Tat Ming Pair

Sek tau gei (Shi tou ji)

1987 (Philips)
cantopop, new wave, art pop

Anthony Wong (黃耀明) è un giovane deejay che lavora presso uno dei più noti canali radiofonici di Hong Kong, Cik Zaa 903 (叱咤903), quando verso la fine del 1984 legge un’inserzione sulla rivista musicale Jiubaai Soengzauhon (搖擺雙週刊), in cui uno strumentista appassionato di musica elettronica cerca un cantante per dare vita a un progetto come duo.
Wong decide di presentarsi all’audizione e conosce così Tats Lau (劉以達): cantando brani dei Culture Club lo convince della propria bontà di interprete. Di lì a breve realizzano di avere molti interessi in comune, il più importante dei quali si chiama David Bowie.
Si delinea così il loro obiettivo: portare quel tipo di pop occidentale, sofisticato e intellettuale, all’interno del cantopop, ossia il pop tradizionale di Hong Kong, cantato rigorosamente in cantonese. [nota 1]  

Il nome del progetto viene elaborato da Winnie Yu (俞琤), collega di Wong a Cik Zaa 903, combinando caratteri dei nomi dei due: nascono così i Tat Ming Pair (達明一派). Sempre grazie a Yu rimediano un contratto con la Philips e la loro ascesa è immediata. 
L’Ep “Tat Ming Pair” e l’album “Tat Ming Pair II – Kiss Me Goodbye” si susseguono a pochi mesi di distanza nel 1986, entrambi con buon successo, preparando il terreno per una vera e propria mania, che deflagra in concomitanza della pubblicazione del secondo album, “Sek tau gei” (“石頭記”), nell’aprile del 1987. [nota 2]

Lau compone e arrangia tutti i brani, ma a differenza di quanto si potrebbe credere, non è Wong l’autore dei testi. Essendo il cantonese particolarmente sensibile ai cambi di tono, metterlo in musica – in particolare su un sistema di scale occidentali – necessita di una profonda conoscenza tecnica della lingua. Viene per questo assunto Keith Chan (陳少琪), autore di testi professionista, che ha del resto già svolto un lavoro eccellente per il loro precedente album. [nota 3] 
Wong ingerisce comunque nella fase creativa indicando a Chan i temi da trattare, i termini che vorrebbe usati, eventuali modifiche da apportare e tutta una serie di accortezze che all’epoca, fra autori e interpreti nell’industria di Hong Kong, non trovavano spazio.
I vari autori che hanno lavorato con i Tat Ming Pair nel corso della carriera hanno sottolineato come il processo creativo fosse denso di interazioni e che ciò andava a scardinare la loro abitudine, che consisteva nel consegnare i testi già pronti per essere cantati.
La differenza era data anche dai temi trattati: gran parte degli artisti locali incidevano canzoni d’amore [nota 4] e non nutrivano quindi particolari esigenze, mentre i Tat Ming Pair avevano pretese molto più elevate: i riferimenti alla letteratura cinese tradizionale, l’incidenza della criminalità fra la gioventù di Hong Kong, le accelerazioni consumistiche assorbite in particolare tramite l’influenza del Giappone sulla cultura locale, ma negli album successivi a quello preso in esame anche le preoccupazioni per il ritorno di Hong Kong sotto il giogo cinese, le proteste degli studenti cinesi sul finire degli anni Ottanta, i temi – all’epoca tabù – dell’omosessualità e della fluidità dei generi (Wong si sarebbe poi dichiarato gay nel 2012), l’epidemia di Aids e molto altro ancora.

“Sek tau gei” è un album iconico sin dalla copertina, curata da William Chang (張叔平) [nota 5]: con i volti di Lau e Wong messi di profilo, lo sguardo assente e uno sfondo completamente bianco, riesce a trasmettere perfettamente l’idea di raffinatezza alla base della loro proposta.
La scaletta si apre con un breve strumentale, “Lei” (“離”), in cui Lau si sbizzarrisce fra Midi orchestrali, che attuano una progressione per semitoni dal sapore dissonante, e raffiche di percussioni programmate, così fitte che durante le rullate lo spegnersi di ogni rintocco è cancellato dall’attacco del successivo.

