Le Orme

Collage

1971 (Philips)
progressive rock

Nel 1973 le Orme pubblicarono "Felona e Sorona", che è rimasto nel corso del tempo il loro album più celebre, con tanto di versione in inglese curata da Peter Hammill. Tuttavia, se si osserva la storia della musica italiana con attenzione, ci si accorge che la band veneta ne aveva già segnato lo scorrimento due anni prima, con "Collage".

Quello italiano è uno dei movimenti più apprezzati fra i nerd del rock progressivo, che ne considerano i capisaldi alla stregua di quelli inglesi.
Nel 1970 il nostro ritardo sul resto del rock non si era ancora colmato e i complessi della scena beat avevano ancora ampio spazio, benché l'entusiasmo iniziale stesse scemando. La necessità di uscire dalle sacche del ritornello coi coretti era ormai avvertita dalla maggior parte di quei musicisti, diversi dei quali andarono a visitare l'Inghilterra, tornando ispirati e rinfrancati dopo aver toccato con mano la realtà di King Crimson, Jethro Tull e compagnia bella.

Il 1971 fu così l'anno zero del prog nostrano, e i più sono concordi nell'individuare in "Collage", uscito quel settembre, il detonatore.
Da lì a fine anno lo avrebbero seguito "L'uomo" degli Osanna, virato verso la jam hard rock, "Terra in bocca" dei Giganti, con armonie vocali reminiscenti degli anni Sessanta, "Dolce acqua" dei Delirium, folk-pop con qualche divagazione jazzata, se vogliamo una semplificazione un po' maldestra di Traffic e Jethro Tull.
Il primato di "Collage" non gli è dato però dal paio di mesi che lo separano dalle altre uscite, trattandosi di un lasso di tempo troppo breve per poter pensare a un'influenza diretta delle Orme. Quelle formazioni si sarebbero comunque mosse verso il rock progressivo.

La differenza la fecero semmai i contenuti. "Collage", infatti, non si stava muovendo verso il rock progressivo, c'era bensì pienamente immerso, laddove gli altri non riuscivano a staccarsi dal passato o mostravano comunque degli elementi fuori fuoco.
La qualità delle composizioni era evidentemente di un altro livello. Le Orme furono di fatto i primi italiani a rendere perfettamente memorizzabile questo approccio alla scrittura, laddove l'attitudine alla jam penalizzava tratti degli Osanna e i collage dei Giganti risultavano un po' incoerenti, strutturalmente parlando.
La musica delle Orme cambiava a sorpresa, aveva andamenti bislacchi, infilava assoli a tradimento, ma lasciava fluire il tutto con estrema naturalezza, quasi come se quelle acrobazie fossero movimenti tipici di un brano pop. Non davano mai la sensazione di progredire "a tentoni", laddove i colleghi avrebbero raggiunto l'equilibrio solo qualche tempo dopo.
Si spiega in questo modo abbastanza facilmente il successo di pubblico, che li baciò al volo. A poche settimane dalla pubblicazione "Collage" campeggiava al numero 3 in classifica, e non era che l'inizio (l'anno dopo "Uomo di pezza" avrebbe sostato al numero 1 per sei settimane).

La band aveva in vero già pubblicato un Lp nel 1969, "Ad Gloriam", con tutti gli ingenui crismi del beat italico. Perso per strada il chitarrista Nino Smeraldi, i tre superstiti decisero di continuare senza rimpiazzarlo, prendendo spunto dalle band britanniche che in quel periodo stavano portando al successo la formula senza chitarrista fisso, ossia i Quatermass e i progetti di Keith Emerson (Nice prima e Elp poi).
Tony Pagliuca (tastiere), Michi Dei Rossi (batteria) e Aldo Tagliapietra (voce, basso e all'occorrenza chitarra) vennero così scritturati dalla Philips, benché durante il periodo beat non avessero ottenuto particolari riscontri commerciali. Un valido argomento fu probabilmente il sostegno di Gian Piero Reverberi, che avrebbe prodotto tutti i loro album fino al 1975.

