Comus

First Utterance

1971 (Dawn)
acid-folk, prog-folk

Certi dischi manifestano il Male e non concedono nemmeno la tormentata grazia di un esorcismo. Sono infestati da fantasmi, demoni e incubi, ciononostante - anzi, proprio per quello - esercitano un magnetismo irresistibile. Bisogna farci i conti, con le forze oscure di questo mondo, guardarle negli occhi rischiando di caderci dentro. Perché se delle sirene è pericoloso il canto, ancor più temibile è il silenzio.

Sono quarantacinque anni che ignari ricercatori di tesori musicali continuano a naufragare lungo le rotte di perdizione di "First Utterance", ammaliati da sadiche melodie folk riguardo a omicidi e abomini, da arrangiamenti sibillini in odore di musica da camera e un'attitudine tanto prog nello sviluppo ritmico quanto psichedelica nelle epilettiche sarabande strumentali. Una pozione malefica e seducente, unica e ineguagliabile, fuoriuscita dal calderone dell'acid-folk britannico che nel giro di un triennio - tra il 1969 e il 1972 - ha sfornato non solo capolavori di fascinazione medievale a firma Incredible String Band, C.O.B. e Strawbs, ma ha pure sepolto gemme oscure sotto la polvere del tempo, riesumate soltanto dal mercato delle ristampe con l'avvento di internet: l'incantevole (e incantato) "Full Circle" dei Forest, il folk anglosassone virato psichedelia West Coast di "On The Shore" dei Trees e "St. Radigunds", sinistro debutto degli Spirogyra, l'unico lavoro che come umori può essere vagamente assimilato all'esordio dei Comus, che resta comunque un album facente storia a sé, capace di prefigurare il folk apocalittico di Current 93 e Death In June nonché ispirare band esoteriche come gli Opeth.

Presso i greci, Comus era un'entità soprannaturale che presiedeva agli eccessi alcolici e alla dissoluzione. Nel 1634 John Milton recuperò questa figura mitologica per farne un masque - un genere di pantomima in maschera, accompagnato da musiche e danze, che veniva inscenato presso le corti britanniche - trasformandola in un fauno delle foreste in cerca di giovani vergini da traviare. Fu Robert Youle, uno studente universitario compagno di studi di Roger Wootton e futuro manager dei Comus, a suggerire al collega di usare il masque di Milton come nome per la band che stava mettendo in piedi, dal momento che le uniche due composizioni originali in repertorio - ovvero "The Bite" e "Drip Drip" - sprigionavano istinti malsani e pulsioni ancestrali.
In quel periodo - il 1968 o giù di lì - i Comus erano un cantiere aperto. Wootton e Glenn Goring suonavano insieme dai tempi della scuola, quando avevano scoperto di condividere la passione per i Pentangle e soprattutto i Velvet Underground, dei quali rileggevano il repertorio in versione acustica per i folk-club del Kent. Cercando tra le frequentazioni del collage, i due amici assoldarono tempo dopo un violinista, Colin Pearson, e una sera pensarono bene di rubare il bassista Andy Hellaby a una band anonima che si stava esibendo al Beckenham Arts Lab. Ma non bastava. Affinché le nuove canzoni che Wootton aveva composto assumessero le sembianze di veri e propri rituali pagani atti a celebrare il personaggio miltoniano, mancava ancora qualcosa.
Mancava innanzitutto un polistrumentista in grado di suonare i bongos come se stesse officiando un baccanale, e sapesse contestualmente maneggiare flauto e oboe alla maniera dei satiri con l'aulos. Lo trovarono in Rob Young, arrivato in realtà per sostituire il fresco dimissionario Mike Rose, un flautista di origini giamaicane che Wootton e Goring avevano reclutato pubblicando un annuncio sul Melody Maker.
Mancava, inoltre, una voce femminile. L'apollineo da dare in pasto al dionisiaco. Trovarono anche quella. Fu la sedicenne Bobbie Watson, conosciuta a una festa, a fornire i vocalizzi angelici da offrire in sacrificio al pandemonio come purezza abiurata, innocenza corrotta dal fascino del crimine.

