Loren Nerell

L'archeologo del suono

intervista di Matteo Meda

A ben ventisei anni dal suo esordio sulle scene, Loren Nerell è approdato alla Projekt pubblicando poche settimane fa il suo settimo album "Slow Dream", una suggestiva e riuscitissima commistione di ambient, rumore bianco e tradizioni etniche orientali. Il musicista è reduce da ventisei anni di sperimentazione e "documentari" sonori su culture e tradizioni, svolti spesso abbracciando la forma delle field recordings come nel suggestivo "Lilin Dewa". Originale e personalissimo, il curriculum di Nerell svaria dalle esperienze con il Kronos Quartet alle collaborazioni con l'ex-Tangerine Dream Paul Haslinger e il compianto scudiero californiano A Produce, senza dimenticare la decennale amicizia con il guru dell'ambient-music moderna Steve Roach. Lo abbiamo intervistato in videoconferenza, per una chiacchierata ricca di aneddoti e sorprese, in cui ci ha anche spiegato il funzionamento e la scoperta del gamelan, il particolarissimo strumento tradizionale balinese a cui è legata gran parte della sua fama.

Partiamo dalla fine: hai appena pubblicato "Slow Dream", il tuo quinto album solista. Come e da dove è nato il processo che ha portato alla sua realizzazione?
In realtà è il mio settimo album, se conti i primi due, pubblicati su cassetta. Tutto è cominciato circa cinque anni fa, in una conversazione con Steve Roach. Stavamo parlando delle illusioni ipnagogiche, quei brevi periodi di tempo tra sonno e veglia, e anche di una musica che descrivesse quello stato mentale, che è un vero e proprio spazio creativo. Così ho iniziato a lavorare su qualcosa che potesse funzionare in quel lasso di tempo antecedente al sonno. Ho sperimentato lentamente, togliendo ogni tanto delle parti e rimpiazzandole, fino a quando ho sentito che il tutto era a posto.

Bene, parleremo più avanti del tuo rapporto con Steve. Quante e quali sono le influenze che ti hanno ispirato per questo disco?
Beh, sono molte, tutto ciò che è capitato nel passato ne ha influenzato la nascita, nel bene come nel male. Ovviamente Steve è stato un'influenza: mi ha dato l'idea; poi il gamelan, in particolare quello di Java, che ho suonato a lungo ogni sera in concerti per spettacoli di ombe cinesi. In realtà, ho usato solo occasionalmente il gamelan nel disco, per la maggior parte sotto forma di field recordings che ho registrato direttamente a Java; ma queste le ho processate e modificate a tal punto che ora è difficile dire esattamente cosa siano, o come suonino. Il filo conduttore dell'intero disco si basa invece su una registrazione di venti minuti che ho fatto a Bali con un raro gamelan: una volta portata in studio, l'ho dilatata fino a raggiungere le sei ore di lunghezza, poi sono intervenuto sul suo sonoro ritagliando le parti più interessanti, che ho infine usato come pilastro dell'intero disco.

E l'uso del gamelan è probabilmente una delle cose che rende così particolare la tua musica. Come sei arrivato a interessarti di questo strumento e come funziona, in breve?
Il gamelan, in realtà, è un gruppo di strumenti, composto principalmente da percussioni melodiche il cui principio è il medesimo dello xilofono. Mi interessai a questo strumento molti anni fa: nell'università che frequentavo c'erano alcune classi in cui si studiava il gamelan, e io stavo cercando una classe diversa da quella che frequentavo, volevo divenire uno studente a tempo pieno. Un mio amico sapeva che ero interessato alle cose "nuove", strane, e così mi consigliò di unirmi al corso di gamelan. Al tempo non sapevo cosa fosse un gamelan e nemmeno dove si trovasse l'Indonesia; così andai a lezione, vidi gli enormi gong e i metallofoni e decisi di provarci, senza più sganciarmene.

A mio parere, "Slow Dream" è un lavoro straordinario che unisce l'ambient più "classica" ed elementi mistici e profondi, che sembrano provenire da una ricerca sonora e culturale a trecentosessanta gradi. Un lavoro "colto", in tutti i sensi. Sei d'accordo?
Beh, grazie, sono felice che ti sia piaciuto. E' un lavoro "colto", sì, nel senso che proviene dallo studio di una cultura particolare e, ovviamente, dal fatto che io stesso provengo da culture differenti: la definizione più adatta è quindi sicuramente "multiculturale". In generale, però, il mio obiettivo non è mai quello di creare un luogo particolare o di evocarlo: mi limito a fare la musica che mi piace, e le cose che mi piaccono si riflettono su di essa. Mi piace lo spazio, mi piace ciò su cui si può riflettere, e la musica che porta in dimensioni diverse da quella del quotidiano. Se tutto ciò può essere considerato profondo, senz'alcun dubbio lo è anche il disco. Ciascuno può trovarci qualcosa, e quel qualcosa c'è per forza, altrimenti non sarebbe stato trovato!

