Spleen

Il fascino della improvvisazione

intervista di Magda Di Genova

Conosciuto principalmente per la sua lunga collaborazione con PJ Harvey e per quella più recente con i nostrani Marlene Kuntz, Rob Ellis ha all’attivo innumerevoli produzioni e collaborazioni (tra cui Placebo, Mick Harvey e Marianne Faithfull), un paio di dischi solisti e un altro paio con gli Spleen, suo progetto votato all’improvvisazione più rumorosamente rock. In occasione dell’uscita di “Nun Lover!” degli appena citati Spleen, Onda Rock ha raggiunto a Senigallia il poliedrico Rob per discuterne.


Ciao, Magda!
Ciao Rob!
Ciao, come stai?
Piuttosto bene, grazie. Tu?
Sto bene, ti ringrazio.
So che passi una settimana in Italia. Sei in vacanza o in promozione?
(sorride) In realtà sono qui per produrre un’artista romana, Giulia Villari. Trovo che sia molto brava ed è sicuramente un nome da tenere d’occhio.
Stai producendo molti artisti ultimamente.
Sì, è quello che effettivamente voglio fare (ride). Sul serio, non voglio mai più suonare la batteria!
Davvero?!
Sì, è quello che voglio fare, è la parte che più preferisco di quando si lavora a un disco. Assolutamente. Non suonare, ma ascoltare. Ascoltare ed avere idee.
Mmmhhh... A me sembra così strano sentirti dire una cosa del genere!
Strano? Perché pensi che sia strano?
Non saprei con esattezza, ma se può essere noioso registrare, penso che l’adrenalina che si provi salendo su di un palco sia piacevole.
(sospira) Sì, ma non va bene per un uomo della mia età, cara la mia Magda (scoppiamo a ridere). Ormai non reggo più molto bene troppi caffé, troppo alcool o donne volubili, questo è il mio problema attuale.
Tornare a suonare dal vivo è fuori discussione!
Sto più o meno scherzando. ... Più o meno.

Parliamo degli Spleen. Il primo disco pubblicato a loro nome è uscito nel 1996. Cos’è successo da allora?
Nel ’96 sono usciti due dischi a nome “Spleen” e si trattava di un progetto circoscritto a uno studio di registrazione... Poi ho pubblicato dei dischi strumentali a mio nome e tra allora e oggi ho suonato e lavorato con altre persone: ho inciso, suonato dal vivo, prodotto, quindi non avevo molto tempo da dedicare a un nuovo capitolo degli Spleen e, improvvisamente, mi sono ritrovato dieci anni dopo.
La verità è che siamo entrati in studio con l’intenzione di registrare un disco e solo in quel momento mi sono reso conto che eravamo nell’atmosfera adatta agli Spleen, che questo poteva essere un disco degli Spleen: si tratta fondamentalmente di improvvisazione strumentale.

Hai accennato ad alcuni concetti che avevo pensato di approfondire.
Vado in ordine un po’ casuale.
Devo ammettere che, con "Nun Lover!", si ha finalmente la sensazione che gli Spleen siano un gruppo e non “un progetto di Rob Ellis”
Sì, ma mi sono sempre illuso che si trattasse di un gruppo e non solo un progetto a nome Rob Ellis. Questa volta, però, gli Spleen possono essere finalmente considerati un gruppo vero e proprio, ci sono solo quattro persone coinvolte. Prima le persone coinvolte erano molte di più: ce n’erano 20 per il primo disco e 16 per il secondo. Questa volta ce n’erano solo quattro, tutte insieme, nella stessa stanza che improvvisavano in presa diretta, mentre per i dischi precedenti ero da solo nella stanza e componevo musica per mesi e mesi.
Immagino che chiedere a Cristiano Godano e Josh Klinghoffer (chitarrista, tra gli altri, di PJ Harvey , John Frusciante , Vincent Gallo) di suonare su questo disco sia stata una scelta semplice, visto che conosci entrambi da parecchi anni. Come hai conosciuto, invece, Giorgio Vendola? Non ne ho mai sentito parlare, ma è un bassista straordinario!
Giorgio è sicuramente uno dei musicisti migliori che abbia mai conosciuto in tutta la mia carriera!
È stata una vera e propria sorpresa, una vera e propria scoperta: un paio d’anni fa ero a Senigallia per registrare il disco e c’era questo festival musicale per tutta la città. Passeggiavo per le strade e guardavo tutti questi gruppi suonare e ho visto questo gruppo jazz — del quale, mi spiace, ma non riesco a ricordare il nome ed è veramente orribile da parte mia — questo gruppo jazz, dicevo, con questo bassista straordinario che aveva uno stile tra il folk dell’Est europeo ed il jazz sperimentale. Ho pensato subito che fosse fantastico. Ho aspettato che il concerto finisse, sono andato dietro le quinte e — dal momento che lui non parla inglese ed io parlo pochissimo italiano — a gesti gli ho fatto capire che avrei registrato un disco in settimana e che gli chiedevo di partecipare alle registrazioni. In pratica questo è quello che è successo.

