tiersen e spalancano le porte della notorietà su scala nazionale: il brano viene trasmesso dalle radio transalpine e l'etichetta Ici d'ailleurs, che nel frattempo ha già scritturato il talento emergente, si affretta ristampare i due precedenti album.
Ma è proprio Le Phare nell'insieme a fornire un'ulteriore tappa nell'ascesa stilistica del compositore di Brest, sempre più ispirato e in grado di pennellare paesaggi e stati d'animo con assoluta maestria. “Le Quartier” è un'ouverture ritmata e tesa, “La rupture” ne segue le orme stemperando in parte i toni grazie alla voce eterea di Claire Pichet, qui al suo unico intervento. “L'arrivée sur l'ile” trasporta la narrazione a Ouessant, introducendo un valzer disteso e dal retrogusto celtico.
La fisarmonica ricomincia a generare atmosfere magiche ne “La noyée”, altro brano che successivamente conoscerà l'imperitura gloria della soundtrack di “Amélie Poulain”. La tradizione celtica torna non a caso ne “Le Fromveur”, ovvero lo spicchio di mare incastonato tra la Bretagna e l'Ile de Ouessant, da sempre territorio di passaggio per traffici commerciali e conquistatori provenienti dal Nord. Il valzer indolente de “L'homme aux bras ballants” e la doppia anima di “Sur le fil” (prima violino solitario, poi pianoforte) danno vita a una parte centrale compassata e melancolica e subito interrotta dal gioioso binomio di toy piano e clavicembalo de “Les jours heureux”. Di tutt'altro umore il breve interludio “La crise” per chitarra a dodici corde, violino, violoncello e mandolino suonato con l'arco. “Les bras de mer” segna il secondo intervento di Dominique A che compone, suona il piano e canta. C'è ancora tempo per le tinte nere del pianoforte di “La chute” e la chiosa estemporanea de “L'effondrement”, accompagnata da un Bontempi.

Con la crescente notorietà in ambito francese, per Tiersen si moltiplicano anche le collaborazioni con importanti figure della scena: quelle con Les Tetes Raides, Bertrand Cantat e Neil Hannon dei Divine Comedy, registrate alla radio, saranno testimoniate nel primo live album del compositore bretone, Black Session, pubblicato l'anno successivo.
E proprio il 1999 segna l'uscita di un altro mini-album in compagnia della formazione transalpina The Married Monk: il lavoro prende il titolo di Tout est calme. Registrata a Bordeaux e Cancale, l'opera ospita dieci brevi canzoni in cui vengono rielaborate le sonorità care a Tiersen con sonorità rock e languori differenti rispetto a quelli prettamente francesi o celtici.
Si parte così sul tango musette di “Plus au Sud”, seguito dalle placide melodie di “Les grandes marées” e da una bella versione rockeggiante de “La crise”, brano del precedente Le Phare”. La parte centrale del disco è quella più compassata: “Tout est calme” procede in punta di piedi, “La rupture” si lascia trasportare dal pianoforte e dalla voce di Claire Pichet, “La relève” gioca sui chiaroscuri generati da chitarra e pianoforte. “La pharmacie” e “La terrasse” segnano il picco dell'album: la prima torna a danzare su metriche sudamericane, la seconda è un'altra splendida composizione per pianoforte cantata da Tiersen stesso. E mentre “L'étal” vive del dualismo di chitarre e violini, “La découverte” torna a giocare con carillon, banjo e toy piano, chiudendo il sipario in un minimale girotondo di note. “Tout est calme” viene presentato nei più prestigiosi teatri francesi e poi in Giappone e Singapore. Nel 2000, inoltre, Tiersen accompagnerà Juliette Gréco nella data del Barbican Centre di Londra.

Il nuovo millennio, Amélie e la consacrazione

J'aimerai voir notre échec

face à face un beau jour

détailler sa personne

en cerner les contours

et dans l'ambiance un peu crue

d'une ville en été

lentement m'éloigner

pour ne plus le croiser

[“L'échec”, L'Absente]