Le canzoni di "First Utterance" annunciano in qualche modo il ritorno a un regno precristiano, vagheggiando un'arcadia amorale in cui nulla è proibito e l'uomo può scatenare liberamente i propri istinti animali, senza chiedere il permesso a una legge sociale né tantomeno sentendosi in dovere di darne conto a un Dio misericordioso. Se c'è un briciolo di misticismo in questa musica, allora è un misticismo gnostico, occulto. Se c'è un dio da celebrare, quel dio è soltanto il perverso Comus, la cui rivelazione è pregna di vaticini malevoli. Il primo è lo stupro che si compie in "Diana", conciliabolo di stregoni intorno al fuoco acceso da percussioni orgiastiche e una viola licenziosa che invita il gitanismo di Bela Bartòk - di cui Colin Perason era seguace - alla Notte di Valpurga. Si passa poi al massacro di "Drip Drip", con l'incipit di chitarra slide a prefigurare lo sgorgare a fiotti del sangue ("Gocciola gocciola dalle tue labbra flosce un liquido rosso che inonda il tuo corpo"), il tambureggiare ferino che inferisce violenti percosse e una voce mefistofelica che ripete ossessiva: "Sarò gentile con te, non ti farò del male". Si giunge infine alle torture di "The Prisoner", soliloquio psicotico di un malato di mente rinchiuso in manicomio dove è sottoposto a trattamenti shock.

Il manifesto del disco e dell'intera estetica dei Comus è il ditirambo "Song To Comus", sfrenata ode per chitarra, percussioni sciamaniche e flauto fiammeggiante che rinverdisce i fasti del komos, rituale collettivo di ebbrezza alcolica e sessuale in voga presso l'Antica Grecia. In certi passaggi sembra quasi di ascoltare dei Jethro Tull nutriti a occultismo e Lsd, e in effetti quando Wootton compose il pezzo - immedesimandosi nel Re Comus - si trovava sotto l'effetto di un trip di acidi.
All'opposto, l'unico momento di tregua bucolica, anche se avvolto in un'atmosfera di palpabile esoterismo, è il sogno a occhi aperti di "The Herald". Nell'edizione originale il brano durava cinque minuti e mezzo, le successive ristampe opteranno invece per una versione di dodici minuti cristallizzata nelle progressioni armoniche in fingerpicking di Glenn Goring e nei melismi alchemici di Bobbie Watson.

Un album che racconta di stupri, infermità mentale e omicidi non poteva non essere suggellato da una copertina iconica confacente al contenuto. È un'allegoria dell'urlo primordiale, un fantastico disegno a penna - realizzato dallo stesso Roger Wootton quando ancora era adolescente - in cui è ritratto un essere abominevole che si trascina faticosamente lungo il pavimento. Malgrado l'immagine repellente e le tematiche insane, "First Utterance" avrebbe dovuto inizialmente essere pubblicato da un colosso discografico come la Rca ma, a causa di vicissitudini interne all'etichetta, il contratto saltò. Il mancato ingaggio non comportò particolari contraccolpi per la comune di Roger Wootton. Anzi, tra gli avventori dell'Arts Lab - il locale dove i Comus suonarono in pubblico per le prime volte - capitò un certo David Bowie, che rimase avvinto dai loro sabba acid-folk tanto da invitarli a suonare al Purcell Room nel giugno del 1970. In quello stesso periodo il regista Lindasy Shonteff li scritturò per il film soft-porno "Permissive", folgorato anche lui da un'allucinante audizione durante la quale Wootton, feritosi a un dito con la corda della chitarra, cominciò a sprizzare sangue a fiotti, mentre il resto della band continuava a suonare una versione accelerata di "Venus In Furs".

Questi due momenti di pura leggenda underground funsero da preludio all'interesse della Dawn, marchio sussidiario della Pye specializzato in prog e folk occulto, che stampò la prima tiratura di "First Utterance". Circa diecimila copie, una cifra risibile dalla quale vanno derubricati comunque parecchi invenduti che, nel tempo, hanno fatto la gioia dei collezionisti, soprattutto perché sulla prima stampa i minutaggi dei brani sono completamente sballati rispetto alla loro reale durata. Dalla tracklist definitiva del disco restarono fuori i due brani - "In The Lost Queen's Eyes" e "Winter Is A Coloured Bird" - che insieme a "The Prisoner" componevano la demo inviata originariamente alla Rca. Saranno successivamente recuperati nell'antologia "Song To Comus" insieme alla meravigliosa melopea di "All The Colours Of Darkness". Tutti i colori delle tenebre, anche se le tenebre non hanno colore. Bisogna farci i conti comunque. La musica dei Comus è qui per questo.

09/10/2016

Tracklist

  1. Diana
  2. The Herald
  3. Drip Drip
  4. Song To Comus
  5. The Bite
  6. Bitten
  7. The Prisoner

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