24 Grana

Metaversus

1999 (La canzonetta)
indie-rock, dub, elettronica

'A fantasia è nu cielo niro e ll'uocchie p'ò pittà
(da “Stai mai ccà”)

Da sempre legati a doppio nodo con la loro città, Napoli, i 24 Grana sono stati una delle esperienze più singolari e intriganti della scena indipendente italiana a cavallo tra i due millenni. Una saga musicale che, pur mantenendo le radici fortemente radicate nel proprio territorio e restando sempre fortemente identificabile, non ha esitato a cambiare suono più volte, dando all’appassionato storytelling di Francesco “Ciccio” Di Bella nuove vesti a ogni uscita.
La storia di Ciccio, Renato Minale (Batteria), Armando Cotugno (basso) e Giuseppe Fontanella (Chitarra) è iniziata intorno al 1995, nella Napoli delle posse e dei centri sociali, partendo dagli spunti dub e dal ricorrente ricorso all’elettronica tipici di quella scena. Venendo da una realtà difficile come quella, l’impegno politico, la militanza e un cantautorato fortemente sociale furono per la band una direzione inevitabile. Praticamente una “non scelta”.

 

Le canzoni dei 24 Grana quasi erano obbligate a occuparsi dei temi della camorra, della tossicodipendenza a Napoli Nord, del degrado delle periferie, della povertà trasudata finanche dalle arterie centrali della città, e, con maggior violenza, dell’ignavia dello stato di fronte a tutto questo. E lo fecero.
Tuttavia, la situazione napoletana non è mai stata soltanto l’obiettivo delle invettive del gruppo, è piuttosto lo scenario per le storie poetiche di Francesco Di Bella. La montagna di merda da cui far sbocciare candidi fiori, dalla quale assistere ad albe meravigliose e smarrire lo sguardo nell’infinitezza del mare. Certamente canzone di protesta, ma fortemente intima e individualista, carica di speranza e di un’insospettabile dolcezza.
Fedele allo spirito della propria città, iper-contaminata in tutto e per tutto, dall’architettura ai toni della pelle dei suoi abitanti, quello dei 24 Grana è un melting pot anche musicale. Abbiamo detto di dub ed elettronica, che furono gli spunti di partenza del sound della formazione ai tempi del suo primo disco, “Loop” del 1997. Sono però fondamentali per la miscela della band anche l’indie-rock, specie di ispirazione americana, nonché il folk e il cantautorato anzitutto, napoletani, ma anche nazionali.

 

Se da una parte è opinabile che “Metaversus” (La Canzonetta, 1999) sia il migliore disco mai registrato dai 24 Grana, palma che si contenderà sempiternamente con il successivo “K Album”, è invece indiscutibile che si tratti del punto della discografia della band in cui le diverse anime del mix si trovano in perfetto equilibrio, dando vita, insieme a un iconico e caparbio utilizzo del napoletano da veri scugnizzi, un risultato unico e irripetibile.
Non si sbaglia, ad esempio, a definire “Loop” un disco dub; “K Album” è invece identificabile come un lavoro indie-rock; così come si può affermare con sicurezza che “Ghostwriters” veda la band iniziare a indugiare verso un percorso fortemente cantautorale. In “Metaversus”, invece, non solo è tutto lì, il dub, l’elettronica, le chitarre indie-rock e l’istinto poetico di Di Bella, ma tutto convive e partecipa alla creazione sinergica di un suono tra i più iconici mai partoriti dalla scena indipendente italiana.

Buongiorno, e allora?
le uniche difficolta ad entrare nel giovane nuovo mondo possono essere di carattere personale
ingenuità sensibilità fantasia sono finalmente tollerate
potenziamento del bagaglio emotivo
up-gradazione della vostra libertà individuale
estensione delle facoltà sensitive
tutto può dipendere ora dalla vostra volontà

“Metaversus” arrivò in quello che per i 24 Grana fu un periodo di grande creatività. Grazie a un fitto passaparola, “Loop” fu (perlomeno in ambito underground) un grande successo e fece guadagnare al quartetto numerose date live in giro per lo Stivale, in particolare al Sud. La fitta attività concertistica fu presto documentata da un disco live registrato durante uno show al Teatro Nuovo di Napoli e intitolato semplicemente “Loop Live”.
Nonostante un’attività dal vivo praticamente incessante, arrivato il 1999 la band era riuscita a scrivere numerosi nuovi brani, tanto che in una delle rare pause dal tour riuscì a confezionare il proprio secondo, atteso Lp. Registrato in uno studio sulla pacifica e riservata isola di Procida, “Metaversus” vide la luce proprio mentre la band era impegnata in un tour senza sosta.

Lo sguardo critico e ironico di Di Bella verso le derive della società, attuale e futura, è ancora una volta al centro del progetto e trapela già dal concetto intorno al quale gira il disco. L’ellepì e in particolare la sua traccia d’apertura “Nel metaverso” sono infatti in parte ispirati a “Snow Crash” di Neal Stephenson, un romanzo post-cyber-punk ambientato in un Ventesimo secolo funestamente in balia dell’anarco-capitalismo e, parallelamente, in un fantomatico metaverso digitale popolato dagli avatar tridimensionali dei cittadini (hai capito Zucky?).
Trascinata da un riff di chitarra elettrica pimpante e spigoloso, nonché dal suadente tono da pifferaio magico cibernetico di Di Bella, la fenomenale opener “Nel metaverso” ci spalanca le porte di un disco totalmente diverso dal suo predecessore, con la proporzione tra influenze reggae e rock completamente rivisitata. 
Una volta entrati nel “Metaversus”, quella che ci si para d’innanzi è un’infilata di classici della formazione, che plasmano a piacimento gli elementi rock, elettronici e dub, raccontando al contempo storie di alienazione e speranza.