Il nuovo millennio porta con se la gloria su scala planetaria. Nel 2001, infatti, Yann Tiersen sale l'ultimo gradino della scala per il successo. Non per merito del comunque ottimo quarto album in studio, “L'Absente”, che esce il 5 luglio di quell'anno per Labels/Virgin, bensì per un lavoro pubblicato soltanto un paio di mesi prima, a fine aprile, ovvero la colonna sonora del film “Le fabuleux destin d'Amélie Poulain”. Mentre sta guidando, il regista Jean-Pierre Jeunet ascolta per caso un brano di Tiersen alla radio e ne resta completamente stregato. Da quel momento in poi, la musica del compositore bretone si legherà per sempre alle peripezie dell'eroina impersonata da Audrey Tautou e scivolerà come un refrain senza tempo giù per i vicoli impervi di Montmartre. La musica di Tiersen non è infatti una semplice soundtrack, bensì un costante accompagnamento delle scene della pellicola, diventandone di fatto una seconda protagonista. Ciò che i più ignorano, tuttavia, è che buona parte delle canzoni non sono altro che brani già presenti (e al limite riarrangiati) negli album pubblicati negli anni Novanta. Di fatto è quasi un best of della prima epoca tierseniana: “Le banquet” e “La valse des monstres” provengono appunto da “La valse des Monstres”, “J'y suis jamais allé”, “Pas si simple”, e “Soir de fête” da “Rue des Cascades” e “La noyée”, “La dispute” e “Sur le fil” da “Le Phare”. In quanto a “Les jour tristes” (qui in versione strumentale) e “À Quai”, di lì a un paio di mesi saranno protagoniste ne “L'Absente”. Non mancano brani scritti appositamente per il film: “La valse d'Amélie”, “L'autre valse d'Amélie” e “La valse des vieux os” sono magici valzer in punta di piedi, “Comptine d'une autre été: l'après midi” e “Le moulin” le ennesime, superbe stesure per pianoforte, e infine “La redécouverte” con i suoi retaggi folk annegati in una cortina di melancolia senza tempo. L'opera si aggiudicherà la prima edizione dei World Soundtrack Awards.

Mentre la colonna sonora di "Amélie Poulain" vende oltre 200mila copie in Francia e raggiunge il cuore di milioni di ascoltatori in tutto il mondo, Yann Tiersen si appresta a pubblicare il suo quarto album in studio. L'Absente esce nell'estate del 2001, presentando al pubblico una serie di interessanti novità. Tiersen si avvicina semrpe più alla chanson francese Le canzoni che ospitano linee vocali sono sei, ovvero la metà esatta dei brani contenuti nell'album. E la schiera di voci che accompagna il compositore bretone si estende al di fuori dei confini francesi: la cantautrice americana Lisa Germano si cimenta ne “La parade” e “Le meridien”, Neil Hannon dei Divine Comedy interpreta “Les jours tristes”, Dominique A torna in “Bagatelle”, mentre l'attrice Natacha Régnier, compagna nella vita di Tiersen, duetta con quest'ultimo ne “L'Échec” e “Le concert”.
Registrato tra Londra e numerose location francesi e belghe, mixato a Londra e masterizzato a Bruxelles, “L'Absente” introduce nella pletora di strumenti utilizzati un device elettronico, l'Ondes Martenot, suonato da Christine Ott, nonché l'utilizzo in più occasioni dell'Ensemble Orchestral Synaxis. È il caso della già citata “À Quai”, sontuosa aria che apre l'opera mescolando Ondes Martenot, toy piano, clavicembalo, carillon, vibrafono, banjo, mandolini, chitarre, fisarmonica e parti orchestrali. “La parade” gioca sul binomio tra pianoforte e testi in inglese, mentre “Bagatelle” torna all'idioma francese e presenta una struttura più articolata, poggiante su chitarra, basso e batteria ma inspessita nuovamente da parti orchestrali. “L'absente” è una sparuta composizione per pianoforte, “Le jour d'avant” torna al folk ed è scritta a quattro mani con il gruppo Têtes Raides, “Les jours tristes” un valzer scritto con Hannon e interpretato da quest'ultimo in un crescendo sinfonico. La seconda parte dell'album si apre sui tocchi di pianoforte di “L'Échec” e prosegue nel duetto con i Têtes Raides ne “La lettre d'explication”, scandita dai tasti della macchina da scrivere. Lisa Germano torna a riempire con la sua voce calda i vasti spazi de “Le meridien”, “Le concert” si muove spettrale tra tocchi di pianoforte e inserti di violoncello, “Le retour” chiude il disco sulle note di una orchestra da cameretta suonata interamente da Tiersen.