“Maa lou tin sai” (“馬路天使”) è una cavalcata new wave, introdotta da un riff di chitarra giocato sulle ottave alte, dal suono epico e pulito. Le strofe sono caratterizzate da Midi che riprendono il suono di idiofoni in legno e da tastiere ambientali che scorrono sopra al ritmo trascinante, creando un clima di contrasto e tensione poi ribadito dalla fitta metrica del canto nel ritornello: solo il ritorno del riff iniziale porta verso un clima più sereno. 
Il titolo del brano, traducibile come “Angelo della strada”, è ripreso dall’omonimo film del 1937, diretto da Yuan Muzhi (袁牧之) e con protagonista Zhou Xuan (周璇), ritenuto uno dei classici del cinema cinese nel periodo in cui i nazionalisti governavano anche la parte continentale del paese. Il riferimento non è casuale: così come quel film mostrava la povertà e la vita di strada della Shanghai anni Trenta, il testo di Chan descrive i loro equivalenti nella Hong Kong degli Ottanta.
Wong lo intona con un timbro ricco di contrasti, che riesce a trovare il difficile punto d’equilibrio fra la passionalità teatrale tipica del cantopop e il dandismo distaccato di coeve star occidentali come Neil Tennant (Pet Shop Boys):
Grida nei vicoli bui, corpi che si scontrano,
tutto ciò che vedo all’orizzonte sono neon rossi.
Urla nel vento, la solitudine all’improvviso scompare completamente,
lascia che i tuoi problemi e gli ideali vengano spazzati via.
Gli sguardi e il sarcasmo hanno perso utilità,
lascia che ogni momento della giovinezza, insieme ai lampioni, si incontri di nuovo ogni notte.
 
Nella lunga notte, gli angeli stanno ridendo e gridando.
Dimentica ogni cosa,
rimbalza per le strade.
La lunga via è piena di insidie e guai,
potrebbe essere un avvertimento, chi lo sa?
Guarda la nebbia notturna, metti da parte tutti i consigli,
l’alba sta arrivando, per chiunque voglia vederla.
 
Il freddo della notte conforta il cuore dei bambini,
nessun problema, nessun ideale, sono anime in pena.
Le lamentose sirene delle auto della polizia inseguono i cuori erranti,
correre, aspettare, non cambia nulla.
“Mei hou "San Saigaai"” (“美好「新世界」”, trad. “Splendido "Nuovo Mondo"”) è forse il pezzo dell’album che più si avvicina al post-punk, con la chitarra di Lau, particolarmente tagliente e dissonante, che si staglia su un ritmo serrato, mentre Wong canta la gioventù di Hong Kong che si perde, come ipnotizzata, nei meandri del San Saigaai Zungsam (新世界中心, trad. Centro del Nuovo Mondo), all’epoca uno dei più grandi complessi commerciali del pianeta.
In questo momento, il vento sulla spiaggia di Tokyu* si è fatto più forte.
Girare a caso, capitare di nuovo in questo meraviglioso Nuovo Mondo,
guardando verso la fine, ogni capo di moda sembra familiare,
ogni strada è stata percorsa, girovagando, attardandosi nel seminterrato.
Fermarsi a ogni negozio, senza una destinazione ultima,
percorrerlo ancora, sembra sempre tutto nuovo.
 
Alla fine del corridoio marrone scuro il confidente è apparso,
comprare e vendere, abbinare e pianificare, l'interno dei negozi è caotico.
Guardarsi intorno felici, contenti di esserci incontrati di nuovo oggi,
mai annoiati, mai cambiati, sperando che ogni giorno sia lo stesso di prima.
Dimentica del tutto l'odio e rendi ogni giorno un classico,
sfidando i volti indifferenti circostanti.
 
