Bronski Beat

Bronski Beat

Il ritmo dell'orgoglio

Insieme hanno inciso un unico vero album, eppure verso la metà degli anni Ottanta Jimmy Somerville e i Bronski Beat hanno lasciato un segno indelebile, per motivi che vanno anche oltre la musica. Tra politica, impegno sociale e attivismo gay, ripercorriamo la parabola di una band che ha cambiato per sempre il modo di pensare

di Giuseppe D'Amato

You and me together, fighting for our love
Un treno in movimento lungo i binari, in fuga da un paesino di provincia alla ricerca di chissà cosa. Quando si parla di un artista si comincia di solito appiccicandogli addosso un'etichetta, per trovargli una collocazione degna all'interno delle nostre gerarchie. Col passare del tempo può capitare di accorgersi che la definizione individuata non sia più buona, perché dettata da una debolezza passeggera o dal capriccio di un momento. Mai come nel caso dei Bronski Beat però l'idea di band, album o canzone capaci di "cambiare la vita" resta per molti la più adeguata e valida per l'eternità.

Da Glasgow a Soho: essere Jimmy Somerville
I protestanti in Scozia non sono famosi per la tolleranza, ed essere gay faceva parte del miei cromosomi ancora prima che riuscissi a pronunciarlo
(Jimmy Somerville)
Glasgow negli anni 70 ha la nomea poco invidiabile di città tra le più pericolose al mondo, per l'alto tasso di criminalità causato anche dalla disoccupazione. Il viaggio di James William "Jimmy" Somerville ha inizio qui, da Ruchill, un complesso residenziale sito nell'area nord dove era nato il 22 giugno del 1961. Trascorre un'adolescenza difficile per via dei capelli rossi e del carattere delicato, a causa dei quali è preso di mira da skinhead e bulletti del posto. "Mi ridicolizzavano dicendomi che ero una femminuccia, e non è bello quando sai di essere semplicemente omosessuale", si sfogherà in un'intervista il cantante, che a dispetto del fisico gracile non è mai stato però tipo da farsi mettere i piedi in testa. Se ne va in giro con la permanente e i pantaloni attillati, la laurea non lo attira e per saldare il conto dall'estetista si mette a vendere carta da parati. Quando nel maggio del 1979 Margaret Thatcher viene eletta primo ministro, la situazione dei gay nel Regno Unito si complica ulteriormente, così si convince che è arrivato il momento di svignarsela e il giorno prima del suo diciottesimo compleanno decide di regalarsi un biglietto di sola andata destinazione Londra, in valigia pochi spiccioli e un carico di speranza.

Nella grande metropoli si prenderà l'agognata rivincita, ma l'impatto con la city non è dei migliori. "Scesi alla fermata Euston, in zona Camden, e da lì mi diressi verso Piccadilly Circus", prosegue Somerville, che per sbarcare il lunario ora si sbatte come garzone di cucina e apprendista fornaio, ora come commesso in negozi di mobili e ferramenta e all'occorrenza pure come scommettitore. Frequenta il Pink Panther, il Compton e altri localetti underground a Soho finché un pomeriggio, allo Spats, "quattro sconosciuti ci inchiodarono contro il muro, minacciando di spaccarci la testa se ci avessero rivisto nel loro quartiere. Ma Soho rimarrà per sempre dentro di me, è un fatto di cibo, sesso, droga e cultura, quelli come noi vengono qui non per guardare, ma per diventarne parte".
La vita da squatter è un continuo vagabondare, dapprima abita a NW5 Hampstead, poi a Coptic Street all'angolo del British Museum, dove occupa una casa assieme a Constantine Giannaris (detto "Connie"), un aspirante film-maker greco che studia montaggio e fotografia. "Volevamo creare qualcosa di globale: a Londra la maggior parte dei gay non è del posto ma viene da fuori, così rilevammo un pub a Islington e allestimmo nel seminterrato un club chiamato Movement, dove si ballavano Talking Heads, Simple Minds, David Bowie e Brian Eno. Fu un'ancora di salvezza per chi ci veniva, perché solo lì era libero di confrontarsi su sessualità e politica". Oltre che sulla musica naturalmente, che per Jimmy diviene a tutti gli effetti l'attività principale quando lui e Connie vengono sfrattati e si trasferiscono dall'amica comune Gill Whisson.

Incastri del destino: nascono i Bronski Beat
Sia con i giovani laburisti che con la Lega antinazista ho sempre parlato con il cuore in mano, senza mai usare mezzi termini. Ero un giovane gay arrabbiato che voleva rimettere in ordine il mondo: ho creduto che questo fosse possibile, e lo credo fermamente tuttora
(Jimmy Somerville)
bronski beatGill li ospita nel suo appartamento alla Lancaster House di Brixton, dove possiede tre camere da letto che condivide con Anthony Kawalski (futuro manager della band, ndr) e una coppia di fidanzati, Steve William Forrest e Larry Steinbachek. Steve è un ex-operaio emigrato anch'egli da Glasgow, distretto di Castlemilk, Larry è cresciuto invece a Southend ed è un ingegnere della British Telecom col pallino dei sintetizzatori. La combriccola si raduna il lunedì sera ai seminari del London Gay Teenage Group, un'organizzazione a tutela dei minorenni inglesi e gallesi concepita nell'ambito della Campaign For Homosexual Equality.
I membri della community realizzano a scopo didattico il documentario "Framed Youth: The Revenge Of The Teenage Perverts";, in cui filmano persone per la strada raccogliendo opinioni sull'omosessualità: per Jimmy l'esperienza si rivela doppiamente fondamentale, sia perché nella pellicola interpreta per la prima volta una canzone propria ("Screaming", accompagnato alla drum machine da Richard Coles con cui si ricongiungerà più avanti), sia perché ascoltandolo Larry e Steve ne rimangono talmente colpiti da prospettargli un futuro sul palco. Il gruppo prende forma nel giro di poche settimane: in quegli stessi giorni a capo del Greater London Council c'è il rosso Ken Livingstone, convinto sostenitore di minoranze e sindacati che nel 1983 finanzia il festival d'arte "September In Pink". I tre notano il bando sulla rivista Capital Gay, e grazie all'aiuto di Pete Townshend degli Who (che concede ai partecipanti le attrezzature degli Eel Pie Studios a Twickenham) approntano un demo che supera le pre-selezioni alla Oval House, quindi animano il cartellone della rassegna assieme a Steve Swindles, Protein, Toby Jug, Sheila Smith e Abandon Your Tutu.

In fase embrionale utilizzano l'appellativo God Forbid ("Dio non voglia"), ma poi optano per Bronski Beat come gioco di parole scherzoso in risposta ai Roxy Music, un gruppo che piaceva a tutti: il suggerimento è di Steve, che sta finendo di leggere "Il tamburo di latta" e adotta il cognome del protagonista Oskar Matzerath-Bronski anche come personale pseudonimo (d'ora in avanti si farà chiamare da tutti Steve Bronski). Il battesimo ufficiale dal vivo si tiene al The Bell a King's Cross, dove si presentano come quartetto ed eseguono sei canzoni ("Screaming", "Cadillac Car", "Red Dance", "Run From Love", "Junk" e "Walking"). Già dal secondo concerto al The Fridge intuiscono, però, che avrebbero funzionato meglio come trio e decidono di dare il benservito al bassista Fred, in linea con le avanguardie del momento che agli strumenti tradizionali preferiscono voce e tastiere. Al netto di qualche fuori programma (al Brilliance Books Christmas Party Larry viene malmenato da alcuni teppisti al termine dell'esibizione) la risposta di pubblico è ovunque consistente: è vero che negli ambienti di sinistra si vanno facendo largo altre figure alternative fortemente schierate (ad esempio, Shamen, Redskins o gli allora emergenti Style Council e Billy Bragg), a livello ideologico, però, l'approccio dei Bronski Beat è ancor più radicale, dato che nessuno, quanto loro, aveva mai legato il proprio operato alle rivendicazioni dell'universo gay in maniera così arrembante e politicizzata.