L'Absente vende 100mila copie in patria, mentre si moltiplicano le date nei festival e nei teatri più prestigiosi di Francia: Le Printemps di Bourges, Les Eurockéennes di Belfort, La Route du Rock di Saint-Malo, l'Olympia di Parigi. Il 2012 è l'anno di “C'était ici”, doppio album live della carriera registrato il 15, 16 e 17 febbraio nella tripla data alla Cité de la musique di Parigi. In una sorta di compendio della propria carriera, Tiersen offre la possibilità di ascoltare molti cavalli di battaglia in versioni non sempre aderenti a quelle registrate in studio. Sono presenti come ospiti Dominique A, Neil Hannon, Claire Pichet, Têtes Raides. C'è anche una cover in scaletta: si tratta de “La noyée” di Serge Gainsbourg, interpretata con particolare trasporto.

yt11ok_02L'anno successivo è la volta di un'altra grande colonna sonora: quella di Goodbye, Lenin, pubblicata da Parlophone. I diciotto pezzi vengono scritti da Tiersen sulla base delle sensazioni provocate dalle immagini del film, diventando anche in questo caso costante corredo alle scene della pellicola diretta da Wolfgang Becker. Il filo conduttore della soundtrack, che abbandona momentaneamente i lidi francesi per strizzare l'occhio a più titolati colleghi quali Philip Glass e Michael Nyman (senza dimenticare, ça va sans dire, il maestro Eric Satie), è l'onnipresente pianoforte, sul quale duettano via via i consueti strumenti: violini, fisarmoniche, eccetera.
L'opera è costellata di brani magnifici: a cominciare da “Summer 78”, cantata dalla fida Claire Pichet, proseguendo con la fuga “Preparations for the last tv show” e il crescendo di archi di “Goodbye Lenin”, fino alla magica, impalpabile danza di “Lara's Castle”, il pomposo affresco de “The deutsch Mark is coming” e le emozionanti “First rendez-vous” e “Watching Lara”. I brevi componimenti rivelano ancora una volta il talento cristallino e il tocco poliedrico di Tiersen, sempre più maestro nel tradurre in musica  immagini ed emozioni. La soundtrack ottiene il premio come miglior colonna sonora ai “Victoires de la musique” del 2003.

Che la musica di Yann Tiersen si stia progressivamente smarcando dal miscuglio di modern classical e folk in chiave minimale verso soluzioni di più ampio respiro, lo conferma nell'ottobre l'uscita del disco scritto a quattro mani con la cantautrice americana Shannon Wright. È l'incontro-scontro tra due personalità artistiche forti, quello che esce con prepotenza nelle dieci tracce di Yann Tiersen & Shannon Wright. Le soluzioni per pianoforte, violino o fisarmonica del bretone vengono irrobustite da chitarre e batteria, il cantato spettrale dell'artista statunitense aggiunge fascino a una materia che gioca sul filo di un'invisibile tensione sempre sul filo di esplodere. Ci sono la desolazione e il calore (“No Mercy For She”), scintille folk transalpine (“Way To Make You See”) e soffuse trame post-rock (“Something To Live For”, “Dried Sea”), fraseggi impetuosi (“Callous Run”) e lande desertiche (“Pale White”) in un'opera che ben coniuga le due diverse personalità.

Chiusa la parentesi con Shannon Wright, Tiersen torna a rifugiarsi sull'Ile de Ouessant per comporre il quinto album in studio, nel quale sarà affiancato da un'altra pletora di illustri ospiti. Les Retrouvailles esce il 23 maggio del 2005 per Labels/Virgin/Ici d'ailleurs e contiene sedici brani inediti, in parte composizioni soliste registrate sull'isola, in parte brani orchestrali incisi a Parigi: in alcune canzoni, infatti, al compositore e agli strumentisti si affianca l'Orchestre National de Paris. “Western” apre il disco filtrando i retaggi americani al setaccio dei consueti strumenti: clavicembalo, violini, carillon, toy piano sembrano voler trasportare un Morricone onirico sulle fredde spiagge bretoni. “Kala” introduce la prima, grande ospite dell'opera: si tratta di Elizabeth Fraser, voce dei Cocteau Twins, qui impegnata in una narcolettica ballata cullata da archi, corde (mandolino e banjo) e vibrafono. Il contributo della Fraser ammanta anche la raffinata “Mary”, anch'essa dotata di partiture sinfoniche, mentre le liriche in inglese trattano la morte con infinita dolcezza. Anche “Plus d'hiver” può vantare una voce d'eccezione: quella di Jane Birkin, abile interprete di un crepuscolare brano che si sviluppa sui tocchi di pianoforte e si arricchisce di violini, violoncelli e viola. La passerella di ospiti prosegue in due brani in cui il folk viene mischiato al rock: “A Secret Place”, caratterizzata dalla profonda voce di Stuart Staples dei Tindersticks (e Gina Foster ai cori), e l'evocativa “Le jour de l'ouverture”, dove a duettare sono Dominique A e Christophe Miossec, altra gloria musicale di Brest.