Cancella il passato, abbandona il futuro,
il mondo sarà un posto migliore,
cancella il passato, abbandona il futuro,
abbandona l'esercizio degli ideali,
senza bei sogni o pensieri.
*Tokyu è una multinazionale giapponese, proprietaria fra le altre cose di una catena di grandi magazzini diffusa in gran parte dell’Asia orientale. 

Il testo più complesso e difficile da comprendere per chi fosse estraneo alla cultura locale è senza dubbio quello della canzone che dà il titolo all’album. “Sek tau gei”, traducibile come “La storia della pietra”, fa riferimento a uno dei grandi classici della letteratura cinese, “Il sogno della camera rossa”. Scritto intorno alla metà del Diciottesimo secolo da Cao Xueqin, è un romanzo di enorme influenza, che è stato studiato da tutte le personalità che hanno in seguito plasmato il pensiero della Cina, dal mondo della cultura (scrittori come Lu Xun, Sanmao e Gao Xingjian) a quello della politica (Mao Zedong in persona). È anche stato uno dei testi utilizzati per la standardizzazione del mandarino durante la prima parte del Novecento.
Nell’opera viene raccontata una sorta di storia nella storia: una pietra senziente, che abita i cieli insieme alle divinità della mitologia cinese, desidera fare esperienza della vita mortale in forma di essere umano. Viene così fatta incarnare nel corpo di quello che sarà il protagonista del romanzo, Jia Baoyu. La storia di quest’ultimo verrà poi narrata dalla stessa pietra una volta terminata la vita come umano.
Il testo assume pieno significato solo conoscendo la trama del romanzo:
Guardo la neve spazzata dal vento gelido diventare più spessa,
scarpe rotte, strada bagnata.
Questi primi versi si riferiscono a una visione avuta da Jia Baoyu, in cui gli viene mostrato l’imminente tracollo finanziario e sociale che sta per subire. Il protagonista nasce infatti in uno dei clan più ricchi della Cina, in affari diretti con l’imperatore: purtroppo, a causa di una serie di eccessi e misfatti compiuti dai suoi giovani rampolli, l’intero casato è destinato a cadere in disgrazia. 
Guardo gli amenti volare sui monti lontani, i deboli salici,
mi ubriaco da solo, malato e gracile.
È un riferimento a Lin Daiyu, l’innamorata di Jia Baoyu: i due sognano di sposarsi, ma l’intromissione del clan impedisce il coronamento della relazione e Lin, dalla salute cagionevole, finisce col morirne.
Ascolto la musica proveniente dal vasto mondo,
ballo da solo, con capelli e vestiti trasandati.
Getto via tutti i miei pensieri, ma ancora non so distinguere verità e illusione,
da una camera oscura, vecchi sogni emergono e scompaiono.
Il romanzo è denso di questo tipo di sequenze oniriche, che sommate all’uso di espressioni ambigue e giochi di parole, rende difficile distinguere realtà e illusione, o anche solo capire se l’intera storia della pietra sia accaduta davvero. Non è un caso che il nome del protagonista, Jia, sia rappresentato dal carattere “賈”, che ha lo stesso suono del carattere “假”, ossia “falso”.
Bevo il destino insieme all'alcol,
ma quel sorriso nasconde le macchie delle lacrime.
Alla fine del romanzo, Jia Baoyu realizza tutti i suoi sbagli e si pente di aver ignorato gli avvisi che gli dei gli hanno mandato nel corso del romanzo tramite sogni e visioni: li avesse seguiti, avrebbe potuto evitare il declino del casato e sposare la sua amata.
Calcola i minimi dettagli, ma inaspettatamente c'è troppa distanza,
gira e rigira, il legame si trasforma in polvere.
Prima parte del ritornello, questi versi accennano a un altro importante personaggio del romanzo, Wang Xifeng, donna molto potente che sposa Jia Lian (membro dello stesso casato di Jia Baoyu) e cerca di tenerlo sotto il proprio controllo macchinando e controllando direttamente il loro giro di affari. Il suo carattere soffocante porterà tuttavia al fallimento del matrimonio e del suo impero finanziario. 
Un matrimonio organizzato molestamente, 
la storia d'amore della notte di primavera viene sospesa.
Realtà e falsità, alla fine felicità e dispiacere sono tutte bugie.