Annunciato da una splendida copertina, che ritrae il trio pitturato di bianco all'interno di un cimitero, l'Lp viene inaugurato dalla title track.
Anche se l'attacco rimanda a "Post War, Saturday Echo" dei Quatermass, l'influenza più evidente è quella degli Elp, con l'organo Hammond di Pagliuca che si lancia in un'eccitante cavalcata a metà fra rock e musica barocca.
La personalità della band ha comunque modo di emergere e si traduce in un arrangiamento spericolato, con il piano che entra come un martello, l'intermezzo di clavicembalo (in verità un Clavinet) che riprende Domenico Scarlatti, e il tripudio fiatistico finale, contributo di Reverberi. Il risultato è un brano più mimetico di quanto solitamente realizzato da Emerson, sembra infatti voler trasportare il rock nel Settecento più che attualizzare l'antico tramite il rock.
"Era inverno" è una malinconica marcia guidata dalla chitarra acustica, si segnala per la struttura peculiare (strofa, refrain strumentale, strofa, refrain strumentale, bridge, divagazione strumentale, strofa con finale) e per il parco utilizzo del basso, assente in gran parte del pezzo, eccetto un paio di interventi in cui caratterizza la melodia. La mancanza del basso in alcuni dei tratti dominati dalla chitarra ricorrerà anche nei dischi successivi, donando ai suddetti episodi un dinamismo secco e immediatamente riconoscibile.
La voce di Tagliapietra, filtrata dall'effetto Leslie, narra l'amore per una prostituta e si distingue per il suo falsetto diafano, alla fine dei giochi l'autentico marchio di fabbrica della band.
Pennellata da una splendida cascata di pianoforte, suonato da Reverberi in quanto Pagliuca era ancora in fase di rodaggio sugli strumenti acustici, "Cemento armato" è spezzata da una jam anfetaminica, dominata dall'Hammond e dal ritmo serrato della batteria. "Cemento armato, la grande città, senti la vita che se ne va", tuona Tagliapietra, nel primo di una lunga serie di testi tanto allegri che, a leggerli senza conoscerne la provenienza, si potrebbe pensarli frutto di qualche esistenzialista post-punk.

Il secondo lato del vinile è aperto dal brano più famoso del disco, "Sguardo verso il cielo", all'epoca trasmesso in continuazione dal Primo Programma della radio nazionale. Si tratta di un condensato dell'arte delle Orme, un perfetto biglietto da visita per chi non li conoscesse.
Tagliapietra si contorce nel dolore ("La forza di sorridere, la forza di lottare, la colpa d'esser vivo e non poter cambiare, come un ramo secco abbandonato, che cerca inutilmente di fiorire"), ma trova rifugio in un misticismo dalle tinte pastello ("Uno sguardo verso il cielo dove il sole è meraviglia, dove nulla si fa mondo, dove brilla la tua luce"), all'epoca poco gradito dai militanti di sinistra.
L'Hammond assume almeno tre tonalità differenti, conferendo una grande varietà di colori, mentre la melodia eterea si distende su una serie di riff memorabili e sincopi batteristiche, stop e ripartenze, cavalcate elettriche e intermezzi acustici, sfociando in un finale onirico segnato dai sibili del generatore di forme d'onda (Moog e Mellotron sarebbero entrati in organico solo dall'album successivo).
Durante uno dei momenti più spinti il ritmo assume un andamento ossessivo a un passo dal battito motorik del rock tedesco di quel periodo.

Le sperimentazioni intransigenti dei cugini di Germania sono in qualche modo legate anche a "Evasione totale", con un lungo intermezzo in forma libera, dove l'organo e il generatore si tuffano fra echi e distorsioni. C'è comunque spazio per momenti più meditati, come l'ossessivo giro di basso che apre e chiude, o i ricami tastieristici che rimandano vagamente al "Bolero" di Ravel.
"Immagini" è un malinconico bozzetto pop, tre minuti di tastiere e voce, in assenza della batteria di Dei Rossi.
Meno rassicurante è la conclusiva "Morte di un fiore", che si erige su arpeggi acustici e poi va in crescendo, inserendo elettricità, fiati e cori angelici. Come le prime, anche le ultime parole dell'album parlano di una prostituta, l'epilogo è pero da cronaca nera: "Ti sei fatta ritrovare nel mezzo di un prato, dentro ai tuoi logori blue jeans. Hanno detto che sembravi addormentata, stringendo il tuo cappello nero".

Non è da escludere che anche questa attitudine alla tematica sociale, mai accompagnata da un posizionamento politico manifesto, abbia contribuito al far spegnere gradualmente il culto delle Orme, almeno in Italia. Di certo non è un caso se oggi gli Area li sopravanzano non solo in considerazione, ma forse anche in fama. Se si conta che all'epoca le Orme venivano superate soltanto dai Pooh sul mercato italiano dei 33 giri e che gli Area erano invece conosciuti solo nei circoli più oltranzisti, è un dato piuttosto significativo.
Che comunque non dovrebbe interessare chi volesse puntare anzitutto alla musica, vista come espressione artistica in sottile equilibrio fra melodia, sperimentazione, collegamento con la propria realtà e al contempo ampliamento degli orizzonti. Tutti punti focali nella maiuscola produzione delle Orme.

Certo, per Pagliuca si sarebbe voluto un epilogo migliore, considerando che è finito a musicare il disco con le preghiere di Jorge Bergoglio. Tagliapietra invece porta avanti i suoi progetti da solista con invidiabile coerenza (come ha raccontato a OndaRock durante una puntata di Blah Blah Blah), fra prog vecchio stampo, ballate intimiste e spiritualità tinta d'induismo.

08/05/2016

Tracklist

  1. Collage
  2. Era inverno
  3. Cemento armato
  4. Sguardo verso il cielo
  5. Evasione totale
  6. Immagini
  7. Morte di un fiore


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