yt13okLa maggior parte dei brani, tutti a loro modo magnifici, non necessita di linee vocali. “Loin des villes” è un gioiellino chamber-pop, la chanson “La veillée” abbina fisarmonica, carillon e archi orchestrali, “A ceux qui son malades par mer calme” sembra emergere dal fluttuare delle onde. “Le matin” e “La plage” infoltiscono la schiera di mirabili stesure per pianoforte, “Les enfants” è un'enfatica cavalcata corredata da flauti e field recordings, “La boulange” abbina Ondes Martenot, batteria e chitarre distorte in una magica intersezione electro-folk-rock. All'ermetismo di “7:pm”, che parte sulle campane della chiesa di Lampaul (piccolo paesino del Finistère bretone) e prosegue sulle note di un violino solitario, fanno eco le festose sintonie di “Les Retrouvailles” e le fitte trame di clavicembalo di “La jetée”, che chiude l'opera con accenti barocchi. La realizzazione dell'album viene testimoniata dal film “La Traversée”, diretto da Aurélie du Boys, che segue Tiersen dalle prime prove a Brest alle incisioni a Ouessant e Parigi. “Les Retrouvailles” vince il “Grand Prix du disque du Télégramme”, premio che viene assegnato alle opere legate in qualche modo alla Bretagna.

Il tour mondiale che fa seguito all'uscita del quinto album in studio viene immortalato in un nuovo album live, dal titolo On Tour, che esce nel 2006 per Emi. Dodici le canzoni inserite nel disco, non senza sorprese: la rapper francese Diam's interpreta una rivisitazione del suo stesso brano “Ma France à moi”, mentre Tiersen da parte sua infila l'inedito “1er réveil par temps de guerre” e coverizza “State of shock”, brano dei punk-rockers olandesi The Ex. Le consuete orchestrazioni, inoltre, lasciano il posto a chitarre elettriche e Ondes Martenot, donando una veste ai brani più conosciuti. “On Tour” diventa anche un dvd di 22 canzoni (19 più 3 bonus track).

Nel 2008 Yann Tiersen torna a intrecciare la sua musica con le immagini di una pellicola. Si tratta in questo caso del documentario girato da Pierre Marcel sulla vita del navigatore bretone Éric Tabarly nel decennale della tragica scomparsa. Come nel caso di “Goodbye, Lenin!”, Tiersen compone la musica di Tabarly sulla base delle immagini: ne escono quindi brani per mezzora abbondante di musica. Le melodie si svelano sempre o quasi sui tasti del pianoforte, spesso solitario (“Naval”, “II”, “La longue route”, eccetera), altrove accompagnato da un violino (“Tabarly”). Anche qui non mancano le eccezioni: “IV” è una composizione per chitarra acustica e ukulele, “1976” e “Yellow” risfoderano l'intero campionario di suoni, dal toy piano al clarinetto, dalla melodica al flauto in un asciutto processo di stratificazioni.

Nel 2009 Tiersen rinsalda la collaborazione con Christophe Miossec componendo per lui la musica dell'album “Finistériens”. Sempre nello stesso anno il compositore bretone partecipa come ospite all'album dei This Immortal Coil “The Dark Age Of Love” sotto il segno della Ici d'ailleurs. Tiersen mette mano a tre dei brani contenuti nel tributo: “Red Queen”, “Love Secret Domain” e “Teenage Lightning”.

I nuovi orizzonti

We're following a road of pain
we're all running away to death
Please, come back and hold me tight
let's burn and burn again
all in all we will be ashes
floating in the winds
[“Ashes”, Dust Lane]


Dopo un silenzio lungo cinque anni, nel 2010 Yann Tiersen torna a pubblicare un album in studio, il sesto della serie, che prende il nome di “Dust Lane”. Il disco è anticipato dall'Ep Palestine, che esce in tre edizioni limitate su vinile per Ici d'ailleur. In verità, l'Ep non è altro che l'omonima canzone – una progressiva stratificazione di parti orchestrali e sintetiche su cui si innesta lo spelling che forma appunto la parola Palestine – e quattro remix della medesima firmati da Deadverse, Chapelier Fou, The Third Eye Foundation e Tiersen stesso.