1984: L'età del consenso
Non avevo mai sognato di diventare famoso e non volevo che il denaro mi fottesse il cervello. Venivo dalla working class e dagli ideali trotskisti, così usai la notorietà come piattaforma politica
(Jimmy Somerville)
Non sono drag queen, vestono come punk e adorano la disco music: attorno ai Bronski Beat cresce la curiosità e il passaparola attira le attenzioni delle case discografiche, che ora fanno a gara per offrire un contratto. In lizza ci sono Rca, Virgin, Motown e soprattutto la Ztt di Paul Morley e Trevor Horn, che medita di farne un'esplosiva macchina da marketing sul modello recente dei Frankie Goes To Hollywood. Holly Johnson e soci con il singolo-bomba "Relax" stanno sbriciolando ogni record, ai nostri però non va a genio la prospettiva di sponsorizzare magliette con sopra stampato "Queer" o "Poof", così a sorpresa dicono sì alla meno quotata London Records, che dopo un lungo corteggiamento convince i ragazzi a firmare, garantendo la cifra per un musicista probabilmente più remunerativa, ossia pieno potere decisionale sulle future creazioni.

L'accordo stipulato si traduce in una totale libertà espressiva, di cui l'album d'esordio del 1984 The Age Of Consent costituisce il manifesto ineguagliato. Il titolo si riferisce alla legge che proibisce di avere rapporti con persone dello stesso sesso a chi non abbia ancora compiuto ventuno anni, età minima al di sotto della quale un individuo è da considerarsi vittima e l'adulto reo di stupro o abuso. L'argomento, già affrontato dai New Order in un omonimo brano del loro miliare "Power, Corruption And Lies", torna di scottante attualità in un'era in cui lo spettro dell'Aids sta sconvolgendo le normali abitudini: è un male di cui si sa ancora poco e la diffusione del virus viene immediatamente associata a gay e bisessuali, esacerbando i pregiudizi nei loro confronti.

bronski beatIl limite anagrafico (in Inghilterra è uno dei più alti, altrove si attesta di solito attorno ai sedici come per gli etero) non è uguale per tutti ma varia a seconda delle giurisdizioni di competenza, come si può vedere sfogliando la busta interna allegata al vinile, che riporta l'elenco delle decisioni in merito prese dai diversi paesi con le relative pene per i trasgressori: si va dalla galera sino alla condanna a morte, ed è chiaro che c'è poco da scherzare in un simile clima da caccia alle streghe. Carta d'identità alla mano, pur varcata la fatidica soglia, restano mille impedimenti avallati dalla reticenza del governo conservatore.
Non è un caso che molte star del mainstream giochino con l'ambiguità piuttosto che avventurarsi in un coming out che rischia di metterne a repentaglio la carriera. George Michael si fa circondare da bellissime top model (basta dare un'occhiata a "I Want Your Sex", "Freedom" o "Father Figure"), Elton John inscena addirittura un matrimonio in Australia con Renate Blauel, mentre Freddie Mercury si esporrà solo dopo aver saputo di essere sieropositivo. C'è bisogno di una scossa per dare visibilità alla causa, e in tal senso "Smalltown Boy" si configura come un punto di non ritorno. Registrato agli studi The Garden di proprietà di John Foxx, il singolo viene pubblicato il 25 maggio 1984 e raggiunge la terza posizione in patria oltre che la numero uno in varie nazioni europee (Italia inclusa), mentre negli Stati Uniti è quarantottesimo ma si guadagna comunque un fitto airplayche lo proietta pian piano in cima alla Billboard Hot Dance Club Play.
The answers you seek will never be found at home,
the love that you need will never be found at home
("Smalltown Boy")
È la vicenda semi-autobiografica di un giovanotto di periferia, costretto ad abbandonare il proprio paese natale per ricavarsi un'oasi al riparo da soprusi e intimidazioni. Il video è diretto da Bernard Rose - fresco reduce dalla chiacchierata regia di "Relax" dei Frankie Goes To Hollywood - che mette l'omosessualità al centro della narrazione, puntando su immagini realistiche e crude, a differenza di altri che sfruttano invece costumi sgargianti e allusioni senza però venire mai al nocciolo della questione. La scena iniziale mostra i binari dalla parte anteriore della locomotiva rispolverando un'antica tecnica cinematografica tuttora in voga (la usano anche i Cure in "Jumping Someone Else's Train" e i Chemical Brothers in "Star Guitar", solo per citarne un paio), poi la telecamera inquadra il protagonista Somerville che durante il tragitto ripercorre mentalmente i motivi della partenza attraverso flashback montati alla lettera sui contenuti del testo. "Te ne vai una mattina con tutto ciò che hai in una piccola borsa nera/ da solo sulla banchina della stazione, il vento e la pioggia su un viso triste e solitario/ Mamma non capirà mai perché lo hai fatto, ma le risposte che cerchi e l'amore di cui hai bisogno non li troverai mai a casa/ respinto e preso a calci, sempre da solo, eri quello di cui parlavano tutti in città mentre ti umiliavano/ e per quanto ci provassero a farti del male non hai mai pianto davanti a loro, ma solo dentro di te".
Dai vagoni ferroviari l'ambientazione si sposta sul bordo di una piscina: il cantante adocchia un aitante tuffatore in slip che dal sorriso pare gradire, quindi, spronato dagli amici, cerca di rimorchiarlo negli spogliatoi. Poco più tardi viene rincorso e aggredito in un vicolo buio da una gang di motociclisti capeggiati proprio dal muscoloso atleta, allora un poliziotto riaccompagna Jimmy a casa col volto tumefatto: è in quel preciso istante che i genitori, scioccati, apprendono della sua omosessualità, la madre lo abbraccia teneramente, il padre gli consegna una banconota per comprare il biglietto del treno ma tira indietro la mano quando Jimmy tenta di stringergliela.
Su Mtv il video spopola e il dibattito si infiamma, in virtù di una molteplicità di temi che scuotono dal profondo le coscienze degli spettatori. Gay o etero, adulti o teenager fa poca differenza, chiunque vi assista può dire di aver contribuito a scrivere un pezzettino della trama: sugli schermi scorrono desiderio, solitudine ed emozione, rabbia e volontà di emancipazione, la vittima che a casa diventa colpevole, l'imbarazzo di un figlio di fronte alla famiglia e quello ancora più grande di una famiglia dinanzi al proprio figlio. E poi c'è il machodella piscina, che magari gay lo è per davvero ma non si sa mai, forse è meglio nasconderlo, di qui la necessità di lasciare tutto e fuggire sulle note di un ritornello epocale.
Run away, turn away, run away, turn away, run away...
("Smalltown Boy")
bronski beatDal punto di vista musicale "Smalltown Boy" è un synth-pop orecchiabilissimo con un asso nella manica, e cioè il pittoresco falsetto cui il cantante legherà d'ora in avanti le proprie fortune. Frankie Valli, Smokey Robinson, Eddie Kendricks e Philip Bailey erano stati dei precursori di tali vocalità acrobatiche, ma venendo ai coevi anche i fratelli Gibb, il Prince degli esordi ("For You", "Dirty Mind" e "Controversy"), Morten Harket, Paul Heaton in "The World's On Fire" degli Housemartins e Marian Gold degli Alphaville in "Sounds Like A Melody" possono considerarsi degli habitué.
Per Somerville non si tratta però di prodezze estemporanee, bensì di un codice genetico a sé che ne mapperà, nota per nota, l'intero repertorio, guarda caso proprio come Oskar, il bambino del romanzo di Günter Grass che possedeva un'ugola talmente stridula da spaccare i vetri. "Sono figlio degli anni 60", ammette candidamente al riguardo, "ascoltavo 'Twist And Shout' dei Beatles e 'Rock Around The Clock' di Bill Haley & His Comets, ma credo che le donne riuscissero a esprimersi emotivamente molto più degli uomini, specie con il blues e il jazz, così ho cercato di imitarle".