Si torna qui a Jia Baoyu, che nel frattempo ha dovuto sposare la lontana cugina Xue Baochai, che non ama, per accontentare le richieste della propria famiglia.

Realtà e falsità, i colori e gli aromi dei fiori sono tutti visibili.

L’ultimo verso tiene a specificare come l’amore di Jia Baoyu per Lin Daiyu fosse nonostante tutto ancora vivo. 
Per rispettare al meglio il carattere della storia narrata, l’armonizzazione che doppia il riff portante presenta intervalli di quinta giusta, il che arricchisce il modo maggiore della scala di una sfumatura tipica della musica tradizionale cinese. Si genera così un misto fra i suoni della musica occidentale (l’elettronica della new wave, ma anche le atmosfere eteree del dream pop) e il folk dell’estremo Oriente, con un approccio intellettuale che prende il meglio di ambo le culture.

Non tutti i testi sono così complessi, ci sono anche semplici canzoni d’amore, ma in linea di massima è chiaro che l’approccio dei Tat Ming Pair non sia paragonabile a quello delle star cantopop che dominavano fino a quel momento e aprisse invece la porta a nuove possibilità: più o meno in contemporanea sarebbero non a caso arrivati altri gruppi capaci di scardinare almeno in parte le regole, come Raidas e Beyond. 
Nessuno ha tuttavia mai saputo mantenere la propria indipendenza artistica al livello dei Tat Ming Pair: è anzi nota la frustrazione dei Beyond nell’aver dovuto, almeno da un certo punto in poi, semplificare i propri brani su pressione dei discografici, cosa che i Tat Ming Pair non hanno mai accettato di fare. Questo ha ovviamente avuto le sue ripercussioni: i Beyond vantano oggi uno status leggendario in tutto il mondo sinofono, mentre i Tat Ming Pair nella sola Hong Kong.

Il disco prosegue alternando ballate con progressioni armoniche jazzate (“Mou fung dik tsau gwai” / “無風的秋季”) a lenti con sovrapposizioni di arpeggi acustici e assoli elettrici, scanditi ritmicamente da gocciolii campionati (“Soeng sai” / “傷逝”), o ancora minacciose progressioni electro-industrial (“Bang lit” / “崩裂”) a ritmi più ariosi, pur basati sempre su drum machine e bassi sintetici, decorati da un cristallino pianoforte digitale e da una levigata chitarra elettrica col suono riverberato.

“Sek tau gei” entrò direttamente al primo posto della classifica degli album più venduti a Hong Kong: rimase in vetta per tre settimane e per altre quindici in top 10. Entro la fine del 1988 risultava aver superato le 100mila copie, cifra che lo impose fra i più grandi successi di quel periodo. 
Nella Cina continentale non venne lì per lì distribuito e circolò solo in forma di nastri pirata, trovando tuttavia una notevole diffusione, tanto che a oggi, almeno nella Cina meridionale, la title track viene ancora ricordata.
La carriera dei Tat Ming Pair proseguì trionfalmente con altri quattro album pubblicati entro il 1990, tutti al numero 1 della classifica di Hong Kong. Dopo un primo scioglimento, durante il quale Wong avviò una fruttuosa carriera in proprio, il duo si riunì nel 1996 e da allora non ha praticamente più smesso di registrare materiale e andare in tournée, riuscendo a trovare infine sbocco anche in Cina.
Il rapporto è stato tuttavia travagliato, tanto che la musica di Anthony Wong come solista è stata rimossa da tutti i servizi di streaming e download cinesi nel 2014, a seguito del suo supporto alla rivoluzione degli ombrelli, seguita da quella dei Tat Ming Pair, fatta scomparire nel 2019 dopo la pubblicazione del loro singolo di protesta verso il governo di Pechino, “Wui jik jau dzoey” (“回憶有罪”), già trattato su OndaRock all’epoca dell’uscita.