L'Ep è di fatto un antipasto in vista di Dust Lane, che esce nell'ottobre del 2010 inaugurando il sodalizio con Mute Records. Compiuto il definitivo passaggio all'inglese come veicolo comunicativo, Tiersen, che nei due anni di preparazione dell'album ha visto andarsene persone care, decide di dedicare l'album al rapporto tra la vita e la morte. La novità più evidente riguarda l'utilizzo di sonorità sintetiche: le canzoni vengono dapprima composte con la sola chitarra acustica nel consueto studio sull'Ile de Ouessant, e poi completate con il massiccio uso di synth, parti corali e ricchi arrangiamenti orchestrali, curati in sede di produzione da Ken Thomas (già all'opera con i Sigur Ros). La costruzione per step successivi traspare distintamente da quasi tutti i brani, che spesso presentano un canovaccio di progressioni incrementali che traggono origine da essenziali note di chitarra o leggiadre partiture d'archi, per poi evolversi in atmosfere fosche e stranianti, ovvero in orchestrazioni impetuose e pompose stratificazioni sintetiche.
Se dunque in "Dust Lane" può ritrovarsi il Tiersen descrittivo delle colonne sonore e quello minimale del romanticismo acustico, più frequenti sono i passaggi del lavoro in cui su di essi prevalgono nettamente ampie aperture armoniche in crescendo, nervose schegge elettroniche e una coralità oscura e straniante. A questi ultimi due elementi contribuisce senz'altro la partecipazione al lavoro di Matt Elliott, entrato in contatto con il compositore francese in occasione del progetto-tributo This Immortal Coil e con lui impegnato in una sorta di chiusura del cerchio tra sonorità decadenti, cori sghembi, cultura popolare mitteleuropea e quel latente senso drammatico che percorre ampi tratti di “Dust Lane”. Riconoscibile l'humming di Elliott nello spoken word di “Chapter Nineteen” ed evidente l'avvicinamento stilistico tra i due artisti nel tenebroso romanticismo di “Dark Stuff”; e altrettanto significativo il ruolo degli impalpabili arrangiamenti che conferiscono un'aura sigurros-iana alle torsioni dell'elegiaco strumentale “Till the End”.
Sono questi i brani più convincenti di un album che, altrimenti, pecca di una certa ridondanza nelle insistite stratificazioni sonore, che finiscono per appesantire la linearità di fondo di brani quali la title track e l'iniziale “Amy” e gli incalzanti loop di violino ed elettronica che supportano il declamato spelling del titolo del singolo “Palestine”. Opera senz'altro intensa e, come d'abitudine, ottimamente curata, “Dust Lane”, rappresenta uno stadio di sviluppo significativo, ancorché non del tutto compiuto, nel percorso di Yann Tiersen, che si conferma artista di classe ed estremamente poliedrico, nel suo irrefrenabile intento di coniugare mondi musicali tra loro diversi. E in questo, stavolta, potrebbe avere persino ecceduto, poiché probabilmente le tante idee racchiuse in “Dust Lane” necessitano ancora di un processo di ponderazione e sistematizzazione per dirsi davvero compiute.

yt14okUn processo che inevitabilmente viene affinato nel successivo lavoro in studio, Skyline, pubblicato pochi mesi dopo (è la primavera del 2011) sempre per Mute Records. Tiersen, affiancato di nuovo da Ken Thomas, si tuffa in atmosfere computerizzate, tra sovra-incisioni, missaggi ed emotività rock. Nel prodotto finale sono moltissimi gli echi di altri artisti: su tutti i Sigur Rós, ma anche gli Explosions In The Sky, con una certa malinconia per i millenari Tangerine Dream, nonché una certa probabile infatuazione per la cosmogonia di Klaus Schulze. Di nuovo, per la carriera dell'artista, c'è la scelta dell'inglese come strumento espressivo e la grande importanza del canto.
Skyline, se non ha niente di speciale o sconvolgente come i primi lavori di Tiersen, sa regalare emozioni delicate e profonde, con parecchi momenti di luce pura, nonché spunti legati all'attualità e alla riflessione sulla vita: la brillante “Another Shore”, con un giro melodico ciclico, che si allaccia all'orecchio, avvolto da vertiginosi crescendo informatici; “I'm Gonna Live Anyhow”, con un testo filosofico; “The Trial”, splendida melassa fiabesca, tra voci di elfi e sussurri di folletti, dove spicca Syd Matters; “Monuments”, perla del disco, con il parlato sull'incedere della batteria; “Gutter”, profonda e con tante chiavi di lettura, con il discorso di Ernesto Guevara all'Onu, del 1968, a scorrere nel “try to reach the sea” ripetuto incessantemente dai cantanti. “Exit 25 Block 20” è invece un esperimento che lascia un po' perplessi, con un urlo grottesco e inquietante a scandire il tempo del pezzo.