Si tratta anche del tuo primo album su Projekt, una label decisamente fondamentale nella storia della musica, specialmente oltreoceano. Come sei arrivato in contatto con Sam Rosenthal, e quanto è importante per un musicista la relazione con l'etichetta che lo produce?
Conosco Sam Rosenthal da anni, da quando nel 1980 lasciò la California per andare al college. Poi l'ho reincontrato più avanti, quando era coinquilino di Walter Holland, mio amico e musicista elettronico, leader degli Amber Route. Ai tempi, però, Sam non lavorava granché in ambito ambient, e così non ci fu modo di instaurare un rapporto collaborativo. Successivamente incontrai Brian Lustmord, a cui piacque la mia musica: così alcuni miei primi lavori uscirono per la sua Side Effects. Quando poi Brian chiuse la sua label, la Soleilmoon mi ingaggiò e restai con loro per un po'. Per la Projekt è uscito un altro mio disco, una collaborazione con Steve Roach, che Sam ha ri-pubblicato nel 2006 dopo che la Soleilmoon l'aveva messo fuori commercio. Per quanto riguarda "Slow Dream", andò all'incirca nello stesso modo: Steve suggerì a Sam di dare un ascolto al mio disco, questo gli piacque e così è uscito per la Projekt.

Loren NerellA proposito, quattro anni fa uscì appunto "Terraform", il superbo lavoro che ti vide collaborare con Steve Roach. Cosa ti ricordi di quei tempi?
Abbiamo cominciato a lavorare a quell'album nel 2003: Steve lavorò al mastering del mio album "Taksu" e gli piacque molto la direzione che stavo prendendo, così gli venne l'idea di provare a collaborare in un album insieme. Dopo aver registrato un po' di materiale nel mio studio, andai da lui per una settimana: lavorammo quasi sempre di notte negli studi della sua Timeroom. Dopo quel lavoro ci siamo fermati e ci siamo salutati con l'idea di completare il tutto nei mesi successivi, visto che dovevamo solo aggiungere qualcosina. Beh, quei mesi divenirono tre anni, in quanto entrambi eravamo impegnatissimi in altri progetti. Così, nel 2006 decidemmo di completare il mix, ma questo in realtà durò molto più a lungo, con il cambio di numerosi elementi. Come ho detto prima, abbiamo lavorato principalmente di notte e sul punto di addormentarci. Scherzando, tra di noi ricordiamo il disco chiamandolo l'"album del sonno", perché nessuno dei due ricorda gran parte delle session: probabile che fossimo totalmente immersi nel sonno durante le registrazioni! (ride)

Incredibile! E' qualcosa di veramente strano... Mi stai rivelando cose che non avrei mai immaginato! Comunque, mi hai detto che questo è il tuo settimo lavoro. Nonostante tu abbia pubblicato “solo” sette album nella tua carriera, “Point Of Arrival” risale addirittura al 1986, ventisei anni fa! La tua è una musica che richiede tempo per svilupparsi o questo è dovuto principalmente ai tuoi numerosi impegni paralleli?
Beh, onestamente sono lento! (ride) In ogni caso, alle volte anche la vita quotidiana ha giocato il suo ruolo. Negli ultimi ventisei anni, sono tornato per due volte a scuola, ho viaggiato moltissimo, soprattutto in Indonesia, dove sono stato svariate volte. Ho anche realizzato molte performance di gamelan e collaborato con tantissime band, sia durante i concerti che nelle session in studio, e tutto questo ha sicuramente contribuito a tenere lontana la mia creatività. Tra l'altro lavoro a tempo pieno per l'UCLA (l'Università di Los Angeles, ndr), e anche questo mi porta via parecchio tempo.

