Franti

Luna Nera

1983 (Blu Bus)
hardcore folk

Un fumo agitato, spesso come un brutto sogno di cui non s'intravede la fine: nebbia, smog, una molotov appena esplosa, o forse solo un chorus con le manopole a manetta. Guerra in strada, tutti gli altri già in prigione. Nervi strappati, più che sconnessi. Personale e collettiva, la tragedia è irreversibile: la luna è un masso oscuro, la lingua resta muta, il futuro è già finito.

Nella Motor City tricolore il sole continua a scaldare solo gli ultimi piani, per tutti gli altri c'è una razione quotidiana di disperazione, e non solo sotto casa. Sono bastati tre anni, tra le rosse fiamme all'Angelo Azzurro e i bianchi colletti dei 40.000 in marcia, per dissolvere il Movimento. La falange hardcore serra le fila, ma non basta. C'è bisogno di un collettivo, come nei tempi in cui le cose sembravano funzionare. Libertà assoluta: nessuna distinzione tra il dentro e il fuori, nessun limite alla fantasia che sembrava dover prendere il potere, nessun diritto d'autore in un'epoca che nega il diritto a esistere, nessun passaggio da sconosciuti sprovvisti di bus blu. Gli arbusti sani degli Area trapiantati nella terra agra dei Crass, sfidando un cielo opprimente solcato da uccelli di filo spinato. Ci vogliono morti o pazzi, bisogna sopravvivere. Con ogni mezzo.

Ed eccoli qua, gli unici mezzi possibili: tanti affreschi quante possono essere le sensazioni evocate da quello smarrimento desolante, raccolti in un polittico coeso come una dichiarazione d'amore e teso come telefonata tra brigatisti. Nessuno sarà lasciato solo. Due voci angosciate che fanno molto X sommate a un sax che fa molto Siouxsie: punk e new wave hanno finalmente fatto pace, pubblico e privato possono tornare dalla stessa parte della barricata. Stavolta, però, il "No future" è evocato, non invocato: non c'è nichilismo che tenga, quando ti stanno già sparando addosso. Forse si può ancora sognare, anche se a conciliare il sonno è rimasta solo una dolce asfissia. L'inverno è lungo, ma quelle stelle lontane faranno piovere il loro messaggio di libertà. L'ultimo grande inno di lotta della musica italiana, e uno dei più potenti.

Mai ripetere una mossa, se non si vuole finire al tappeto al primo round. E cosa può esserci di più diabolico, per spiazzare un avversario già abbastanza confuso, che trasformare Robert Johnson negli Husker Du, scavalcando a sinistra i Gun Club? Al diavolo (quello blues o quello dark, non fa differenza da queste parti) barriere e pregiudizi: se ti piacciono e se ti servono, si può essere iconoclasti abbracciando le radici. Si può essere hardcore e folk. E se il piano d'assalto è chiaro e condiviso, non potrai chiedere rivendicazione migliore di un "Preachin' blues".
Il decennio in corso torna a reclamare la sua tossica fetta di torta, al tintinnare di stalattiti ghiacciate. I manicomi sono già banditi ma il disagio mentale dilaga incurante, mascherato in un arpeggio senza vita. Si camuffa, ma lo riconosco ancora: sono proprio "Io nella notte". Si fa più fatica a identificare quello slide arrugginito e quell'incedere alla New York Dolls, ma basta avvicinare l'orecchio per sentirlo sussurrare "eroina", e tutto torna: "Only a new film", nulla di più.

Ma quindi, in italiano o in inglese? Altrove ci si accapiglia, da queste parti ci sarebbero una o due cose più urgenti all'ordine del giorno: come le storie impaurite di felicità sui marciapiedi di Beirut illuminati dai neon, con poco sole e pochi giochi, ma in cui possiamo ancora sentire "Le loro voci", macerante autunno dei sensi che sa farsi temporale elettrico. E arrivati a questo punto, chi può impedirci di esiliare i Virgin Prunes in un tempio zen, pittando una "Chiara realizzazione di Ryonen" in punta di dodici corde, o spedire Bruno Bettelheim a Canterbury nel convoglio astrale di "Joey"?

Ormai non si torna più indietro, il dado free è tratto: e dunque "Lasciateci sentire ora" queste voci autistiche e questo CP 80 liofilizzato, ma anche marciare fieri sospinti da un fanfareggiante "Vento Rosso", come degli Henry Cow che non sanno più a cosa opporsi, tanto si ritrovano accerchiati. Tutt'altro che "Solidi" quei fiotti alienati di sax: ma è malessere senza veleno, un infettarsi reciproco per morire abbracciati. Ultimo desiderio, visto che eroi non siamo mai stati, non un proiettile ma una ninnananna: "The Week Song", e che il nastro si riavvolga all'infinito, nel bene e nel male.
Chiaro, poco più che una pozzanghera risecca, al cospetto del rigoglioso "Giardino delle quindici pietre": il punto è che per schiarirti le idee una corsa è più utile di una cavalcata. E se la Universal ti fa già l'occhiolino dietro una siepe, meglio continuare a correre oltre l'orlo del precipizio.

Solo Franti poteva ridere in faccia a tanto orrore, e Franti rise. Se lasceremo svanire quell’eco, farà bene a detestarci.

07/07/2019

Tracklist

  1. No future
  2. Preachin' blues
  3. Io nella notte
  4. Only a new film
  5. Le loro voci
  6. Chiara realizzazione di Ryonen
  7. Joey
  8. Lasciateci sentire ora
  9. Vento rosso
  10. Solidi
  11. The week song

Franti sul web