Mentre prepara il nuovo album, Tiersen trova il tempo per accompagnare con brani inediti la rappresentazione del centenario dell'opera “Fantomas” al Theatre du Chatelet di Parigi. Nel maggio del 2014 i tempi sono maturi per l'uscita di Infinity, ottavo disco in studio. L'opera riprende le soluzioni dei precedenti “Dust Lane” e “Skyline” e le spinge ulteriormente in avanti, utilizzando nuove forme e linguaggi. Il processo di scrittura e registrazione questa volta si svolge tra l'Ile de Ouessant e l'Islanda, ed è proprio l'estremo Nord a fornire ulteriori novità a una materia dal piglio sempre più avanguardistico: a collaborare con Tiersen ci sono infatti Aidan Moffat degli Arab Stap, il gruppo islandese delle Amiina e il faroese Olavur Jakupsson. “Infinity” ospita piccole soluzioni sinfoniche e passaggi sintetici, strumenti tradizionali affiancati da device elettronici, affonda nella litania nera di “Steinn” e si rivela nell'ariosa apertura pop di “Midsummer Evening”, forse in assoluto il brano che più si riavvicina alla vecchia cara “Monochrome”. I testi abbracciano il bretone (“Ar Maen Bihan”), l'islandese (“Steinn”) e il faroese (la preziosa “Grønjord”).
Il compositore di Brest dimostra così, una volta di più, di voler rinnovare e ampliare la tavolozza di suoni che vanno a colorare la sua musica, senza tuttavia mai perdere di vista le radici e le tradizioni popolari, in un moto perpetuo che abbraccia passato e futuro, le scogliere natali e il mondo. 

Ritorno alle origini

Ampiamente anticipato da un tour europeo che tocca l'Italia nell'unica data di Parma, Eusa ha il sapore di un ritorno alle origini per il compositore bretone, qui impegnato in uno dei progetti più ambiziosi ed emozionanti della sua lunga carriera. Eusa non è altro che il nome bretone di Ouessant, l'isola situata a 30 chilometri dalla terraferma che Tiersen ha eletto prima a luogo d'ispirazione e poi a residenza. L'album è composto da dieci composizioni inframezzate da otto "sentieri" improvvisati che portano da un luogo all'altro di Eusa. L'album è infatti una mappa dell'isola trascritta in note: per ogni luogo sono stati registrati i rumori "naturali", e sopra di essi prendono vita i rintocchi del pianoforte, l'unico strumento utilizzato nel disco. Un ritorno al minimalismo più puro, l'unica lingua in grado di parlare con il paesaggio e di descriverne le caratteristiche e le emozioni che suscita. Il valzer di "Penn ar Roc'h" e la rarefatta malinconia di "Penn ar Lann" sono gli apici di un'opera che si muove tra la calma apparente di "Yuzin" e i veloci movimenti di "Kadoran", chiudendo forse un cerchio magico con le origini di musicista a oltre vent'anni dagli esordi sulle scene.

Dopo il ripescaggio degli idiomi minoritari in “Infinity” e la geografia in musica dell'isola di Ouessant nell'omonimo “EUSA”, Tiersen completa un'ideale trilogia passando dal particolare all'universale, come il titolo stesso dell'album sembra voler suggerire. ALL è in qualche modo una sintesi dell'età matura: tornano le lingue “disperse”, con una componente cantata molto presente; torna il dialogo con l'ambiente, sia esso incontaminato o civilizzato, tramite l'ampio utilizzo di field recording; si amplia infine la pletora degli ospiti, una pratica in verità da sempre sdoganata.

La ricerca di una marcata solennità sembra ritorcersi contro l'autore, a maggior ragione in presenza di alcuni ospiti. Gli interventi dell'islandese Olavur Jakupsson in “Erc'h” e del bretone Denez Prigent in “Gwenniliead” vanno a coprire le basi strumentali in modi totalmente diversi (etereo il primo, profondo il secondo), ma la voce appare come un elemento anomalo e quasi dissacrante rispetto al contesto. Meglio va con l'apparizione aggraziata di Anna von Hausswolff in “Koad”, anche in virtù della notevole stesura per pianoforte che accompagna il canto, e poi nell'intervento della moglie Emilie in “Pell”, che dai rintocchi di piano si ricollega agli esperimenti di “Dust Lane” (così come le successive “Bloavezhiou” e “Heol”, quasi un lunghissimo corpus unico a metà del disco).