Queste e altre contaminazioni convergono in The Age Of Consent, che viene pubblicato il 15 ottobre e sulla scia del clamore suscitato da "Smalltown Boy" consacra definitivamente i Bronski Beat paladini dei diritti degli omosessuali: sullo sfondo nero della geometrica copertina campeggiano un cerchio blu, un quadrato giallo e un triangolo rosa, quest'ultimo riproposto sul retro in posizione ribaltata a denuncia di quanto perpetrato nei campi di concentramento dai nazisti che lo facevano cucire sulle casacche dei gay internati (diversa sorte toccava alle donne lesbiche alle quali veniva invece affibbiata una stella di David gialla se erano di origine ebraica, un triangolo marrone se di etnia rom, un triangolo nero se catalogate come "asociali", un triangolo rosso se detenute politiche, uno verde se delinquenti di professione e solo in rarissimi casi uno rosa identico ai maschi con sovraincise le iniziali LL, a indicare "lesbian love"). Non tutti ne colsero la valenza simbolica, ma dopo il secondo singolo "Why?" fu tutto più chiaro.
Contempt in your eyes when I turn to kiss his lips
Broken I lied, all my feelings denied, blood on your fist.
Can you tell me why?
("Why?")

Stavolta le registrazioni hanno luogo agli Rpm Studio di New York sotto la sapiente guida di Mike Thorne, già artefice del sound di "Tainted Love" dei Soft Cell e di altri ottimi lavori per Wire, Nina Hagen e Laurie Anderson. Le strofe insistono su tematiche omo con parole inequivocabili, mentre una vecchia cara LinnDrum 2 scongiura il rischio che la protesta degeneri in piagnucolio, trasformando le liriche scandalose in frizzanti piste da ballo Hi-Nrg.
"Voi e le vostre false insicurezze state distruggendo la mia vita, condannandomi/ mi definite un peccato e una malattia/ non sentirti mai in colpa, non arrenderti mai". Dedicata alla memoria del drammaturgo gay Drew Griffiths assassinato proprio in quell'anno, la canzone prende spunto in realtà dalla controversa latitanza di Martin, un amico della troupe braccato con insistenza all'estero dai genitori di un minorenne con il quale aveva intrecciato una relazione proibita: insomma, un altro smalltown boy mandato alla gogna e tacciato di pedofilia. Per evitare però di incappare nella censura, il video illustra tutt'altro e si svolge tra le corsie di un supermercato, dove i membri del gruppo rubano dagli scaffali alcune statuette in miniatura del campione di virilità per eccellenza, il David di Donatello (già nella clip precedente ogni contatto fisico e il pestaggio ai danni di Somerville non erano visibili ma si lasciavano sottilmente intuire, per non traumatizzare i bambini seduti alla tv). Le reazioni della stampa sono contrastanti, ma in hit parade il fenomeno dilaga: Morrissey sciorina metafore e riferimenti colti ("I Want The One I Can't Have", "This Charming Man", "Hand In Glove"), Boy George filastrocche in maschera ("I'll Tumble 4 Ya", per dirne una) e Pete Burns lancia esche al collagene (è l'anno di "Sophisticated Boom Boom"), i Bronski Beat scelgono paradossalmente l'iconografia meno eccentrica e sbarcano a Top Of The Pops con t-shirt a maniche corte e contropelo da scolaretti.
Gli acronimi "Lgbt", "Lgbtqia+" e affini non sono ancora stati coniati che ne sono già gli eroi designati, è bene sottolineare però che ci troviamo anzitutto al cospetto di musicisti abili e fantasiosi, ne è riprova il terzo strabiliante singolo "It Ain't Necessarily So", uscito durante le festività natalizie: venne composto dai fratelli Gershwin e DuBose Heyward per "Porgy And Bess" e affidato originariamente a John W. Bubbles, che nell'opera del 1935 vestiva i panni dello spacciatore di colore e giocatore d'azzardo Sportin' Life. Il testo mette in dubbio gli insegnamenti della Bibbia, e in un paese bigotto come gli Stati Uniti d'America che annovera da sempre la religione tra le sue inoppugnabili certezze, un simile attacco all'establishmentsuonò come eresia.
David was small but oh my
he shot Goliath who lay down and dieth
("It Ain't Necessarily So")
La band ne offre una memorabile rilettura di taglio pop-spiritual senza stravolgerne il copione più di tanto, col sostegno ai cori del collettivo gay londinese Pink Singers e un fenomenale assolo di clarinetto di Arno Echt (degli Uptown Horns) a impreziosire l'intro: se da un lato Sportin' Life si faceva beffe di chi lo giudicava per i suoi vizi ma era così ottuso da credere che Giona potesse sopravvivere per tre giorni nel ventre di una balena, i Bronski Beat infilzano la moralità irridendo chi pensa che gli omosessuali siano destinati all'inferno per quelle storielle sulla distruzione di Sodoma e Gomorra contenute nell'Antico Testamento. Com'è possibile poi che un ebreo smunto e mingherlino abbia ucciso un gigante con un colpo di mazzafionda? E che dire di Mosè, salvato dalle acque del Nilo dalla figlia del faraone e divenuto condottiero del popolo d'Israele? Non è detto che sia così, ed è proprio questo il senso della missione del terzetto anglo-scozzese che sul dancefloor vuole educare le menti sbandierando l'orgoglio della diversità (efficacissimo l'artwork allegorico con Dorothy de "Il Mago Di Oz" trasfigurata in diavolo).

jimmy somerville e marc almond"I Feel Love/Johnny Remember Me" (ai cori ancora i Pink Singers) è una velenosa doppia cover di Donna Summer e John Leyton in risposta alle sparate della regina della disco, che a un concerto del 1983 ad Atlantic City aveva affermato "in principio erano Adamo ed Eva, non Adamo e Stefano": la statunitense proverà goffamente a ritrattare ma il danno ormai era fatto, e l'ancor più travolgente versione medley in duetto con Marc Almond (accorpa anche "Love To Love You, Baby", venne pubblicata nell'aprile '85 come singolo non-album) è un modo spettacolare per alzarle il dito medio contro.
"Fu tutto tremendamente eccitante", ricorda entusiasta Jimmy, "improvvisamente avevamo il mondo di Moroder a portata di mano, qualcosa che prima potevamo sfiorare solo con il giradischi. Stavamo diventando in ogni angolo del pianeta la colonna sonora per i gay segregati".
Ma oltre alle problematiche cardine di tipo sessuale, la tracklist offre anche molto altro, a testimonianza di una formidabile capacità di spaziare tra argomenti e generi con il pronome declinato sempre al maschile: "No More War" è un sofisticato smooth jazz à-la Sade che invoca la fine del conflitto ("No more war, please/ no more destruction of innocent life"), "Love And Money" deplora capitalismo e sfruttamento ("Money is the the roots of all evil"), la swingata "Heatwave" fa il verso a Peggy Lee con tip-tapdi Caroline O'Connor e divertenti schiocchi di dita, mentre "Screaming" (ripescata dalla colonna sonora di "Framed Youth") è riarrangiata a mo' di blues adolescenziale con rime su isolamento e violenza domestica.
Evil, wicked or angel just give me a man
("Need A Man Blues")
Da incorniciare, infine, "Need A Man Blues" (originale ancora di Donna Summer) e "Junk", i due pezzi incentrati maggiormente su sonorità wave alla moda: la prima è una straziante cavalcata omoerotica su sciami di synth, con l'apoteosi finale "the sweetest thing of all is a man loving man" che sa di coming out a cielo aperto, la seconda vomita nell'indifferenziata slogan televisivi, vita notturna, droghe e cibi modificati su ritmiche marziali e atmosfere dark (Somerville che canta nelle ottave basse è una magnifica eccezione, ce ne saranno altre sporadiche ma si contano sulle dita di una mano).
Molti ne fanno tesoro e si sentono incoraggiati a uscire allo scoperto, tanto i vip quanto i comuni mortali: The Age Of Consent è un capolavoro della contro-cultura dei tempi e una chiamata alle armi, i più distratti però ricordano ancora oggi i Bronski Beat come meteore o effimeri one-shot, dato che proprio sul più bello il giocattolo si rompe.

