Josef K

Josef K

Il suono della Giovane Scozia

Per anni erano rimasti relegati a band di culto per i maniaci della new wave. Oggi, la raccolta "Entomology" fornisce una visione completa di ciò che hanno significato i Josef K per la musica britannica, ovvero uno dei principali punti di raccordo tra i suoni post-punk, caratteristici degli anni '78-'82, e un certo indie-pop che imperverserà per buona parte degli Eighties

di Antonio Ciarletta

Uno splendido viso di ragazza mi osserva senza tradire alcuna emozione. Due occhi magnetici, di cui uno si intravede a malapena, una bocca voluttuosa che invita a essere baciata. Un’istantanea stordente stravizia un cuore sino ad allora rilassato. Appena sulla destra una scritta in bianco che, pur senza ingombrare, si staglia ben visibile su due tonalità di grigio che sfumano l’una nell’altra. “Paul Haig”, recita. Immediatamente mi precipito verso di lei, ma il commesso, con fare gentile, mi frena e dice di cercarne una copia tra una pila di vinili accatastati nel retrobottega, invece di sottrarre quell’angelica visione ai passanti che ignari si accostavano alla vetrina. “Non disturbarla”, afferma, e come potrei. Smanioso corro nel retro, e inizio a visionare velocemente un vinile dopo l’altro; dunque, Emerson Lake & Palmer, Rolling Stones, Fugazi, Pil, Sonny Boy Williamson… niente, dov’è? Deve essere mia, ma non riesco a trovarla… Preso dall’impazienza di un amante ansioso di incontrare la sua adorata, inizio a scartabellare con velocità impressionante; un disco cade con violenza sul pavimento. Il rumore non è forte, ma neanche impercettibile, avete presente no? Ma il commesso, in altre faccende affaccendato, non pare accorgersene. Un’occhiata fugace per rendersi conto del danno, nessuno per fortuna. Cos’è? Ah una vecchia raccolta di blues accademico (Clapton, Jeff Beck, Stevie Ray Vaughn…), beh, può rimanere lì per quanto mi riguarda, almeno fino a quando non si sarà concretizzato l’incontro tanto bramato. Non è maleducazione, capite, solo passione, mi giustifico. Ancora, Prince, Hot Tuna, John Mayall, e finalmente lei. Rimango impietrito per più di un attimo, poi la prendo violentemente. Ma, incanto e tormento, in un battito di ciglia l’illusione è già svanita.

Il vinile in questione, “Chain” di Paul Haig, datato 1989, si snoda in una manciata di tracce in odor di romantico cantautorato elettronico, non distantissimo dal Billy Mackenzie post-Associates, mentre la magnifica visione di copertina che tanto mi aveva suggestionato, consta di un ritratto di Audrey Hepburn realizzato da Angus McBean. Amo Audrey Hepburn.
Il disco si rivelò buono, fortunatamente, e dico fortunatamente perché mi spinse a riprovare un approccio con i Josef K, che invece, fino ad allora, non avevano mai raccolto i miei favori. Non so perché, troppo derivativi pensavo. E quanto sbagliavo…

I Josef K nacquero a Edimburgo nel 1978 su iniziativa di Paul Haig, Ron Torrance, Malcom Ross e Malcon McCormack (poi sostituito da David Weddell). Inizialmente conosciuti come Tv Art, muteranno presto ragione sociale in omaggio a “Il Processo” di Kafka. Una manciata di singoli, un disco abortito, Sorry For Laughing - a causa di un onanismo perfezionistico che probabilmente non aveva ragione di essere - un altro, The Only Fun In Town , quando la band era ormai fantasma, e un atteggiamento distaccato, addirittura snob, verso pubblico e critica bastarono a creare una piccola leggenda. Dopo un solo album, affermarono di volersi sciogliere, e andò pressappoco così. Haig avvierà, tra alti e bassi, una carriera solista di tutto rispetto, Ross transiterà per Orange Juice e Aztec Camera, con Weddel e Torrance impegnati con Nicholas Currie, poi Momus, negli Happy Family.

Il “Suono della Giovane Scozia” che reagisce allo strapotere inglese, miscela esplosiva di esistenzialismo punk e cristallina attitudine pop. Il vecchio/nuovo pop britannico profumato di new wave, il culto della Postcard di Edwin Collins e Alan Horn, e allora, Orange Juice, Josef K appunto, Aztec Camera, Go Beetweens, in una musica che pur tutt’altro che uniforme, sapeva riconosce gli stessi padri: Velvet Underground, Television, Talking Heads, Joy Division.

Strana creatura, i Josef K, stella luminosa per un brevissimo periodo, poi implosa improvvisamente, causa la personalità troppo forte di un cantante incapace di fare gruppo, le cui intenzioni, pare, viaggiassero a velocità doppia rispetto alle azioni. Già proiettato verso una carriera solista che terrà a battessimo di li a poco, Haig decretò la fine di quell’esperienza, sottraendosi allo spettacolo e consegnando i Josef K al culto. Dalle macerie, uno dei modelli più seguiti (spesso inconsapevolmente) di molto indie-pop britannico (e non solo) a venire, e ancora oggi qualche più di qualche scanzonato act ne fa propri gli stilemi.