Se la mannaia di Pechino sembrava riguardare solo il rapporto fra la band e la Cina continentale, gli sviluppi più recenti hanno dimostrato che il duo non è al sicuro neanche a Hong Kong.
È vero che l’industria della musica e dell’arte li supporta al meglio delle proprie possibilità (il 3 gennaio 2019 è stato consegnato loro il Golden Needle Award alla carriera, ossia il premio più prestigioso che un musicista possa ricevere a Hong Kong), ma il governo locale li sta boicottando in tutti modi, cancellando la loro musica e le loro apparizioni da radio e televisioni appartenenti al servizio pubblico, cercando di far perdere loro gli sponsor e, più recentemente, di incastrarli tramite cavilli legali: il 2 agosto 2021 Wong è stato arrestato su ordine della Commissione Indipendente Contro la Corruzione, con l’accusa di aver cantato per il candidato pro-democrazia Au Nok-hin (區諾軒) durante una campagna elettorale, senza avere il permesso per farlo.
È stato rilasciato solo dopo aver pagato una multa e aver firmato un accordo in cui assicura un comportamento pubblico ligio all’ordine per i successivi diciotto mesi. Neanche a dirlo, il cantante è tornato in prima linea contro la politica di Pechino non appena è stato rilasciato.
Nel frattempo, i concerti dei Tat Ming Pair sono ripresi, riempiendo con grande velocità le più grandi arene concertistiche della città: nel momento in cui la morsa della dittatura si fa sempre più stringente, non stupisce che la loro proposta artistica assuma sempre più rilevanza.

 
[Nota 1] Nella Cina continentale si canta invece abitualmente in mandarino (da cui il termine mandopop), posto che a metà anni Ottanta la Cina aveva un’industria musicale pressoché inesistente e importava quasi tutti i dischi da Hong Kong, qualora riuscissero a passare le maglie della censura. Per questo motivo il cantopop è stato a lungo popolare anche in Cina, nonostante lì il cantonese sia parlato soltanto dal 4% della popolazione.

[Nota 2] La traslitterazione del titolo del disco più frequente in rete è in realtà “Shi tou ji”, dal mandarino. Per questo articolo si è però preferito usare quella dal cantonese, essendo la variante del cinese in cui il disco è effettivamente cantato.

[Nota 3] Keith Chan è ancora oggi una delle più importanti figure dell’industria musicale sinofona, per quanto forse nessun altro artista gli abbia più dato modo di sfoggiare la libertà espressiva che dimostrò con i Tat Ming Pair.

[Nota 4] Come sempre, quando si parla di un sistema complesso come l’industria musicale di un paese, si rischia di generalizzare. C’è chi trattò temi sociali già prima dei Tat Ming Pair, si pensi per esempio a Sam Hui (許冠傑), ma in linea di massima il discorso rimane valido.

[Nota 5] William Chang è uno dei più noti e apprezzati tecnici del cinema di Hong Kong. Celebre il suo sodalizio col regista Wong Kar-wai, in qualità di costumista, montatore e scenografo.
 

01/05/2022

Tracklist

  1. 離 (Lei / Li)
  2. 馬路天使 (Maa lou tin sai / Ma lu tian shi)
  3. 美好「新世界」 (Mei hou "San Saigaai" / Mei hao "Xin Shijie")
  4. 無風的秋季 (Mou fung dik tsau gwai / Wu feng de qiu ji)
  5. 石頭記 (Sek tau gei / Shi tou ji)
  6. 傷逝 (Soeng sai / Shang shi)
  7. 崩裂 (Bang lit / Beng lie)
  8. 後窗 (Hau tsoeng / Hou chuang)
  9. 一個人在途上 (Jat go jan dzoi tou soeng / Yi ge ren zai tu shang)
  10. 棄 (Hei / Qi)

Legenda: Titolo in caratteri cinesi tradizionali (Traslitterazione dal cantonese / Traslitterazione dal mandarino)