La band si esibisce all'Electric Ballroom di Londra al "Pits And Perverts", una serata a sostegno dei minatori voluta dall'associazione "Gays And Lesbians Support The Miners" dove riescono a raccogliere undicimila sterline da destinare alla categoria in difesa del diritto di sciopero. Per intralciarne i piani la Thatcher aveva fatto sequestrare i fondi alla National Union Of Mineworkers, inibendo le donazioni private al loro sindacato, così sorsero spontaneamente diversi enti benefici in parallelo (la vicenda è documentata in dettaglio nel film del 2014 "Pride" di Matthew Warchus). Subito dopo tornano in studio per lavorare a del materiale inedito che però viene momentaneamente accantonato a causa di insormontabili divergenze interne: si mormora che Steve votasse i tories, e al laburista Jimmy la cosa non piaceva perché contravveniva alle ragioni per cui stavano scrivendo musica. Dal seggio la querelle si sposta sul piano professionale, e culmina in rottura quando il cantante, spiazzato dalla popolarità insperata e sempre più riluttante allo showbiz, rifiuta la ghiottissima opportunità di fare da opening act per Madonna nel tour di "Like A Virgin" che avrebbe probabilmente aiutato i Bronski Beat a sfondare anche negli States.

"Tutto cominciò a girare un po' storto, e ci accorgemmo che per restare uniti in queste condizioni la nostra amicizia doveva essere ancora più forte, ma non era così". Il trio allora si sfalda, ma nel 1985 fa in tempo a dare alle stampe la mini-compilation Hundreds And Thousands che riesuma parte delle bozze incompiute e partorisce altre due gemme, l'apocalittica "Hard Rain", sul disfacimento della democrazia, e la sentimentale "Run From Love", altra performance pirotecnica con la quale Somerville si congeda dal gruppo.
Esistono molte ri-edizioni di Hundreds And Thousands, la più ricca è sicuramente quella in cd del 2012 che aggiunge al palinsesto B-side di varia natura ("Infatuation/Memories", il rock'n'roll "Cadillac Car" e la jungle-techno strumentale "Signs/And Wonders"), un paio di rarità dagli esordi ("The Potato Fields" di sapore new age e "Red Dance", altrimenti introvabile), il gioiellino a cappella di un minuto e mezzo "Puit D'Amour" e "Close To The Edge", che riflette in presa diretta le tensioni in seno alla band ("Guardami, sto cadendo/ verreste a salvarmi?"), canzone già rilasciata mesi addietro come singolo gratuito dal giornale New Musical Express. Da apprezzare anche quattro remix da The Age Of Consent, in particolare "Junk" su cui Mike Thorne inserisce uno spoken word di Wendy Wild con operazione identica a quanto fatto già coi dialoghi parlati di Cindy Ecstacy su "Non-Stop Ecstatic Dancing" dei Soft Cell.

Verità e conseguenze: l'era di Jon Jon

bronski beat con john fosterA questo punto Steve e Larry, titolari unici del marchio, optano per una soluzione-ponte e reclutano John Foster, un ex-punkettone di Basildon che in passato aveva incrociato la gavetta con Dave Gahan e Alison Moyet. Ma non è la stessa cosa: il suo timbro grave manca di quella animosità vibrante e calda che gli acuti del predecessore erano stati in grado di imprimere, anche se calza a pennello sulle allegre melodie dance del nuovo corso, tanto che nel novembre 1985 il singolo "Hit That Perfect Beat" raggiunge la terza posizione in patria e la Top Ten in vari paesi europei, Australia e Sudafrica. Il video è ambientato a Liverpool tra i docks sul fiume Mersey, e ritrae Jon Jon (questo il nome d'arte del neo-vocalist, talvolta accreditato come John Jøn) che dopo aver sostenuto un'audizione entra nel gruppo e si scatena assieme agli altri al club "The State", mentre sullo sfondo scorrono alcune immagini della commedia operaia "Letter To Brezhnev", di cui la canzone è colonna sonora.

È il preludio a Truthdare Doubledare, che esce nell'aprile del 1986 su etichetta Mca Records: il sound accelera i battiti e si incammina verso un techno-pop gasato e meno intransigente, pur non disdegnando saltuarie incursioni in temi impegnati, come "Dr. John", che torna sul dramma dell'Aids ("Non posso amarti, finché la cura non è qui") - siamo nei giorni in cui la morte di Rock Hudson sta facendo schizzare l'isteria di massa - "Punishment For Love" ("Sotto chiave fino a quando non hai ventuno anni/ è questa la punizione per amare?"), l'autocelebrativa "This Heart", che cita testualmente gli smalltown boys ("Voi ragazzi di paese, avete tutto per lottare/ fate la borsa e uscite da quella porta!") o la title track stessa, che punzecchia ancora la Chiesa al grido di "dare to be different" ("Perché non mi ascolti, predicatore/ a Gesù piacerebbe quello che hai fatto?").
Il resto è puro divertissement in salsa anni Ottanta senza troppe pretese intellettualistiche, con arrangiamenti gommosi e sintetizzatori al neon (la depechemodeiana "Do It" sembra tratta da "Speak And Spell", "We Know How It Feels" ricalca nell'incipit "I Could Give You A Mirror" degli Eurythmics). Un gradino sopra le altre la ballad conclusiva "In My Dreams", vicina ai tormenti degli Yazoo di "You And Me Both". La sensazione però è che le migliori cartucce siano già state sparate e il deludente ventesimo posto del secondo singolo "C'Mon! C'Mon!" (dal feel caraibico) è spia di un'ispirazione che va esaurendo le scorte. Una cover di "Heroes" di David Bowie regala gli ultimi scampoli di notorietà: incisa in quarantotto ore assieme ad artisti vari dietro lo pseudonimo The County Line, viene donata alla Bbc One che devolve gli incassi ai bambini bisognosi tramite la maratona televisiva "Children In Need", simile alla nostra "Telethon". Iniziativa senz'altro lodevole, Foster però perde il confronto a distanza con Jimmy Somerville, che intanto è affaccendato in progetti di tutt'altro spessore.

1986-'87: Rosso Communards

"Volevamo abbattere la Thatcher facendo cover di classici da discoteca anni 70. Siamo cresciuti in un mondo ostile ai gay, per noi era una questione di vita o di morte: la nostra liberazione si sarebbe compiuta solo liberando gli altri" (Richard Coles)

La separazione dagli ex-compagni dona nuova linfa al cantante scozzese, che al fianco del vecchio amico Richard Coles, conosciuto come già anticipato ai tempi del London Gay Teenage Group, pare vivere una seconda giovinezza. Richard è un pianista di formazione classica nativo di Northampton, lì si era fatto le ossa come corista alla Wellingborough School per poi affinare capacità da polistrumentista al Department Of Drama And Liberal Arts, dove prende lezioni di organo e violino. Il suo coming out alla madre è piuttosto turbolento e lo porta a frequenti crisi, sin quando non viene ricoverato in un ospedale psichiatrico per aver tentato il suicidio con un'overdose di farmaci. Gli viene diagnosticata una depressione clinica, fortunatamente la musica gli offre un appiglio cui aggrapparsi e in coppia con Somerville dà vita ad un altro sodalizio gay pop di enorme appeal. Vorrebbero chiamarsi "Committee" (in italiano "Il Comitato"), ma quando un altra band rivendica il nome scelgono "Communards" in omaggio ai rivoluzionari parigini che nel 1871 presero il controllo della città. "Furono loro il nostro modello, la libertà e l'autodeterminazione dovrebbero essere prerogativa di tutti e non un privilegio. Allora credevamo nei diritti umani, e ci crediamo ancora adesso". Gli intenti, com'è facile intuire, sono altamente bellicosi, e le canzoni si dividono equamente tra scoppiettanti numeri Hi-Nrg e ballate al pianoforte, in modo da esaltare il prodigioso falsetto di Jimmy senza distogliere i riflettori dal collega. Nel settembre '85 il singolo di debutto "You Are My World", in stile disco, raggiunge la Top Trenta nel Regno Unito, ben confezionato ancora da Mike Thorne che calca la mano su drum machine e sintetizzatori mentre i due si sfidano a colpi di virtuosismi.