Erano pop, i Josef K, ma anche post punk, funk, e sapevano coniugare oscurità e romanticismo, chitarre abrasive e ritmi sostenuti quasi dance, sebbene il suono, apparentemente omogeneo, si sia mostrato cangiante nell’arco di quella seppur breve parabola creativa. La nuova raccolta, Entomology , su Domino (2006), fa proprio al caso nostro, al fine di cogliere la natura mutante di sfumature non proprio impercettibili, ma non sempre riconosciute da chi ha fatto dei Josef K oggetto di critica.

Contenente pressappoco in egual misura pezzi da Sorry For Laughing e da The Only Fun In Town , più singoli e tre estratti dalle Peel Sessions del 22 giugno 1981, Entomology palesa i motivi che indussero Haig a bloccare l’esordio. Sorry For Laughing , poi riedito da Ltm negli anni 90, pur pregno di quella nevrastenia elevata a marchio di fabbrica, presenta un suono rifinito, poppy , addirittura in alcuni episodi, ove anche le ritmiche si abbandonano senza resistenze all’abbraccio new wave. Alla maniera dei Talking Heads in “Heads Watch” e “Sense Of Guilt”, sporcate da rumori di sottofondo che sanno di sonorità proto-industriali alla Wire in “Drone”. Estasi di esistenziale romanticismo in “Endless Soul”, non distante dallo stile dei cugini Orange Juice, uno dei pezzi che, forse, più caratterizzerà il cosiddetto Postcard Sound .

The Only Fun In Town , anno ’81, si avvicina a ciò che i Josef K avevano intimamente intenzione di esprimere, e cioè quella debordante, oscura, vitalità, che secondo le cronache dell’epoca sembra caratterizzasse le esibizioni dal vivo. Ritmiche sostenute, chitarre aguzze che sferragliano come rasoi, cantato cupo di un Paul Haig che riesce a rendere viva quell’alienazione industriale da catena di montaggio propria di molti artisti del periodo. Pezzi svelti e incisivi come “Crazy To Exist”, già pubblicata in versione live nel singolo “Radio Drill Me”, meccanica, distorta, riferiscono di un buio dell’animo che trova referenti nei gruppi di casa Factory. Ancora, il post-punk frenetico di “16 Years”, dove gli strumenti paiono risuonare a compartimenti stagni, e quindi ben caratterizzati nel loro incedere, un po’ come nei Joy Division di "Unknown Pleasures". Ossessivo e malato punk-funk, “Forever Drone” mostra una melodia martoriata da chitarre che sibilano morbose dissonanze. Questi pezzi rappresentano il suono classico dei Josef K, ciò per cui verranno ricordati, anche se parlare di suono classico per una band che ha pubblicato un solo album o poco più è forse un po’ esagerato. Comunque sia, The Only Fun In Town (ma anche il resto della produzione della band) può essere a ragione considerato tra i classici del dopo-punk britannico, perfetto punto di raccordo tra le sonorità post ’77 e l’ indie-pop di lì a venire.

Discorso a parte fanno singoli, che potete trovare un po’ sparsi nelle varie raccolte e ristampe che si sono succedute dopo lo scioglimento. Non possiamo non partire dalla magnifica “It’s Kinda Funny”, del novembre dell’80, pezzo atipico nella produzione dei Josef K, implodente ballata tinta di elettronica analogica, lento assassino che fatica a trattenere un mood decadente da amante tradito. Già Morrissey quando Morrissey stava ancora a sollazzarsi con le Bambole di New York.
I singoli sfilano agghindati di un appeal melodico molto pronunciato, e non poteva essere altrimenti. Dimostrazione ne sia un’ancora una volta stupenda “Chance Meeting”, prima emanazione in assoluto dei Josef K, datata novembre ’79, su Absolute, e poi riedita da Postcard appena prima di The Only Fun In Town . Ed è quest’ultima la versione che preferiamo, superba pop-song venata wave, che con una produzione più robusta bene avrebbe figurato in un “Drums And Wires” degli Xtc o in “The Queen Is Dead” degli Smiths.

Da ricordare ancora “Radio Drill Time/Crazy To Exist” e “The Farewell Single”, edito da Crepuscule, con cui i Josef K chiusero baracca e burattini, a scioglimento già avvenuto per la precisione.
Per ciò che concerne i riferimenti discografici (che potete trovare nel box a sinistra), è obbligatorio avere la ristampa di The Only Fun In Town , a cura di Ltm, con pezzi di Sorry For Laughing , mentre chi volesse avvicinarsi per la prima volta ai Josef K, può benissimo iniziare dall’ottima raccolta Entomology , 2006, a cura della Domino.

Josef K

Discografia

Sorry For Laughing (1980 inedito, 1990 incluso nella ristampa di "The Only Fun In Town")
The Only Fun In Town (1981)
Young and Stupid/Endless Soul (compilation dei singoli 1979-1981, pezzi tratti dalle "John Peel Sessions" e da "Sorry For Laughing", 1987)
Crazy To Exist (live del 1981, 2002)
Live Valentinos (live del 1981, 2003)
Entomology (antologia, 2006)
Pietra miliare
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