Quindi ho avuto la sensazione esatta, quando ho pensato che questo, più che un disco scritto e ponderato, fosse il resoconto di una serata di improvvisazioni. Però non pensavo che ci fosse anche la consapevolezza di voler pubblicare un disco, pensavo che il disco fosse una conseguenza.
Ho sempre pensato che, per un nuovo disco degli Spleen, ci volesse un gruppo e non che fosse il frutto di mesi di lavoro in solitudine in uno studio, pensavo di avere dieci persone nello studio e di registrare quello che risultava da un’improvvisazione.
L’uscita di questo disco nasce da un’idea di Josh: era in tour in Europa e, avendo una decina di giorni liberi, pensava di passare qualche giorno da me, a Senigallia. Gli ho proposto, dal momento che era qui, di registrare qualcosa, ma poi ho pensato che quello che solo io e Josh potevamo incidere in una giornata non avrebbe funzionato appieno, così ho chiamato Cristiano e conosciuto Giorgio e ci siamo ritrovati ad essere un gruppo solo per un giorno. Abbiamo registrato tutto in una serata: sai, Josh doveva ripartire per finire il tour e non c’era il tempo per decidere a tavolino cosa suonare, l’unica cosa che potevamo fare era improvvisare e quello che senti è il fedele risultato di quella session.
Raramente mi è capitato di improvvisare durante la mia carriera, ma quando l’ho fatto mi ha sempre divertito, penso di aver ottenuto sempre dei risultati molto interessanti.
Come hai aggiunto, poi, le linee vocali e i testi?
Ero molto contento di come suonava il disco senza una linea vocale, mi rendevo conto che c’erano dei brani che avevano un buon potenziale, che potevano essere delle belle canzoni perché avevano una struttura adatta ad una canzone vera e propria, quindi è stato molto naturale pensare di aggiungere il cantato. Ho impiegato circa 6 mesi per scrivere i testi, arrangiare le linee vocali e sovraincidere il tutto.
I testi parlano della mia insana ossessione per le suore (ride) nei film e nella letteratura.
Appunto, parliamo un attimo del titolo del disco. La prima impressione che ho avuto è stata una sorta di blasfemia...
In realtà è un’accusa che mi ha mossa la signorina Polly Harvey: mi ha mandato questo sms in cui c’era scritto: “Nun Lover!”. (sorridendo) Ti assicuro che non sono un pervertito, lo giuro, è solo che mi piacciono i film che parlano di suore.
Uno dei miei film preferiti è "Narciso Nero". È ambientato in un convento in cui tutte le suore ospiti impazziscono e una tenta addirittura di uccidere la Madre Superiora. Questo è anche quello di cui parla il brano "Sister Ruth". Quel film ha avuto un grande impatto su molte persone, Coppola e Scorsese compresi. In particolare, la famosa scena in cui Sorella Ruth esce dalla cappella e si ha questo primissimo piano sui suoi occhi spiritati. Quando, alla fine di "Taxi Driver" l’inquadratura è stretta sugli occhi di De Niro riflessi nello specchio, ecco, quello è un chiaro tributo alla scena che ti ho descritta prima.
...Sono anche molto interessato all’estetica e alla cultura delle suore.
Non c’è nulla di volutamente perverso nel titolo (sorride), lo giuro.
Spendiamo qualche parola anche sulla confezione. La trovo splendida.
Sono molto soddisfatto di come sia riuscita. Ci sono un paio di errori ortografici che sono sorti durante la trascrizione perché la persona che si è occupata dell’artwork non parla inglese ed io non parlo italiano molto bene. È interessante che, per quanto ci siamo sforzati per far sì che tutto fosse scritto correttamente, ci siamo poi ritrovati, comunque, con degli errori.
Queste sono ancora le prime copie, ma nelle edizioni successive, gli errori verranno corretti.
No! Rob, non puoi correggerli, è tutto così perfetto! Pensa che ero convinta che fossero voluti!
Non era così, ma ti confesso che in ogni disco degli Spleen ci sono degli errori di battitura, quindi si tratta un po’ come di un tema ricorrente, ormai.

Rob, tu avevi già diversi dischi pubblicati a tuo nome.
Ne sono stati pubblicati due. Il primo nel 2000 e il secondo nel 2003. Si intitolano "Music for the Home vol. 1 e vol. 2.". Sono dei dischi strumentali di avantgarde e elettronica.
Da cosa nasce la necessità di avere dei dischi a tuo nome e altri a nome “Spleen”?
Credo che la vera ragione sia perché, in fondo in fondo, sono piuttosto timido (sorride) e molto democratico, quindi penso che sia giusto che, quando diverse persone collaborano insieme, non venga dato al disco il nome di una sola persona.
Se si trattasse semplicemente di un mio disco, di un disco su cui ho lavorato da solo, troverei legittimo che uscisse solo a nome di Rob Ellis, ma se si tratta di un gruppo è giusto che non risulti solo mio.

Ci sarà un video-clip in rotazione?
Uhm... (allontana la cornetta e urla al discografico) Ci sarà un video-clip in rotazione?
...
Ci stanno pensando, ma lo spero.
E concerti dal vivo?
Ci piacerebbe molto. Il problema è riunire tutti: io sono impegnato con tutti i miei progetti, Josh è sempre in tour con qualcuno, Cristiano è a Cuneo per registrare il nuovo disco dei Marlene Kuntz e Giorgio... Dio solo sa dove sia Giorgio in questo periodo!
Siamo quattro persone con delle agende molto piene.
Tutti e quattro lo vorremmo e spero che riusciremo a trovare il modo per suonare dal vivo.

(26 gennaio 2006)

Discografia

SPLEEN
Soundtrack To Spleen (1996)
Like A Watermelon (12", 1996)
My Tracks (1998)
Little Scratches (1998)
Nun Lover! (2006)
ROB ELLIS
Music For The Home (2000)
Music For The Home Vol. 2 (2004)
Pietra miliare
Consigliato da OR

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