No future, no hopes, just broken dreams ("Disenchanted")

Pochi mesi dopo tocca a "Disenchanted", un elettro-pop più tradizionale in cui tornano a galla i fantasmi del passato. "Mentre la scrivevo stavo chiacchierando con amici a proposito dei Bronski Beat, così iniziai ad interrogarmi sul perché solo loro avessero diritto a portare avanti quel tipo di sound, in fin dei conti c'era molto di mio" spiega Somerville, che imposta il nuovo album seguendo le coordinate delle produzioni precedenti. Pathos, armonie perfette e una straripante urgenza comunicativa. "La differenza", aggiunge Coles, "sta nell'avvento di strumenti fisici che lo rendono più acustico e dinamico".
richard coles jimmy somerville sarah jane morrisRegistrato ai Sigma Sound Studios di New York, l'eponimo Communards viene pubblicato il 12 luglio 1986 e si apre col botto: "Don't Leave Me This Way" si issa in vetta alla classifica del Regno Unito dove staziona per quattro settimane, risultando il singolo più venduto di quell'anno. È la cover di un classico soul del '75 di Harold Melvin & The Blue Notes featuring Teddy Pendergrass, la carta vincente stavolta è la talentuosa Sarah Jane Morris (terzo membro non ufficiale del gruppo) la cui voce roca si combina meravigliosamente al controtenore di Somerville stemperandone le esuberanze. Ne nasce uno spiritato duetto destinato a rimanere a lungo nella memoria collettiva, forte di un'ouverture epica che vale da sola il prezzo di una carriera: "ci incontrammo nel 1985 a un Miners Benefit a Brixton dove mi esibivo con gli Happy End, un ensemble misto di venticinque uomini e donne che eseguiva canzoni politiche provenienti da tutto il mondo", racconta Sarah, che nella sua città natale Southampton si era specializzata in rock, soul e r'n'b. "Mio fratello studiava recitazione al college insieme a Richard Coles e mi fecero conoscere Jimmy, una sera al Fridge cantammo insieme "Lover Man" di Billie Holiday come se ci fossimo innamorati dello stesso uomo. In prima fila c'erano quelli della London Records e nel vederci così affiatati impazzirono subito, allora decidemmo di inserirla nella tracklist". Si tratta di uno standard jazz composto nel 1941 da Jimmy Davis, Roger Ramirez e James Sherman, la risorsa vera dei Communards sono però i pezzi autografi col piano di Coles che gioca un ruolo di prim'ordine in un songwiting che si fa via via più maturo e consapevole.
La sconfortata "Reprise" e "Breadline Britain", entrambe per solo piano-voce, lamentano lo stato delle cose in Gran Bretagna, definita "terra promessa dove ai ricchi non frega niente e la gente povera ha fame", mentre "Forbidden Love" piange le pene del cuore asciugandosi le lacrime con un messaggio speranzoso ("il nostro amore è un frutto proibito/ assaggiamone ogni morso con orgoglio, non con vergogna"). I ritmi si alzano di nuovo col quarto singolo "So Cold The Night" (su sesso e voyeurismo) che fonde abilmente dance e folk balcanico, ed "Heavens Above", dove il cantante giostra da consumato illusionista tra note sorde ed estasi angeliche. Il diversivo da cabaret "Don't Slip Away" e lo struggente teatrino-flamenco "La Dolarosa" sono la ciliegina sulla torta di un Lp audace e disperato, che dissimula la serietà dei testi in spartiti enfatici dal mood brioso.

communardsLa copertina a caratteri cirillici e il logo che sovrappone la sagoma dei due certifica una simbiosi di rara alchimia: sia Somerville che Coles sono gay e socialisti, e nel secondo album Red dell'ottobre 1987 la genuina follia autodidatta del primo trova naturale compensazione nella perizia del secondo, figlia di accurati studi accademici. Stavolta in regìa c'è Stephen Hague, produttore di Pet Shop Boys ed Erasure che in quell'anno stanno frantumando le charts con "It's A Sin" e "A Little Respect": il suono viene modulato verso un'elettronica più pulita e immediata, senza tradire la peculiarità di un progetto che rimane però sostanzialmente diverso. La line-up si allarga a dieci elementi: a Sarah Jane Morris si aggiungono Junes Miles Kingston alla batteria, Caroline Buckley ai cori, il sassofonista Jo Pretzel e un quartetto d'archi (composto da Jocelyn Pook, Sonja Slany, Sally Herbert e Audrey Riley), piatto forte l' esagerata "Never Can Say Goodbye" che raggiunge la Top Five praticamente ovunque bissando l'exploit di "Don't Leave Me This Way". È un classico Motown scritto da Clifton Davis per i Jackson 5 e portato al successo da Gloria Gaynor, le cose migliori però si nascondono nelle pieghe di una scaletta che malgrado la ripetitività della formula riesce ancora a stupire.

You may break the skin but you can't kill the soul ("Tomorrow")

La prima parte ha un passo ballabile e meno orchestrale, con il synth-pop d'apertura "Tomorrow" che parla di una donna picchiata dal marito e il ritornello di "Victims" che insiste ossessivamente sul tema degli abusi rilocando la scena del crimine all'interno di una fabbrica, mentre la morbida "There's More To Love Than Boy Meets Girl" sposta il focus sulle unioni civili con lo slogan del titolo che si candida a inno. Il disco-soul "Hold On Tight" strizza l'occhio a Barry White, "Lovers And Friends" e lo spumeggiante big beat per fiati "A Matter Of Opinion" ("won't you try to understand my point of view?") vivono invece di sfolgoranti accelerazioni vocali. Ma è la commovente piano ballad "For A Friend" il vertice emozionale dell'album e forse in assoluto della carriera di Somerville, che con un'interpretazione d'altissimo impatto rende qui omaggio all'amico Mark Ashton, co-fondatore del Lesbian And Gays Support The Miners appena scomparso per Aids. Pregevoli anche "If I Could Tell You", scandita da un sinistro rintocco di campane su versi del poeta angloamericano Wystan Hugh Auden, e la torch song "C Minor", che scrive anzitempo la parola fine su una parabola tanto breve quanto avvincente suggellata da una tournée trionfale che fa scalo anche in Italia, a Torino. "Dal vivo avevamo una formazione davvero unica, tre froci e sette donne eterosessuali" ci ridacchiano sopra. "Onestamente vi possiamo garantire che sono stati gli show più divertenti mai visti in circolazione, peccato essersi sciolti così presto". A nemmeno due anni dalla fondazione dei Communards Jimmy e Richard separano consensualmente le strade per intraprendere due cammini agli antipodi: Coles si dà alla religione ed oggi è vicario della Chiesa anglicana oltre che un apprezzato scrittore e conduttore radiofonico, Jimmy si rimbocca le maniche e si getta a capofitto nell'avventura solista.