Non vedo e non sento
e tutto ciò che rappresento lo invento

Elettronica strisciante e subdola come quella dei migliori Subsonica, un riff di chitarra elettrica rombante e secco tagliato da Fontanella con l’accetta e un testo dall’alto tasso chimico, ringhiato in italiano e con livore da Di Bella, mettono in sesto un’invettiva anti-sociale sull’impossibilità di appartenere e sentirsi rappresentati da una collettività stolidamente conformista. La ritmica di Minale e Cotugno è sferzante e indefessa e lascia respiro solo nei fugaci intermezzi dalle rilassate connotazioni reggae.
I due cambiano registro, così come Di Bella passa al napoletano, nella più gioviale “Vesto sempre uguale”. Qui la ritmica, pur tesa, detta un passo dub e si intreccia alle linee elettroniche, oltre che a una chitarra fluida e vivace in scia indie-pop. Qualche feroce bordata di chitarra distorta appare soltanto per agitare l’iconico ritornello che recita fino allo sfinimento: “Vesto sempre uguale e nun so' mai crisciuto”. Qui la difficoltà di appartenere diventa dunque bisogno di mimesi, anonimato, rifiuto di crescere pur di non adeguarsi.

Con la sua falcata ancora una volta giamaicana, ma ancora non totalmente stoned, “Nun me movo mai” apre una sezione centrale del disco più liquida e rilassata, dove a far da padrone sono tessiture sonore umbratili, ritmi downtempo e fugaci squarci di poesia – oltre ovviamente al napoletano, da questo momento assolutamente preponderante.
“Ll'uocchie mie, ll'uocchie mie, ll'uocchie mie sanno guarda'”, canta Di Bella con toni arrendevoli e un incedere melodico dal sapore autunnale in “La pena”. Tutt’intorno si espandono le vibrazioni conturbanti di uno scuro e pulsante cuore elettronico à-la Massive Attack, Fontanella lascia invece che la sua chitarra si rompa in un dolceamaro e melanconico pianto.

Nun saccio maje si aggio avuto custanza
Nun saccio maje
Nun saccio maje
Nun saccio maje si aggio avuto custanza
Nun saccio maje
Nun saccio maje

L’ingresso nella seconda parte di “Metaversus” è uno dei suoi classici più noti: “La costanza”. Le rullate plastiche di Minale, la fantasia chitarristica di Fontanella, che anche qui alterna senza soluzione di continuità fraseggi reggae a sferzate indie, l’elettronica mai così fantasiosa e varia avvolgono il cantato “vasciaiolo” di Di Bella che nonostante si rimproveri di non aver avuto quella costanza necessaria a cambiare il corso delle cose, riesce a tirarci su d’umore e risucchiarci nel suo irresistibile vortice melodico.
Tra archi appassenti e un riff di chitarra devoto all’indie-rock americano del decennio ’81-’91, “Le abitudini” anticipa invece gli umori e la svolta stilistica che caratterizzeranno il “K Album” di due anni dopo.

Nun me mporta e capi'
Si veco sulo e serpienti
Je parlo e tu nun me siente maje, nun me siente maje

Dopo un trittico così ombreggiato, il riff che azzanna il collo di “Resto acciso” e i suoi sinistri gorghi elettronici appaiono ancora più violenti. Continui contrasti (su tutti, quello tra una chitarra virulenta e travolgente e un pianoforte invece limpido e mesto), momenti di stasi, repentini scoppi di rumore e un testo sulla droga che non conosce indulgenza ne fanno uno dei brani più stratificati e riusciti che la band abbia mai scritto.
Le fa compagnia nella categoria il pezzo che chiude il disco, “Stai mai ccà”, un altro episodio sul tema della droga (l’hashish), che presenta però un umore completamente diverso, quasi la band volesse salutare l’ascoltatore con un messaggio luminoso e di speranza, o almeno di evasione. I bpm scoppiettano arzilli come pop corn, i loop elettronici sono raggi di sole e l’arpeggio di chitarra è placido e rasserenante. È lo scenario perfetto per un coro di fatine napoletane che intona "chiude ll'uocchie e suonne stai mai cca'". È un fenomeno che si verifica molto spesso nella musica dei napoletani, la giustapposizione quasi repentina di momenti quasi brutali ad altri rilassati e pacificanti. Uno stratagemma che mi piace chiamare “esplosioni di dolcezza mezz’ ‘a ‘munnezza”. Trainata anche dai delicati disegni realizzati da Davide Toffolo per il suo videoclip, “Stai mai ccà” qualche anno dopo sarebbe diventata anche la colonna sonora del cult movie di Antonio Boccola e Paolo Vari “Fame chimica”.

Privo di momenti di flessione o meno interessanti di altri, a tutti gli effetti un capolavoro del rock alternativo italiano a cavallo tra i due millenni, “Metaversus” fece sì che i 24 Grana finissero sotto i riflettori di un pubblico sempre maggiore e che ricevessero il plauso della stampa nazionale specializzata. Rumore dedicò loro addirittura una copertina.
Come anticipato, “Metaversus” non è da considerarsi necessariamente come l’apice della carriera dei partenopei, piuttosto come il più rappresentativo abbecedario del loro, variegatissimo e unico stile. Gli seguiranno almeno altri due capolavori, “K Album” e “Ghostwriters”, e altrettanti dischi validi.

12/06/2022

Tracklist

  1. Nel Metaverso
  2. Rappresento
  3. Vesto Sempre Uguale
  4. Nun Me Movo Mai
  5. La Pena
  6. La Costanza
  7. Le Abitudini
  8. Resto Acciso
  9. Epitaph
  10. Stai - Mai - Ccà

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