In mezzo a questo florilegio di suoni e giochi di specchi, alle prese col Tiersen più barocco e forse ambizioso di sempre, sono però i brani più semplici e diretti quelli che fanno riconciliare con il compositore francese. “Tempelhof” sembra uscire dalle medesime session di “EUSA”, se non fosse che il pianoforte solitario non è accompagnato dai suoni dell'isola, quanto dalle voci che si rincorrono negli spazi ormai abbandonati dell'ex aeroporto berlinese, come a simboleggiare il rinnovato rapporto di simbiosi tra l'umanità e un luogo riconsegnato al lento lavoro della natura. La vera gemma di questa opera è però il capitolo più breve, “Aon”, una breve orchestrazione per strumenti tradizionali e toy piano che si gonfia di un'epicità finalmente sottile e maestosa al tempo stesso. Il pianoforte che guida “Prad” è l'ultima, lenta passeggiata in mezzo alla natura incontaminata prima che lo spoken word in bretone di “Beure Kentan” concluda l'album in un ambiente en plein air e ormai privo di accompagnamento sonoro.

25 anni di carriera: "Portrait"

A fine 2019 Yann Tiersen pubblica un'altra opera-fiume, Portrait. All'alba dei 25 anni di carriera, il bretone si diverte a rileggere altrettanti passaggi del suo sterminato territorio, aggiungendo soltanto tre inediti in scaletta, e lo fa con vesti opportunamente rinnovate, mettendo a disposizione lo studio casalingo The Euskal (sempre a Ouessant) in una serie di registrazioni in presa diretta su nastro 24 tracce 2'' pollici, poi mixate su nastro stereo ¼ e susseguente masterizzazione da nastro a vinile. Un approccio analogico, dunque, utile anche per cristallizzare la magia e l'energia del momento.
Accompagnato passo per passo dalla moglie Emilie e da Olavur Jakupsson e Jens L. Thomsen, Tiersen rimodella il suo stesso repertorio talvolta utilizzando la carta carbone, come nella celebre “Comptine d'Un Autre Été (L'Après-Midi)” che resta una sonata per piano, nelle varie “The Waltz Of The Monsters”, “Rue des Cascades” e “The Wire” che non differiscono di molto rispetto alle versioni di un tempo o in una “Monochrome” impreziosita dal clavicembalo e nella quale la voce profonda di Gruff Rhys si sostituisce a quella di Dominique A. Per strano che possa sembrare, i brani più antichi sono anche quelli meno “rivisitati”.
Sfugge in parte a questo discorsi l'“Introductory Movement” riscritto con una visione più atmosferica e teatrale con Stephen O'Malley, a testimonianza del fatto che sono forse gli interventi dei colleghi quelli che imprimono una marcia diversa ai pezzi. È curioso che O'Malley intervenga a rendere meno placida l'atmosfera di “Prad”, l'ultimo meraviglioso girotondo per pianoforte uscito dalla penna di Tiersen proprio quest'anno in “All”, perché sembra testimoniare la concezione “aperta” del bretone verso la propria musica, intesa come qualcosa in costante mutamento – il che rende quantomeno curiosa l'affermazione circa il fatto che quelle presenti in Portrait sarebbero le versioni “definitive” di questi brani.
Non possiamo per evidenti motivi tacere gli interventi dei Blonde Redhead nell'inedita “Closer”, un intenso affresco per pianoforte e synth, e la chiusura simbolica di “Thinking Like A Mountain” a braccetto con il “solito” O'Malley e declamata da John Grant. Simbolica in quanto il brano estratto da “Almanacco di un Mondo Semplice” di Aldo Lepold è il manifesto di un pensiero ecologista in cui Tiersen si rispecchia, lui che ha preferito la semplicità e i tempi lunghi di un'isola sperduta nell'Atlantico alle comodità della frenetica e cervellotica vita moderna.

Dopo il progetto Portrait nel quale era accompagnato da un sontuoso codone di ospiti, con Kerber, pubblicato a fine agosto del 2021, il compositore bretone sembra ritrovare la condizione più congeniale per descrivere le sue geografie esistenziali. Le sette tracce del nuovo album, che prendono il nome di luoghi ben precisi, si snodano nel binomio di pianoforte ed elettronica, un amalgama votato alla sottrazione, come se entrando nei luoghi che Tiersen dipinge fosse necessario – e in effetti lo è – fare silenzio, portare rispetto, sentirsi ospiti e non padroni. Anche quando il piano si fa strada e prende il sopravvento, come nella traccia che dà il titolo al disco e che prende il nome da una cappella di Ouessant, è sempre tramite un crescendo che si trasforma in cascate di note che interrompono la calma soffusa che regna all'interno dei movimenti.
Non vi è dubbio, poi, che un pezzo come “Ar Maner Kozh” rappresenti uno di quei girotondi che in passato Yann Tiersen ha saputo pennellare con inarrivabile maestria, tant'è che il paragone più probabile è con le giovanili sperimentazioni de “La Valse des Monstres”. Un ritorno alle origini, in tutti i sensi. La quiete di “Kerdrall” è appena disturbata dai rumori che si insinuano tra i tasti in un lieve brusio di sottofondo prima che il piano si lanci in una fuga che descrive moti ascensionali. I riverberi elettronici che chiudono “Ker Yegu” sono forse il punto più distante nel quale l'album decide di spingersi, più lontano persino dei fari che sorvegliano le coste frastagliate di un'isola che, una nota dopo l'altra, abbiamo imparato anche noi a conoscere.