So che hai preso parte in passato ad altri importantissimi progetti, per esempio il Kronos Quartet. Cosa ti ricordi di quell'esperienza?
Il tutto avvenne durante la scuola, frequentavo all'UCLA un corso graduato di etnomusicologia. Il Kronos Quartet era un gruppo di artisti che sperimentava con la musica da camera: erano interessati a collaborare dal vivo con alcuni ensemble - fra cui quello di gamelan giavanese di cui facevo parte - e in quel periodo si trovavano a Los Angeles. Personalmente, volevo testimoniare come i musicisti d'impostazione classica e i performer di gamelan avessero modalità totalmente diverse di approcciarsi alle cose, tanto da non essere sempre in grado di conciliarsi; alla fine, divenni il trait d'union tra i due gruppi. In ogni caso, continuo a sostenere la mia tesi: per esempio, la musica classica è molto lineare, persino negli spartiti, dato che si inizia a suonare in base a quanto scritto in alto a sinistra e si finisce con l'ultima notazione in basso a destra. Nel gamelan l'approccio è ciclico: tu suoni un determinato ciclo ripetendolo fino a quando non devi passare al successivo, e questi possono avere qualsiasi durata, in base a ciò che stai eseguendo, che a sua volta si basa esclusivamente sul sentimento. Così, ovviammo al problema seguendo uno schema che si adattasse ad entrambi: il Kronos fissava un determinato numero di cicli e l'ensemble del gamelan doveva seguirli. Alcune volte eravamo a tempo, altre no: per questo dovevo praticamente prendere nota di tutto, un'esperienza comunque interessante.

E so anche che hai studiato antropologia. E' una tua "seconda passione"? E ha un ruolo nel processo compositivo? Mi spiego: dietro la tua musica - in particolare per quel che riguarda le influenze tradizionali - c'è una sorta di ricerca antropologica?
In un certo senso, l'antropologia mi ha condotto verso l'etnomusicologia e lo studio del gamelan. Mi interessai a ciò molto presto, a nove anni circa, quando feci un viaggio con i miei genitori attraverso il Messico e tutta l'America centrale. Vidi con i miei occhi che esiste ben più di una maniera di vivere la propria vita, che non esiste solo la propria periferia. Poi trovai interessanti tutte quelle piramide Maya e azteche, e volli saperne di più. Quel primo viaggio in Messico penso sia stato un vero punto cruciale della mia vita, che mi ha condotto ad essere quel che sono oggi e a fare quel che faccio, musicalmente e professionalmente. Per quanto riguarda la composizione sì, effettivamente non uso mai la notazione occidentale: se devo scrivere qualcosa lo faccio usando la notazione del gamelan. Inoltre, gran parte dei miei brani si basa su cicli, ed è perciò molto più vicina al gamelan che alla musica occidentale. Infine, per quel che concerne la ricerca antropologica, dopo aver ottenuto un diploma in antropologia ho lavorato per un po' come archeologista nei pressi di Los Angeles. E questo ha ovviamente influenzato il mio lavoro a Bali nell'ambito della musica da tempio, con cui ho ottenuto la laurea in etnomusicologia.

Bene, siamo vicini alla fine, ultime due domande velocissime... Qual è il tuo album preferito di Loren Nerell?
Forse "The Venerable Dark Cloud". A proposito, sto lavorando ad una versione estesa di questo mini-album, che avrà tutti i brani originali più alcuni outtake e del nuovo materiale.

Ottimo, hai anticipato la mia ultima domanda: quali sono - se ne hai - i tuoi progetti per il futuro prossimo?
La versione estesa di "The Venerable Dark Cloud"! Poi sto lavorando in questi giorni a una colonna sonora per un cortometraggio, è il mio progetto più imminente. Qualche anno fa, pubblicai un disco in collaborazione con il mio amico Barry Craig (A Produce), intitolato "Intangible" e uscito per la Hypnos. Purtroppo, Barry ci ha lasciato proprio nei giorni in cui l'album stava per essere pubblicato: stavamo pensando di fare un secondo disco assieme e ho ancora qualche brano che non abbiamo mai completato, quindi pensavo anche di provare a portarli a termine e provare a vedere che ne viene fuori. Alcuni suoi amici stavano pensando di incidere anche un disco in sua memoria, dopo aver ricevuto da lui parte del materiale che avrebbe dovuto finire nel nostro lavoro. Quindi i due progetti potrebbero anche unirsi e vedere la luce insieme. In questo momento, mi sto godendo l'uscita e il buon successo di "Slow Dream" e la prima stampa in vinile del mio primissimo lavoro, "Point Of Arrival".

Discografia

LOREN NERELL
Point Of Arrival(LAN, 1986/Forced Nostalgia, 2012)
Lilin Dewa (Side Effects, 1986)
Indonesian Soundscapes (Soleilmoon, 1999)
The Venerable Dark Cloud (mini, Amplexus, 2000)
Taksu (Soleilmoon, 2003)
Slow Dream (Projekt, 2012)
The Venerable Dark Cloud (remastering) (Projekt, 2016)
COLLABORAZIONI
Terraform (with Steve Roach, Soleilmoon/Projekt, 2006)
Intangible (with A Produce, Hypnos, 2011)
Tree Of Life (with Mark Seelig, Projekt, 2014)
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