Anni Novanta: addio sogni

Quando tutto sembrava tacere a sorpresa anche i Bronski Beat battono un flebile colpo. Salutato John Foster, infatti, si rinchiudono negli studi di Berry Street assieme al tastierista e ingegnere del suono Brian Pugsley per lavorare a un nuovo album che però non vedrà mai la luce. Avrebbe dovuto intitolarsi "Out And About", ma non verrà mai registrato per rinuncia della London Records poco interessata a "The Final Spin", "Peace And Love" (alla voce Rose McDowall dei Strawberry Switchblade) e a un'altra manciata di inediti che tuttavia vengono presentati in giro dal vivo. Rimasti senza contratto, nel 1989 Larry e Steve ingaggiano il cantante inglese Jonathan Hellyer assieme al quale portano a termine un tour di Stati Uniti ed Europa (con loro c'è anche Annie Conway), quindi collaborano con la diva americana Eartha Kitt nella provocante "Cha Cha Heels" che ottiene un moderato riscontro in classifica e riaccende l'interesse della Zomba Records. Ma è un fuoco di paglia, lo sciagurato singolo "I'm Gonna Run Away From You" passa del tutto inosservato, lievemente meglio "One More Chance" aggraziato da una soffice melodia pop-soul a-là Charles & Eddie. Troppo poco per ipotizzare una rinascita, e l'insipido Rainbow Nation del 1995, ancora con Jonathan Hellyer, è l'uggioso epitaffio sulle ambizioni arcobaleno del gruppo.

Bronski Beat con Jonathan HallyerEntra in squadra il disc-jockey e programmatore glasvegiano Ian Donaldson (noto ai più come Sordid Soundz), ma la scaletta si inceppa in una eurodance grossolana di cui le acide di "Be Serious", "Eastern Eyes" e "Tell Me Your Name" costituiscono l'increscioso picco negativo. La ballata chitarristica "No Difference", questa sì davvero indovinata, è un fiore nel deserto, il resto si confonde in carta carbone tra banalità stroboscopiche ("I Luv The Nightlife", "Slow Down" e "Kicking Up The Rain") ed escamotage di bassa lega (troppo prevedili i remake di "Smalltown Boy", "Why?" e "Hit That Perfect Beat", nel tempo se ne susseguiranno a decine). Donaldson allora abbandona la nave e torna alla console, Steinbacheck si reinventa direttore musicale per la compagnia di teatro Remote Control Productions, agli ordini del belga Michael Laub, mentre Steve si prodiga nelle più disparate release parallele, tra cui il remix di "Stranger To None" degli All Living In Fear o il completamento in digitale di "Out and About".

Mighty Real: ancora Jimmy Somerville

Il più intraprendente di tutti resta però l'inossidabile Somerville, che non ha perso il vizio e nel frattempo si è trasferito a San Francisco per assecondare gli istinti solisti. Fuori dai gruppi che lo hanno reso celebre, già nel 1985 si era cimentato in "Suspicious Minds" dei Fine Young Cannibals, quindi dopo una reunion-lampo con i Bronski Beat nel 1987 per l'International Aids Day e la fine dell'esperienza con i Communards lancia sul mercato il debut Read My Lips (ottobre 1989), che riflette il suo incessante impegno con l'organizzazione internazionale Act Up (letteralmente "Aids Coalition To Unleash The Power"). Ora si fa fotografare dai magazine con la scritta "Action=Life/Silence=Death" sulla maglia, per tenere sempre viva la fiaccola dell'attenzione. "Era un momento di grande fervore politico ma anche di lutto per me, vedevo moltissime persone ammalarsi e morire per colpa dell'Aids. Le star non facevano abbastanza e regnava la disinformazione, così decisi di incanalare la mia rabbia e la mia frustrazione al microfono, l'azione diretta e la disobbedienza civile mi sembravano ormai l'univa via percorribile". In quest'ottica va letto il primo singolo "Comment Te Dire Adieu" in duetto con Junes Miles-Kingston, che rispolvera una traduzione del '68 di Serge Gainsbourg per Françoise Hardy dirottandone il significato da addio all'amante verso un commiato ben più tragico. Il secondo estratto "You Make Me Feel (Mighty Real)" è invece il doveroso tributo a Sylvester (caduto anch'egli presto vittima del male) cui Somerville era stato più volte paragonato per via del registro vocale incredibilmente somigliante: anche in questo caso si tratta di uno sfrenato Hi-Nrg-pop che sfonda la Top Five del Regno Unito, purtroppo è anche l'ultimo guizzo di una certa entità dato che alle solite impeccabili performance fanno da contraltare spartiti che sanno di già visto.

jimmy somervilleNon mancano tuttavia via spunti d'autore, come il bel ritornello di "Perfect Day", gli arrangiamenti jazzati in "Rain" (tromba di Simon Elms) e il flicorno di Luke Tunney che nella malinconica "Don't Know What To Do (Without You)" rielabora un vecchio andazzo di Burt Bacharach, mentre l'omonima "Read My Lips" (sottotitolo "Enough Is Enough") cita in chiave moderna un classico da discoteca di Donna Summer e Barbara Streisand. "And You Never Thought This Could Happen To You" è l'ennesimo invito a reagire ("c'è un potere che comandiamo/se uniti resistiamo"), "Control" ("take control of your life!") e la bonus track danzereccia "Adieu! (Madame Tata Mix)" aggiungono pepe a un copione che nei momenti a sfondo essenzialmente romantico riesce persino ad emozionare - "Heaven Here On Heart (With Your Love)" e "My Heart Is In Your Hands". Tornato sei mesi dopo a vivere in Europa, registra una cover reggae di "To Love Somebody" dei Bee Gees che serve al varo di The Singles Collection 1984/1990, raccolta di tutti i singoli pubblicati sino ad allora (compresi quelli con Bronski Beat e Communards) più una new version di "Run From Love" con Claudia Brücken dei Propaganda. "In copertina ci sono le mie magiche guancette rosse, sarebbe stata felicissima mia nonna!", ci scherza sopra il cantante, evidentemente gradiscono anche i fan a giudicare dal discreto bottino racimolato dal best of un po' in tutta Europa. Sempre nel 1990 si presta con "From This Moment On" all'album-tributo a Cole Porter "Red Hot + Blue", voluto dalla Red Hot Organization per una campagna di sensibilizzazione sull'Hiv, l'anno seguente compare invece alle backing vocals su "Why Aren't You In Love With Me" delle Banderas, duo formato dalla sua neo-coinquilina Sally Herbert e Caroline Buckley, con le quali aveva lavorato ai tempi di Red.

He was twenty-five, his lover sixteen
they locked him away because he dared to love"
("Dare to Love")