Berlino e l'elettronica: un nuovo capitolo?

Nell'estate del 2022, a sorpresa, Yann Tiersen ritorna con un nuovo album dal titolo 11 5 18 2 5 18. Leggi quella sfilza di codici e pensi che Yann Tiersen l'abbia fatto ancora. Invece no, questa volta il compositore bretone non ha musicato i luoghi più sperduti dell'Ile de Ouessant, premurandosi di farci avere le coordinate esatte. Niente di più distante, anche geograficamente parlando: i nove brani dell'album nascono a Berlino da una sessione di sperimentazioni buttate giù in vista di un'esibizione a un festival della capitale tedesca.

 

La quale, ancora una volta, si dimostra un luogo in grado di ispirare e “veicolare” il suono di ogni artista in una direzione ben precisa: in questi caso, quella che porta ai sintetizzatori. Se è infatti vero che Tiersen negli anni si era più volte interessato all'ambito elettronico, è altrettanto innegabile che mai si era spinto così tanto in territori sintetici, preferendo perlopiù mischiare il tutto con strumenti suonati. Posizionandosi a mezza via tra l'elettronica e il rock, dunque, e senza mai perdere troppo di vista quella modern classical che ha fatto le fortune di Yann e che resta il motivo per cui è conosciuto a ogni latitudine terrestre.

 

Qui invece lo scenario cambia: tutto (o quasi) diventa sintetico, le voci – quando presenti – si fanno robotiche, le influenze kraut non mancano, sembra di entrare in un futuro distopico ma neppure troppo. Compare, soprattutto, un beat che rende il repertorio quasi spendibile in certi dancefloor a tinte dark. Talvolta la trama prende una piega space, quasi fossimo finiti per sbaglio in qualche universo parallelo tratteggiato dagli Air, altrove il battito si spegne e ci si ritrova in atmosfere più congeniali all'artista e al suo pubblico, laddove il pianoforte si riprende i suoi spazi. Il brano finale è un ponte con il passato, ovvero una versione accorata e ancora più evocativa di “Mary”, canzone che faceva parte dell'album “Les Retrouvailles” originariamente cantata da Elizabeth Frazer e qui interpretata da Émilie, moglie di Tiersen, in arte Quinquis.



Contributi di Antonio Ciarletta ("Yann Tiersen & Shannon Wright"), Raffaello Russo ("Dust Lane") e Rossella De Falco ("Skyline")

Yann Tiersen

Discografia

IN STUDIO
La Valse des Monstres (Sine Terra Firma, 1995)
Rue des Cascades (Sine Terra Firma, 1996)
Le Phare (Ici d'Ailleurs, 1998)
L'Absente (Emi, 2001)
Les Retrouvailles (Ici d'Ailleurs, 2005)
Dust Lane (Mute, 2010)
Skyline (Mute, 2011)
Infinity (Mute, 2014)
EUSA (Mute, 2016)
ALL (Mute, 2019)
Portrait (Everything's Calm/Mute, 2019)
Kerber (Everything's Calm/Mute, 2021)
11 5 18 2 5 18 (Mute, 2022)
COLONNE SONORE
Le Fabuleux destin d'Amélie Poulain (Virgin, 2001)
Good Bye, Lenin! (Emi, 2003)
Tabarly (Emi, 2008)
MINI ALBUM
Tout est calme (Ici d'ailleurs, 1999)
Palestine Ep (Ici d'ailleurs, 2010)
LIVE
Black Session: Yann Tiersen (Emi, 1999)
C'était ici (Emi, 2002)
On toure (Emi, 2006)
COLLABORAZIONI
Bästard ~ Tiersen (Ep, Ici d'Ailleurs, 1999)
Yann Tiersen & Shannow Wright (Ici d'Ailleurs, 2004)
This Immortal Coil: The Dark Age of Love (Ici d'Ailleurs, 2009)
Pietra miliare
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