A inizio anni Novanta Somerville si prende un lungo periodo sabbatico, interrotto nel 1995 dal secondo album solista Dare To Love che non si discosta molto dalle collaudate linee guida. La produzione è affidata a Matt Rowe e Richard Stannard, artefici nello stesso periodo del boom planetario delle Spice Girls: assieme scrivono il singolo di traino "Heartbeat", che raggiunge la prima posizione della Billboard Hot Dance Club Play grazie ad accattivanti sonorità retrò e l'eccellente supporto di Carol Kenyon, che nel panorama wave si era messa in luce con "Temptation" degli Heaven 17, "Same Old Story" degli Ultravox e "Radio Musicola" di Nik Kershaw (qualcuno in Italia la ricorderà anche per i cori su "In Ogni Senso" di Eros Ramazzotti). Come sempre la scaletta svaria con disinvoltura attraverso i generi, sintomo di un inesauribile impulso creativo che quando non lucidissimo ("Lovething" e la sciapa cover delle Supremes "Someday We'll Be Together") si fa premiare comunque per la duttilità: la title-track "Dare To Love" calca territori gospel scagliandosi contro la pesante disparità di trattamento legale subita dai gay, "A Dream Gone Wrong" coniuga radici black a difficoltose ricerche armoniche mentre la cover di Millie Jackson "Hurt So Good" e l'inno ai piaceri del sesso "Alright" (co-scritta con Gary Butcher) ondeggiano su ritmi esotici quasi-ska. Nota di merito per "Cry" e per il gioiellino "By Your Side", che si dissolve tra atmosfere minimaliste ed eteree: pubblicato come terzo singolo, la custodia contiene al suo interno alcune opere d'arte di Donald Christie, guru scozzese della fotografia cui i marchi di moda più trendy del periodo (Levi's, Converse, Diesel) stanno commissionando le proprie campagne pubblicitarie, la copertina dipinge invece Somerville in piedi di notte sull'erba con le braccia spalancate verso il cielo.
Un lavoro non trascendentale ma godibile, alla London Records però non convince appieno e il rapporto si interrompe. "Quelli della label mi davano sui nervi. Dicevano che non potevo fare certe canzoni perchè erano troppo gay, eppure chiunque nell'emisfero settentrionale sapeva del mio orientamento. Meritavo un trattamento decisamente migliore", si lamenta Jimmy, che per tutta risposta nel 1997 si autoproduce il singolo "Dark Sky" e collabora con gli Sparks in "The Number One Song In Heaven", prima di firmare un nuovo contratto con l'indipendente Gut Records. La ritrovata libertà dalle manette delle major gli consente di comporre brani onesti e allo stesso tempo sperimentali, che per la prima volta si allontanano dalle ritrite sonorità disco. In termini commerciali sarà un flop a causa della scarsissima promozione, ma se la pecca maggiore del Somerville solista è la cronica incapacità a riciclarsi allora vale la pena ascoltare più di una volta Manage The Damage (1999), per rendersi conto di cosa avrebbe potuto fare se solo avesse osato darsi una chance. "Ho riso e bevuto in abbondanza con la mia amica Sally Herbert, con cui abito. Abbiamo prodotto l'album a casa nostra, non c'è posto migliore per essere creativi di un luogo dove ti senti al sicuro. Non dovevamo pagare tasse per sale di registrazione troppo costose, l'unico svantaggio sono i vicini che sentendoci battevano con la scopa contro la parete!". Ne esce fuori un mix seducente che flirta a più riprese con la house music e trova in "Something To Live For" (scritta da Ed Monaghan), "Someday Soon" e nella deliziosa "Rolling" tre delle sue sfumature alternative più stuzzicanti. "Girl Falling Down" (che mescola elettronica e chitarra acustica) venne composta dopo aver letto un terribile articolo di giornale su una ragazza vittima di violenze, "My Life" e "This Must Be Love" ciondolano su ingranaggi trip-hop a orologeria mentre "Lay Down (Contact)", ancora da Serge Gainsboug, è una provocatoria celebrazione del sesso orale. Il colpo da fuoriclasse però è l'estatica "Here I Am", un brano a tinte noir sulla morte vicino al contemporaneo pop-trance d'alta classifica di Sonique (ricordate "Sky" e "It Feels So Good"?). "Eve" e il techno-gospel "Stone" sono gli ultimi due tasselli di un mosaico lasciato scolorire ingiustamente nel dimenticatoio assieme al gemello Root Beer che nell'agosto 2000 prova a restaurarlo in salsa remix per il mercato americano.

Di nuovo a casa: gli anni Duemila

"Con le droghe ci andavamo giù pesante, le mie preferite erano le anfetamine ma andava bene qualunque cosa. Una volta cominciato non riuscivo a smettere, allora ho scelto l'astinenza e la vita"
(Jimmy Somerville)
Il nuovo millennio comincia in stand-by, e il cantante ne approfitta per recitare in un episodio della serie tv "Lexx": non è la prima esperienza da attore, dato che già nel 1992 aveva avuto una piccola parte nel film fantasy di Sally Potter "Orlando" (riadattamento di un romanzo di Virgina Woolf con Tilda Swinton nel ruolo di protagonista, suo anche il brano nella Ost "Eliza") e nel 1998 era comparso in "Looking For Langston" di Isaac Julien. Il silenzio discografico viene interrotto da una cover di "Can't Take My Eyes Off Of You", inserita nella colonna sonora di "Queer As Folk", e nel 2004 da Home Again, una sorta di ritorno alla base dalle preponderanti sonorità dance concepito tra Amburgo e Stoccarda assieme a un agguerrito plotone di esperti, tra cui l'italiano Mauro Picotto, Paul Sparkes, Rolf Emer dei Jam & Spoon e Tillman Uhrmacher. L'opener "Could It Be Love" e "Come On" (in collaborazione con Peter Plate dei Rosenstolz) mettono subito in chiaro le cose, con l'inconfondibile falsetto sugli scudi e sequencer moroderiani da party 2.0, mentre "I Will Always Be Around" è l'abituale e pacifica incursione nel reggae.

jimmy somervilleVenendo all'immancabile sezione cover, "Ain't No Mountain High Enough" (da un originale di Marvin Gaye) non funziona del tutto perché realizzata a malincuore su pressione della Bmg International ("minacciavano di non distribuire l'album se non l'avessi fatta, è stato un grave errore"), quella di "But Not Tonight" dei Depeche Mode inciampa invece in qualche velleità hard-style di troppo. Meglio allora rientrare nella comfort zone con "It's So Good", "Under A Lover Sky" e l'ipnotica "What's Your Game?" che alimenta il sacro fuoco politico. Anche in questo caso i coup dé theâtre si nascondono contro pronostico nelle tracce più cervellotiche: "Amnesia" è dedicata alla relazione più duratura del cantante, che in diverse occasioni si era dichiarato sfavorevole alla monogamia, "Selfish Days" si nutre di docili arpeggi di violino mentre "Stay" è una splendida ballad sui generis costruita su impalcature industrial dal clangore metallico. Infine "It Still Hurts" e "Burn", che chiudono senza troppe moine un album che a sua volta vende pochissimo ma meritevole di almeno un giro di puntina.

Altro break di quasi cinque anni e nel 2009 viene alla luce Suddenly Last Summer, che contiene sfiziose interpretazioni acustiche di brani più o meno famosi: non è il solito fascicolo sugli anni 70, ma un disco sostanzialmente diverso da tutti gli altri, più intimo e introspettivo. "Il titolo deriva dalla situazione reale in cui mi trovavo durante un'estate a Mangrove Mountain, in Australia. Avevo a disposizione uno studio per sei giorni e una equipe di grande talento al mio servizio, così tirai fuori il mio iPod e ci sedemmo al pianoforte". Le canzoni svariano nel gotha della musica di ogni epoca, con una selezione meno ovvia di quella che ci si potrebbe aspettare: "I Just Don't Know What To Do With Myself" di Bacharach diventa un folk sbarazzino, "Black Is The Colour Of My True Love's Hair" rimette in tiro un traditional di Nina Simone mentre "Hangin' On The Telephone" si ammanta di un velo di tristezza che era assente nella hit dei Blondie (originale dei Nerves) ma ben riluce sulle timbriche soul del cantante di Ruchill. "È solo una sensazione, si dice che nelle vene di noi scozzesi scorra il sangue della malinconia. Come vocalist ho tanti dubbi e paranoie, ma sono consapevole che il mio tono e la potenza sono cambiati". Oltre ai numerosi oldies jazzistici ("My Heart Belongs To Daddy" di Cole Porter, "It's Love" del trio Green/Comden/Bernstein e la fumosa "Walking After Midnight" di Patsy Cline) ci sono curiose riletture più affini al rock, come "Hush" dei Deep Purple che mantiene una vezzosa andatura country, "People Are Strange" dei Doors dal crooning a-là Bryan Ferry e la delicata "Sweet Unknown" dei Cranes, che qui brilla in un'illuminata veste per solo piano ricucita ad hoc dal produttore e co-autore dell'album Andrew Worboys. Un lavoro dotto e raffinato disponibile inizialmente solo in download, al quale fanno seguito gli Ep "Bright Thing", "Momentum" e "Solent" che costituiranno la spina dorsale del sesto studio-album Homage, operazione-nostalgia del 2015 che torna agli anni d'oro della disco music con orchestrazioni floride e una vasta gamma di strumenti (ottoni, chitarra, archi) buoni a innalzare quantomeno l'asticella del divertimento.
"Parlo di liberazione e festeggiamenti: alla fine abbiamo vinto, e con Homage cerco di fornire all'ascoltatore un pretesto per scrollarsi di dosso, almeno per un'oretta, le preoccupazioni che lo frenano nel quotidiano", spiega in sede di presentazione a chi gli chiede della stravagante simbologia di copertina. "È una statua di Atlante, che nella mitologia greca fu costretto da Zeus a sorreggere l'intera volta celeste. La musica e la danza possono salvare il mondo, per questo ho voluto appoggiare sulle sue spalle una strobosfera". Dall'indistinto magma fosforescente creato dal produttore John Winfield emergono i groove sinuosi di "Travesty" e "Lights Are Shining", il resto scorre in verità senza troppe sorprese tra uptempo disco-funk ("Freak", "Some Wonder", "Strong Enough") e simpatici riempitivi ("Overload" e le più lente "The Core" e "Learned To Talk") raddoppiati in versione extended nel superfluo Club Homage. Il 2016 porta in dote il primo e sinora unico album dal vivo Live And Acoustic At Stella Polaris, registrato durante un festival chill-out che si tiene ogni anno nei dintorni di Copenhagen. In scaletta ci sono tutti i pezzi da novanta del suo trentennale songbook offerti in una sentimentale rielaborazione acustica (da "Why?" a "Don't Leave Me This Way" passando per "Smalltown Boy") oltre a un paio di quelli più salienti del catalogo recente, ma il momento piuttosto prolifico viene offuscato da una drammatica notizia.

L'età della ragione: l'eredità dei Bronski Beat

Il 16 dicembre del 2016 muore a soli cinquantasei anni Larry Steinbachek, sconfitto da una breve lotta contro il cancro. L'ex-compagno e amico di sempre Steve Bronski, che nel frattempo si era ritirato prima a Bangkok e poi ad Amsterdam, non ne vuole sapere di togliersi l'elmetto e prova a cavalcare l'onda emotiva della scomparsa pubblicando nel successivo mese di luglio The Age Of Reason, discutibile reworking del capolavoro degli anni anni Ottanta tramite il quale cerca di tener testa alle nuove generazioni, ma le pallide ibridazioni techno-dance di "Love And Money", "Junk" e "No More War/It'Ain't Necessarily So" (queste ultime due fuse in un pallido medley che ci saremmo volentieri evitati) finiscono per sortire l'effetto diametralmente opposto disamorando persino i più sfegatati. Da apprezzare almeno l'imperituro zelo con cui l'inedito "A Flower For Dandara" denuncia il linciaggio di Dandara Dos Santos, una quarantaduenne transgender brasiliana torturata e uccisa in pieno giorno a Fortaleza, mentre l'altro inedito "I'll Be Gone" e la cover di Sylvester "Stars" in termini di inventiva hanno poco da segnalare. Ian Donaldson e il vocalist di turno Stephen Granville non riescono ad infondere alcuna attrattiva, e dalla scaletta viene beffardamente esclusa per motivi di copyright "I Feel Love", il brano che per stile provocatorio, significato dei versi e successo raggiunto ha incarnato forse meglio di qualunque altro la quintessenza dei Bronski Beat: The Age Of Reason è l'ultimo battito d'ali di una band leggendaria e irripetibile, fortunatamente gli appelli lanciati durante la fase clou non sono però caduti nel vuoto.

La transizione sociale dell'omosessualità da "illegale" a "legale ma non sempre approvata" aveva trovato un timido sbocco nel 1967 nel via libera ai maggiori di ventuno anni, ma nel 1984, anno di pubblicazione di The Age Of Consent, all'atto pratico erano cambiate pochissime cose, e parte fondamentale di questa cultura regressiva era il problema dei giovani che si sentivano penalizzati dall'incapacità dei coetanei ad accettarli per quello che erano. "Smalltown Boy" è stato un passo decisivo nella giusta direzione, provocando un serio dibattito che ha evidenziato la difficile situazione vissuta da migliaia di persone. Il riconoscimento in classifica del messaggio sincero e liberale della canzone ha segnalato come non solo la Gran Bretagna ma anche il resto del mondo si stava svegliando e rendendo conto dei fatti, abbracciandosi in un senso di appartenenza identitario che spinse moltissimi ad uscire allo scoperto. L'età del consenso in Inghilterra viene abbassata a sedici anni nel 2001, mentre bisognerà aspettare sino al 2003 perché venga abrogata la famigerata "Section 28" emanata nel 1988 dal Local Government Act, che proibiva alle autorità locali di "promuovere intenzionalmente l'omosessualità" o l'insegnamento in qualunque scuola finanziata dallo stato "dell'accettabilità dell'omosessualità come pretesa relazione familiare". Purtroppo il 7 dicembre del 2021 se ne va anche Steve Bronski, soffocato dalle esalazioni di un incendio sviluppatosi nel suo domicilio di Soho e impossibilitato a mettersi in salvo perchè ridotto in condizioni di semi-paralisi da un ictus avuto qualche tempo prima: a darne il triste annuncio su Facebook è proprio Jimmy Somerville, unico superstite di una magica epopea che ha saputo dialogare amabilmente con chiunque abbia avuto orecchio per ascoltare. Il cantante scozzese, che non ha mai preso la patente e giura di non avere alcuna intenzione di farlo, oggi trascorre la maggior parte del suo tempo a Brighton pedalando in mountain bike tra le scogliere e intanto tiene in caldo la voce con qualche singolo per beneficenza e altre partnership improvvisate: il charity "Everything Must Change" del 2021 è una cover di Nina Simone per End Youth Homelessness, l'ultimo singolo in assoluto è invece "What Makes Us Wonderful" del 2022 in collaborazione con il dj bosniaco-svedese Salvatore Ganacci. In futuro spera di risollevarsi anche sul piano commerciale ma "non contateci troppo" avverte con la consueta ironia: in fondo non è mai stato questo l'obiettivo prioritario suo e dei Bronski Beat, e per tantissimi è un bene che sia andata così.

Bronski Beat

Discografia

BRONSKI BEAT
The Age Of Consent (London Records, 1984) 9
Hundreds And Thousands(London Records, 1985)7,5
Truthdare Doubledare(London Records, 1986) 6
Rainbow Nation(Zyx Records, 1995)4,5
The Age Of Reason (Cherry Red Records, 2017)5
COMMUNARDS
Communards (London Records, 1986)
8
Red (London Records, 1987)7,5
JIMMY SOMERVILLE
Read My Lips(London Records, 1989)6,5
The SinglesCollection 1984-1990(anthology, London Records 1990) 8
Dare To Love(London Records, 1995) 6
Manage The Damage (Gut Records, 1999) 7
Root Beer (compilation, Instinct Records, 2000) 6
Home Again(Sony/BMG , 2004)6,5
Suddenly Last Summer(unplugged, Cherry Red Records, 2009)7,5
Homage(Cherry Red Records, 2015) 6
Live And Acoustic At Stella Polaris (live, Cherry Red Records, 2016) 7
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

 

BRONSKI BEAT

  

Why?
(da The Age Of Consent, 1984)

Smalltown Boy
(da The Age Of Consent, 1984) 

 

It Ain't Necessarily So
(da The Age Of Consent, 1984)

I Feel Love
(single feat. Marc Almond, 1985)

Hit That Perfect Beat 
(da Truthdare Doubledare, 1986)

C'Mon! C'Mon!
(da Truthdare Doubledare, 1986)

  

 

COMMUNARDS

  

Don't Leave Me This Way
(da Communards, 1986)     

So Cold The Night
(da Communards, 1986)    

You Are My World
(da Communards, 1986)

Disenchanted
(da Communards, 1986)

Never Can Say Goodbye
(da Red,  1987)

 

For A Friend
(da Red, 1987)

Tomorrow
(da Red, 1987)

  
 

JIMMY SOMERVILLE

  

Read My Lips (Enough Is Enough)
(da Read My Lips, 1989)

Comment te Dire Adieu
(da Read My Lips,  1989))

To Love Somebody
(da The Singles Collection, 1990)

 Hurt so Good
(da Dare To Love, 1995)
 Heartbeat
(da Dare To Love, 1995)
 By Your Side
(da Dare To Love, 1995) 
 Here I Am 
(da Manage The Damage, 1999)
 Some Wonder
(da Homage, 2015)

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